È caduto dal pino un nido di gazza. Quei rametti intrecciati sono un artefatto o sono naturali? Se li intreccia la gazza li chiamiamo natura, se li intrecciamo noi li chiamiamo artefatto. Re Mida: non appena ci mettiamo mano, tutto diventa téchne?
Più plausibile che siamo natura, e che, come la gazza, costruiamo i nostri nidi — seppure smisurati, complessi, planetari. Se è così, dobbiamo concludere che l’antropocene è un processo naturale, anche se ci riesce difficile ammetterlo. Il punto è che vi sono livelli differenti. Dal nostro limitato punto di vista etico ed estetico, per certi versi anche scientifico, l’antropocene appare come un’anomalia, una deviazione dal funzionamento naturale. Ma sul piano ontologico siamo natura che, con elementi naturali, realizza altra natura.
Se si affermasse ontologicamente che l’antropocene è contro natura, si introdurrebbe una distinzione fra noi e la natura stessa: come se la natura agisse per necessità, mentre noi per deliberazione personale, eccedendo e deviando dal suo corso. Premesse che aprono la via all’idealismo e al teismo, dove l’uomo trascende la natura — come spirito che la fonda o come immagine di un Dio che la domina.
E anche un naturalismo che considerasse l’antropocene un evento ontologicamente anomalo condividerebbe le stesse premesse: per i teismi e gli idealismi l’uomo trascende la natura, per il naturalismo ingenuo -che fa di ontologia, etica e esteica un tutt'uno- la distrugge, ma in entrambi i casi Homo è pensato come altro dalla natura.
La distinzione fra naturale e artificiale non è ontologica, ma prospettica: è un nostro modo di vedere il mondo, non una frattura del mondo stesso. La natura non è ciò che esclude la téchne, ma ciò che la contiene e la eccede — come include la gazza, l’uomo e i loro nidi diversi, rami intrecciati di una stessa necessità.