BLOG DI BRUNO VERGANI

Radiografie appese a un filo, condivisione di un percorso artistico

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Bruno Vergani

Bruno Vergani

Radiografie appese a un filo. Condivisione di un percorso artistico, davanti al baratro con angoscia parzialmente controllata.

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Lunedì, 11 Marzo 2024 22:30

Va da sé

Una madre che allatta convince il figlio semplicemente dispiegandosi, senza necessità di argomentare alcunché.

Potenza dell’omettersi, del dimenticarsi, dello sbarazzarsi di sé.

Mercoledì, 06 Marzo 2024 10:34

Proficua lacerazione

Lacerati fra il desiderio d’esserci e l’impermanenza data dal continuo divenire che muta tutte le cose, escogitiamo sistemi per non spaccarci in due. Sono tante le strategie per smorzare l’attrito fra essere e non essere, dalle più sfumate come la sottile soddisfazione di consegnare i personali cromosomi alla progenie, o il proprio sapere agli allievi, così da persistere un po’ di più, fino alle più chirurgiche ed estreme, dal credere ad un Creatore di un io personale stabile e imperituro, stile profeta Geremia con Dio che gli rivela: “Prima che ti formassi nel grembo di tua madre, io ti ho conosciuto”, o all’opposto puntare dritto all’annientamento dell’io, stile dottrina dell'anātman ossia del “non sé” propria del Buddhismo, che afferma la totale insussistenza dell'io.

Si potrebbe optare per una delle due soluzioni, un po’ come quando stacchiamo un polo dalla batteria dell’auto per evitare cortocircuiti, se non si rischiasse, qualsiasi dei due poli si escluda, una stasi mortale. In effetti il credente nel Creatore tutto convinto di sapere la verità definitiva, assoluta, rivelata, non avrà motivo di pensare ad altro, ancora meno di lui potrà fare e pensare chi nega se stesso; per fare e pensare bisogna perlomeno essere qualcuno. Concezioni opposte medesimo risultato.

Però potrebbe anche darsi che quella lacerazione primaria[1] non sia un problema da risolvere ma semplicemente da accettare perché motore di ogni agire[2].

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1 Più mi guardo dentro e intorno più constato che questo dualismo originario, questo barcamenarci fra Eros e Thanatos, è la cifra di Homo sapiens.

2 «Polemos [la guerra, nel caso di specie il conflitto interno] è padre di tutte le cose, di tutti i re». (Eraclito)

Sabato, 24 Febbraio 2024 10:21

Ranuncoli

Quest’inverno il ranuncolo favagello ha colonizzato il giardino, passeggiando su quel tappeto di fiori gialli ho avuto come la percezione che la natura trami in mio favore. Manco il tempo di avvedermi della cosa ho giudicato quella percezione in odore di delirio, considerando che tutto quel favagello era lì per i fatti suoi non di certo per me[1].

Giudizio corretto però mi viene il sospetto che sia quell’istante di delirio a svelarci la vita, mica gli enunciati esatti[2].

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1 Il delirio interpretativo che ci fa sentire al centro della scena naturale mentre, di fatto, nel sommo funzionamento siamo una minuscola parte marginale, non esclude, anzi prova, che alla natura in ogni caso apparteniamo. I filosofi la chiamano ecoappartenenza, la tradizione mitologica racconta l’eterna alleanza espressa dall’arcobaleno dopo il diluvio universale.

2 Perché non esatti in assoluto, ma parzialmente e provvisoriamente esatti nel nostro tridimensionale sobborgo di universo.

Mercoledì, 21 Febbraio 2024 17:59

Attriti prestanti

Nonostante gli innumerevoli tentativi di porre un unico principio, o sostanza, a fondamento di noi e del mondo, il duale[1] riemerge sempre. Visto che piante e animali sono indenni dall'alternanza di dualismi e monismi, e da correlati antagonismi fra mortalità e immortalità personali, verosimile che la dualità che ci caratterizza ebbe origine con lo strutturarsi dell’autocoscienza di ominidi dai quali discendiamo, che ad un certo punto della loro evoluzione iniziarono a percepirsi entità autonome, differenziandosi così dalla natura[2].

Per sanare l’ancestrale cesura e ritornare allo stato naturale originario, alcune tradizioni sapienziali orientali[3] ci invitano a liberarci da false individuazioni e identificazioni con gli apparati psicosomatici mortali che crediamo di essere, per fonderci nel tutto (l’Uno se si preferisce) impersonale che da sempre siamo, come la goccia d’acqua che ritorna all’oceano; vale a dire “nessuno nasce, nessuno muore”; vale anche a dire: ritorna scimmia, meglio ameba, ancor meglio immortale sasso di fiume. Risultato assicurato nondimeno paradossale.

Il punto è che oltre a sapiens, faber e forse ludens, siamo intrinsecamente e irriducibilmente duali e come il leone è predatore così noi siamo connaturatamente doppi, con tutti i vantaggi e gli svantaggi che ne conseguono. Non possiamo escludere che l’attrito generato dai dualismi che ci abitano sia fonte di energia vitale copiosa e versatile, nel bene e nel male.

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1 Finito/infinito, materia/spirito, naturale/soprannaturale, ordine/caos, fenomeno/cosa in sé, diacronia/sincronia, impermanenza/eternità, yin/yang, eros/thanatos, divisibile/indivisibile, essere/divenire, corpuscolare/ondulatorio, interiore/esteriore, libertà/causalità…

2 Il racconto biblico, con sorprendente precisione, esprime in chiave mitologica lo stesso processo: “Mangia pure liberamente del frutto di ogni albero del giardino; ma del frutto dell'albero della conoscenza del bene e del male non ne mangiare; perché, nel giorno che tu ne mangerai, certamente morirai”.

3 Come l'Advaita (traducibile con "non duale") Vedanta della tradizione induista, sistema monistico fondato sul principio dell'indivisibilità del Brahman nel quale tutto sussiste.

Mercoledì, 14 Febbraio 2024 17:37

Breve invito all’irrazionale

Non riusciamo a scorgere il mondo per ciò che è, possiamo solo vederlo per ciò che è per noi perché, per forza di cose, lo percepiamo attraverso i nostri sensi limitati per poi interpretare queste dubbie percezioni con i procedimenti logici del nostro intelletto, senza per nulla sapere se la realtà segua la stessa logica, o una qualche logica.

Una volta avevo tentato di colpire con la scopa un pipistrello entrato in stanza e più il ragionamento era lucido e l’intenzione precisa più fallivo, ma roteando la scopa a casaccio l’avevo centrato. Forse per cogliere il noumeno devi spiazzarlo con botte da orbi, o provare a vederlo con la coda dell’occhio senza pensarci su, tirando a indovinare.

Venerdì, 09 Febbraio 2024 15:25

Ades

Ades[1], sei qui
nel bosco, nel silenzio,
nel frastuono d'aria
alto del mezzogiorno.
Ci sei intensamente,
ci sei fino a tal punto
da parere che tu manchi,
occultato nell'istante,
inabissato nel presente,
unito così al mondo
che ti prende
tutto, fino all' annientamento,
però ti regala il dove e il quando
numine il sole; quasi
lucertolescamente, oh hic, oh nunc.
(Mario Luzi)

A un certo punto della storia umana l’invenzione del soprannaturale. Dualismi fra materia e spirito, fra gli artefatti dell’al di qua e dell’aldilà, del quaggiù e del lassù. Fratture fra immanente e trascendente, fra corpo mortale e anima immortale, che non abbiamo del tutto ricomposto. Ci sono servite per tentare di interpretare i tanti misteri che non possiamo spiegare, a iniziare dalla morte personale. Consideriamo quel primo essere umano -e come lui anche l’ultimo- che si è trovato al cospetto del cadavere della persona amata, un oggetto stranissimo che procura l’immediata sensazione di non essere più la persona che era, ma un sacco vuoto. Ma vuoto di cosa? Cos’è quel qualcosa che prima era là dentro e ora, in un istante, non più? E come è sorto quel qualcosa di così unico? E dove è andato? Mica convince che una singolarità così speciale abbia fatto come la fiamma della candela che spegnendosi non va da nessuna parte, agevole immaginarlo in un altro mondo, lassù.

Invece le tradizioni sapienziali legate ai cicli naturali non necessitano di questi dualismi, dalle ancestrali religiosità dei cinque elementi, alla mistica naturale dell’inabissarsi nell’istante espresso nella poesia di Luzi l’io biografico non necessita di ascensioni al cielo, neppure di assunzioni, ma si disperde nel naturale immanente espandendosi, così, nel cuore della materia. Ma sia per fondersi in questa materia significante, sia per coglierla, è necessario il superamento del proprio perimetro egoico e nel contempo un affinamento dei sensi, dato che questa dimensione seppure per nulla soprannaturale è però soprasensibile, in senso diciamo così kantiano, appurato che con i nostri sensi limitati possiamo percepire solo parti della realtà. Consideriamo gli ultrasuoni e gli spettri della luce che non possiamo sentire e vedere, figuriamoci se, senza alcun affinamento percettivo e sensoriale, possiamo percepire la mistica oggettiva di individualità biografiche che si fondono nell’intimo della natura diventando tutto, ma forse non servono ore di meditazione spinta, bastano sprazzi di istantanea conoscenza dell’istante, della sua verità, della sua intensità, della sua eternità, basta qualche passeggiata nel bosco ben fatta, uno sguardo al mare, un altro per radiografare la lucertola al sole, un altro alla luna con intensità congrua alla posta in gioco.

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1 latinismo con significato di sei presente, sei adesso qui.


Domenica, 04 Febbraio 2024 17:15

Il sonno del giusto

Ad una certa età, un po’ perché consci del personale valore, un po’ perché più consapevoli della propria impermanenza, possiamo finalmente lasciarci andare finendola con l’estenuante esibirci a destra e a manca per dire al mondo: “Ehi voi, guardate quanto sono bravo!”

Martedì, 16 Gennaio 2024 20:59

L’accadere

L’accettazione fiduciosa delle cose che non possiamo prevedere interpretandole espressioni dell’ordine provvidenziale dell'universo, qualsiasi cosa accadrà proprio come accadrà, potrebbe essere giudicata una strategia puerile per tenere a bada l’angoscia dell’imprevisto, una sorta di controllo anticipato di sempre possibili botte che, a capocchia, ci potrebbero piombare addosso. Un po' come nella storia faceva la volpe con l'uva nascondendo dietro a un dito la sua impotenza, o la metafora del cane legato a un carro in movimento, che non avendo alternative gli conveniva tenere il passo sereno, invece di spezzarsi le zampe opponendosi al trascinamento. "Non cade foglia che Dio non voglia" giochetto psicologico opposto e speculare all’approccio magico che tenta di conformare, incrociando le dita, l’imponderabile accadere[1] del funzionamento universale al nostro desiderio.

Ci sarà anche tutto questo ma il fatto che portanti tradizioni sapienziali e filosofiche[2], nonché pensatori del calibro di Spinoza[3] e Nietzsche[4] affermino qualcosa di simile, è indizio che l’accadere contenga e sveli un nucleo cruciale.

Non possiamo escludere una vera e propria ontologia dell’accadere così come accade, e forse anche una metafisica tutta da indagare e da vivere.

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1 Antonello Sciacchitano annota che, riguardo il probabile, anche la scienza arranca:
“In tempi di intelligenza artificiale non conosciamo ancora l’algoritmo che simuli il “semplice” lancio di una moneta, essendo ogni algoritmo ultimamente determinista. Esistono solo algoritmi pseudocasuali che approssimano il comportamento random. La scienza moderna è originariamente incompleta. In fondo non sappiamo cos’è la probabilità nel senso che non sappiamo riprodurla. Questa ignoranza sta al fondo della scienza moderna, che è solo una scienza approssimata.”

2 Oltre alle diffuse religiosità del voluntas tua fiat, come non ricordare gli stoici che vedevano la realtà sempre attivata, nel modo migliore possibile, da un immanente principio divino, così vivevano ogni accadere come espressione dell’ordine provvidenziale dell'universo; anche i cinici valutavano proficua qualsiasi avversità.

3 “C’insegna in qual modo ci dobbiamo comportare verso le cose della fortuna o che non sono in nostro potere, ossia verso le cose che non seguono dalla nostra natura: aspettando e cioè sopportando con animo uguale l’uno e l’altro volto della fortuna, giacché tutto segue dall'eterno decreto di Dio con la medesima necessità con cui dall'essenza del triangolo segue che i suoi tre angoli sono uguali a due retti”. (B. Spinoza Ethica, parte II, XLIX, scolium). Da notare che qui Spinoza non afferma una provvidenza divina alla Manzoni dove un buon Dio sceglie di aiutarci, ma enuncia un funzionamento necessario.

4 “Per l’anno nuovo. Oggi ognuno si permette di esprimere il suo augurio e il suo più caro pensiero: ebbene, voglio dire anch’io che cosa oggi mi sono augurato da solo e quale pensiero [...] deve essere per me fondamento, garanzia, dolcezza di tutta la vita futura! [...] Amor fati [l'amore del fato; l’amore per ciò che accade proprio così come accade]: sia questo d’ora innanzi il mio amore! Voglio soltanto essere uno che dice sì.” (F. Nietzsche, La gaia scienza).

Martedì, 02 Gennaio 2024 15:43

La relazione che ci fa

Morto Dio, scomparsa la concezione di anima personale, cessato l’Io, nella post modernità cade l’entità autosufficiente del soggetto. Ma allora, se le cose stanno davvero così, com'è che si incontrano ancora individui per la via? Forse emergono, di volta, in volta, dalla relazione[1] con gli altri esseri umani, con gli animali, con le piante; dalle interconnessioni che hanno con le cose inorganiche e le iperconnessioni che attuano attraverso computer.

A questo punto -chissà perché?- tendono a individuarsi stabilmente inventando di continuo autobiografie che assemblino il loro estemporaneo apparire, in un ordine consequenziale sensato e solido su cui possano poggiare, così da essere.

La cosa singolare è che nel magma indifferenziato al quale appartengono sono così bravi, nell’impossibile operazione di darsi una sussistenza ontologica individuale, che talvolta esagerano producendo ego ipertrofici. Orfani di Dio e dell’ontologia classica non è facile trovare la giusta misura fra essere nessuno e essere qualcuno.

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1 Un po’ come Tommaso d'Aquino concepiva la creazione del mondo, non fatta all’inizio da Dio una volta per tutte, ma creazione continua che fa essere il mondo istante per istante.

Mercoledì, 27 Dicembre 2023 20:58

Schiatta e sorge

Freud nella conferenza “Noi e la morte” (1915), rendicontando sue fitte e accurate osservazioni cliniche osservò che, sotto, sotto, alla nostra morte mica ci crediamo poi tanto. Anche se deduciamo che alla fine moriremo anche noi, visto che vediamo gli altri prima o poi morire, Freud annota che questo nostro “alla fine” lo collochiamo in una distanza smisurata. Osservazione che guardandoci dentro risulta speditamente condivisibile.

Potremmo liquidare il fenomeno del disconoscimento della morte personale, interpretandolo con la notoria strategia dell’anestetizzare l’angoscia della morte, quello stratagemma psichico, forse biologico, che tenta di interrompere il penoso cortocircuito dato dalla volontà d’esserci a oltranza, che ci alberga naturalmente dentro, che cozza con l’effettiva finitudine biologica che invece constatiamo nel vedere gli altri morire. Freud nella conferenza elabora visuali più stimolanti:

“Per noi è assolutamente impossibile raffigurarci la nostra morte, ed ogni volta che tentiamo di farlo, ci rendiamo conto di assistervi da spettatori [vale a dire come qualcuno che è vivo e vegeto]. È per questo che la scuola psicoanalitica si è ritenuta in diritto di affermare che, in fondo, nessuno crede alla propria morte, o, il che è lo stesso, che ciascuno è inconsciamente convinto della propria immortalità”.

Messa così viene da azzardare che questa irriducibile sensazione di immortalità personale, non sia soltanto una scappatoia per lenire la paura della morte, ma abbia invece un fondamento ontologico oggettivo, anche perché non possiamo del tutto escludere che all’angoscia della morte personale attribuiamo un valore forse eccessivo rispetto a quello reale; indizi di sopravalutazione spaziano da Salvo D’Acquisto alle statistiche sui numerosi suicidi.

Per spiegare la sensazione di immortalità che ci caratterizza, potremmo ipotizzare un dualismo ontologico che ci vede nel contempo mortali e immortali. Giani bifronte[1] con una faccia con occhi che, sub specie aeternitatis, osservano la nostra imperitura rappresentazione interiore del mondo e l’altra che guarda là fuori verso il mondo mortale; facce interconnesse e differenti, dove una esprime l’individuale dimensione privata (accessibile solo a noi stessi), atemporale, non locale e non deterministica, l’altra la finitezza della dimensione esteriore pubblica, determinata da cause ed effetti, luoghi che mutano e tempi che iniziano e finiscono.

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1 Per dirla con Schopenhauer mondo come volontà e rappresentazione che i Veda raccontano così: “Due uccelli, una coppia di amici, sono aggrappati allo stesso albero. Uno di loro mangia la dolce bacca del pippala; l'altro, senza mangiare, guarda”.

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