BLOG DI BRUNO VERGANI

Radiografie appese a un filo, condivisione di un percorso artistico

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Bruno Vergani

Bruno Vergani

Radiografie appese a un filo. Condivisione di un percorso artistico, davanti al baratro con angoscia parzialmente controllata.

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Sabato, 22 Settembre 2012 16:50

Taci e impara

All’inizio dell’anno accademico il docente d’antropologia filosofica aveva illustrato il programma alle matricole:

«Non sono qui a filosofeggiare sull’uomo, ma per procedere ad un’ampia ricognizione della storia della filosofia in relazione allo sviluppo delle scienze sociali…»

Tutto chiaro e lo studente obbedisce diligente:

1 non pensa;

2 legge il testo di riferimento;

3 ripete a memoria quanto legge;

i tre passi del filosofo perfetto.

Arriva il giorno d’esame e il professore gli chiede a freddo:

«Cos’è un’idea?»

Lo studente si confonde, spiazzato avverte un senso di vuoto e non risponde. Il giorno dopo medita sulla personale défaillance e comprende che la risposta giusta sarebbe stata replicare:

«Professore, intende idea per il pensiero di Platone, Parmenide, Aristotele o per i contemporanei?»

Lì, il bravo ragazzo, avrebbe dato risposta tempestiva e congrua, invece la domanda del professore lo aveva portato a cercare in presa diretta l’“Ente Idea”, proprio come fanno i filosofi. Attrezzato di nozioni ma sfornito di strumenti e pensiero per inoltrarsi in quei territori complessi e insidiosi e, ancor di più, non sentendosi autorizzato a dire la sua in quanto severamente vietato dal mondo accademico, si era impaludato nel regno dell’indicibile.

Siccome è tutto vero, urge analizzare le seguenti ipotesi per individuare e risolvere il problema.

A. Il docente in oggetto è un sadico perverso;

B. Lo studente in oggetto è un idiota;

C. Forse c'è qualcosa che non va nelle università italiane.

Martedì, 18 Settembre 2012 13:28

«Ortodossia» Gilbert K. Chesterton

 «Devi leggere Chesterton! Devi assolutamente leggerlo!» Da tempo mi consigliavano da più parti, o meglio più persone della stessa parte, quella cattolica un po’ integralista caratterizzata dall’urgenza di convertire ed educare chicchessia. Non avevano tutti i torti, Chesterton non l’avevo mai letto, per essere preciso mi ero imbattuto in qualche aforisma dello scrittore inglese, ricordavo anche il protagonista di alcuni suoi racconti, padre Brown detective e sacerdote cattolico interpretato da Renato Rascel in una miniserie televisiva di quand’ero ragazzo. Storia che insieme a «Belfagor il fantasma del Louvre» si è un po’ incistata nell’immaginario collettivo dei cinquantenni italiani.

«E dài leggi Chesterton! E dài leggilo!» Mi avevano anche gentilmente inviato a gratis “Ortodossia”, un libro di Chesterton importante, una sorta di autobiografia filosofica. «E dài leggilo!» Di qua; «E dài leggilo!» Di là… Il libro era lì nel quarto scaffale della libreria e l’ho letto. Perché no? In fondo ero anche curioso di incontrare il pensiero di un autore oggi super citato, recensito e rieditato alla grande (l’Opera omnia conta decine di testi e centinaia di articoli).

La recensione a “Ortodossia” non la faccio, ce ne sono di numerose e ben scritte, dico alcune impressioni personali. Lo stile di Chesterton è simpatico, diretto, aforistico. Nel merito scrive disinibito, butta lì a ruota libera. A pagina 43 [edizione Società Chestertoniana Italiana 2008] racconta di monelli di strada, poi inaspettata una sentenza su Nietzsche:

«Il rammollimento cerebrale che da ultimo lo colpì non è stato un incidente fisico. Se Nietzsche non finiva nell’imbecillità sarebbe finita nell’imbecillità la sua dottrina.»

Roba da commento a tarda notte su Facebook di liceale ubriaco, meritevole di interruzione di lettura dell’intero libro, tuttavia ho proseguito considerando - da lì in poi - l’Autore giornalista e non filosofo. Da Nietzsche il massacro sistematico si espande, in un mix altezzoso e paranoico, a mezza storia della filosofia e alle religioni non cristiane. La mancanza di profondità, lo sparare a zero motivando confusamente, oggi diffuso, si aggrava collocando l’Autore nel periodo storico nel quale operava. Chesterton mica aveva i bravi Cacciari e Ilvo Diamanti come interlocutori. A Chesterton (1874-1936) giravano intorno: Freud (1856-1938); Marx (1818 -1883); Kafka (1883 –1924); Proust (1871-1922); Nietzsche (1844-1909). Mi fermo.

“Ortodossia” affronta i temi del vivere e del morire, del pensare, del soffrire, del male, della salute mentale, dell’Uomo e di Dio. Temi cruciali. Qualche aforisma e numerosi passaggi sono degni di citazione e approfondimento, complesso valutare se per coincidenza statistica (sparando molto e a capocchia qualcosa si becca) o per pensiero consapevole. Più si procede nella lettura e più sale la sensazione precisa che qualcosa non va, non per la difesa ad oltranza dell’ortodossia del cristianesimo istituzionale, ma per come Chesterton ci arrivi e la motivi. Nell’introduzione scrive la metafora del suo percorso di uomo immaginando un navigatore inglese che crede di sbarcare in terra lontana e barbara, senza accorgersi d’essere approdato in Inghilterra. Dopo un lungo e faticoso percorso di pensiero e ricerca la verità era già lì. L’Autore spiega:

«… la mia filosofia non l’ho creata io, l’hanno fatta Dio e l’umanità; è questa filosofia che ha fatto me.»

Valuta l’atto di pensiero del singolo irrilevante, patologico, dannoso, invece salvifico l’abbandonarsi quieti alla tradizione religiosa cristiana, meglio se bucolica, rurale, preindustriale, lì sull’isola (l’Inghilterra è un’isola) circoscritta e immacolata ben separata dal continente abitato da tutti gli altri, umanoidi un po’ sciocchini e sicuramente pericolosi. A pag. 86 precisa che manco l’isola separata dal mondo gli va bene:

« Il filosofo moderno mi aveva detto e ridetto che io ero nel posto giusto; tuttavia io mi sentivo lo stesso depresso pur nell’acquiescenza. E dopo aver appreso che ero nel posto sbagliato, la mia anima ha cantato di gioia come un uccello a primavera. La scoperta ha rivelato e illuminato stanze dimenticate nell’oscura casa dell’infanzia. Ora sapevo perché l’erba mi fosse sempre sembrata strana come la barba verde di un gigante, e perché avessi provato la nostalgia di casa a casa mia.»

Intolleranza, superficialità e contraddizioni dell’Autore sono compensate nel metodo da uno stile vivo, a modo suo onesto, in presa diretta. Nel merito dal coraggio di affrontare di petto gli argomenti cruciali dell’essere Uomo. Divertente, suo malgrado, quando si attarda nell’offrire indicazioni per ottenere perfetta salute mentale proponendoci di farci cullare dalla tradizione eterna dell’istituzione cristiana nell’attesa del Paradiso. Proposta quietistica e infantilizzante, mista al bizzarro nichilismo di voler essere angelo invece che uomo. Eppure per l’Autore chi non lo fa è già pazzo o sicuramente lo diventerà. Da leggere.

Sabato, 08 Settembre 2012 14:01

“Fetish”

Rimsha Masih la ragazzina pakistana accusata di blasfemia, per il sospetto di aver bruciato pagine di un libro sacro islamico è stata rilasciata su cauzione. La denuncia contro di lei era stata prefabbricata ma il sacro libro, Rimsha, non lo aveva manco guardato, manco toccato e neppure bruciato. Le perplessità sulla vicenda permangono anche dopo la scarcerazione: Rimsha è stata dichiarata innocente per non aver commesso il fatto, non perché il fatto non costituisse reato. Feticismo evidente, assoluto, inequivocabile: “Dio è grande” e un libro che dice la Sua Parola diventa anch’esso grande come Lui, anche se è un pezzo di carta. Tutto sommato Iddio anche se grande manco si vede, il libro in vece si. "In vece di..." E' forse la migliore definizione di feticismo.

Rimsha Masih è cristiana e i cristiani, insieme a tutti gli uomini di buon senso, si indignano per l’accaduto. Feticci e feticismo faccenda, dunque, di religioni integraliste? Di spiritualità ancestrali, tribali,  esotiche? Dalle nostre parti, nel nostro tempo, non è in vigore alcuna Sharia e la blasfemia non è punibile con la pena di morte, eppure il feticcio religioso continua a essere attualissimo. Nelle chiese - e non solo - della moderna Europa  imperversano oggetti (nella Chiesa cattolica talvolta anche persone) che pur non essendo Dio lo diventano in Sua vece, chiunque non li rispetti merita sanzione non solo per il danno oggettivo procurato, come sarebbe congruo, ma anche per offesa al sentimento religioso che l' "Oggetto" rappresenta. Tutto sommato è comprensibile, anche i mariuoli che rubano l'anello, ricordo della beneamata nonna defunta, meriterebbero l'aggravante e forse benefici quando lo sottraggono alla suocera detestata. In ogni caso oltre ad indignarci per i feticismi orientali sarebbe forse proficuo interrogarci sui nostri: feticci spirituali e religiosi, materiali e atei.

Nei primi decenni del XX secolo non esistevano strumenti di diffusione come gli attuali, media capaci di amplificare la "cultura dell'immagine", in grado di creare e decuplicare icone di massa, feticci di moda-potere, brand deificati onnipervadenti, eppure Marx e Freud, oggi un po’ rimossi, troppo rimossi, si erano già attardati nell’osservazione, inferenza e giudizio del feticismo, convinti che impregnasse e condizionasse pesantemente il pensiero dei singoli e il vivere insieme.

Gillo Dorfles nei nostri anni si è impegnato nell'enucleare il feticismo occulto che permea le piccole cose, nel suo saggio «Il feticcio quotidiano» scrive:
«… La madre che va per la strada col bambino neonato nel carrozzina e che all'amica che loda l'infante, risponde: “Dovresti vedere la sua fotografia!” Ci troviamo di fronte un classico esempio di come venga dato più peso al risultato fittizio che all'autentico. Ecco, dunque, uno degli aspetti d'una elaborazione feticistica: la foto migliore, “più parlante” del bambino».

Trascorrere le vacanze a scattare foto per pubblicarle nel simulacro di un social network invece di vivere la realtà del momento;
l’intrattenersi di massa nella contemplazione di immaginette devozionali offerte dalla pornografia virtuale, mentre  partners dotati di corpo reale rimangono ad aspettare che i pornauti terminino le loro giaculatorie misticheggianti per poterli abbracciare per davvero...
L’elenco dei feticci provincial-nostrani sarebbe lungo, materiale modesto, forse inoffensivo, evidentemente lontano dal feticismo religioso dei militanti islamici del Pakistan, eppure nel prevalere dell’immagine, dell'oggetto simbolico in vece della realtà, constatiamo qualcosa di somigliante e i territori d’azione si rivelano inaspettatamente contigui.

 

 


TI CHIAMO DOMANI  Paolo Polli mixed media on canvas. 

Martedì, 04 Settembre 2012 12:07

Psicostasia

Si sa, sul carrozzone cattolico c'è di tutto, anche Antonio Socci che sostituendosi a domeneddio fa la psicostasia all'anima del cardinal Martini. Trattasi di pratica appartenente a religioni antiche dove l'anima del defunto viene, da Dio in persona, pesata su una bilancia a due piatti per misurarne peccati e virtù.
Quel che meraviglia non è l'operazione in sé, ma che venga pubblicata da un quotidiano nazionale; Socci dalle pagine di Libero la espone al mondo, al cosmo intero, in dettaglio. L'Arconte mette su un piatto della bilancia i demeriti del cardinale.

E uno: «Una cosa è certa, Martini è sempre stato portato in trionfo sui mass media di tutto il mondo, da decenni, e incensato specialmente su quelli più anticattolici e più ostili a Gesù Cristo e alla sua Chiesa».
E due: «I fatti dicono che Martini ha sempre cercato l'applauso del mondo, ha sempre carezzato il Potere (quello della mentalità dominante) per il verso del pelo, quello delle mode ideologiche dei giornali laicisti, ottenendo applausi ed encomi».
E tre: «Tutto quello che le mode ideologiche imponevano trovava Martini dialogante e possibilista: "non è male che due persone, anche omosessuali, abbiano una stabilità e che lo Stato li favorisca", aveva detto».
E quattro. La sentenza eterna vira all'infausto: «Martini ha incredibilmente firmato la prefazione a un libro di Vito Mancuso che - scrive "Civiltà cattolica" - arriva "a negare o perlomeno svuotare di significato circa una dozzina di dogmi della Chiesa cattolica"».

Ma Socci nella sua infinita misericordia mette sull'altro piatto della bilancia i meriti del Cardinale ricordando «l'erudizione biblica di Martini».
Troppo poco: il piatto della bilancia con sopra i peccati scende di brutto verso un purgatorio da 41 bis, forse verso l'inferno se non fosse per le iniziative salvifiche implementate da Socci stesso: «Farò dire delle messe e prenderò l'indulgenza perché il Signore abbia misericordia di lui». Dio è grande.

Sabato, 01 Settembre 2012 14:33

"Paradise Faith"

Il feticcio non ha gambe e da solo non sta in piedi. Guscio vuoto vale meno del due di picche, ma grazie all’aria insufflata dal devoto si gonfia ed esiste onnipotente.

Ipertrofico per artificio se ne sta stravaccato sull’altare, talvolta sul trono al posto del re. Se ignorato dal fedele si dissolve rapido nel niente che lo costituisce. Per esistere necessita ad oltranza di schiavi innamorati che in lui si identifichino e confondano, però un po’ paga il fedele di tanta fedeltà e sacrificio:

al feticista dà l’immediata sensazione d’avere ciò cui tutti gli altri devono invece raggiungere remando con impegno, costanza, fatica, compromessi.

Tutto sommato c’è di peggio.

Domenica, 12 Agosto 2012 18:21

ascese e discese

Nei nosocomi enti ecclesiastici c’è sempre la statua della Madonna lì nell’angolo del corridoio, quella con le dodici lampadine sempre accese intorno alla testa, quella che schiaccia la testa al diavolo. E’ di gesso colorata di turchese, il faccino fa una espressione autistica, un mix di sofferenza e ebbrezza; il diavolo col tallone sulla testa tira fuori un po’ la lingua e ghigna eccitato. Non si capisce se piace di più alla Madonna schiacciare il diavolo o a lui essere calpestato.

Kičo il serbo aveva sempre ruotato il capo solo a destra e a sinistra, ma oggi si sente eroe e guarda all’insù

ammaliato,

incantato,

rapito,

affascinato dall’illimitato.

Icaro balcanico pervaso dal

celestiale,

ineffabile,

aereo,

paradisiaco,

grandioso,

etereo,

idilliaco,

supremo,

stupendo,

sovrumano,

eccelso,

altissimo,

immenso,

indicibile,

grandissimo,

sconfinato,

angelico,

sacrosanto,

intangibile,

impareggiabile,

meraviglioso,

splendido,

strabiliante ed estatico Assoluto.

Tempo fa, in tre settimane, Kičo aveva dato il suo contributo per ammazzare centinaia di persone perché di religione diversa dalla sua. Aveva così onorato il dio della sua Patria, ma nel guardare un albero mosso dal vento d’improvviso realizza, per un istante,  che la Patria è un’ idea. La Patria non esiste. L’albero si. Perplesso guarda all’ingiù e si sfracella sulle sue scarpe nere, un po’ impolverate. Infarto. Chi più va su, più cade giù. Meglio stare alla larga da scale mobili che ascendono e discendono. I gatti non giudicano l’appartenenza alla propria specie sfavorevole, invece le religioni degli uomini fabbricano scale per andar su, sempre più su, per allontanarsi più che possono dalla sfiga d’essere uomini. Su dove? Però quello là… l’antico predicatore ebreo… quello di Nazareth, se ne infischiava d’essere Dio e gli piaceva essere uomo… Diceva che è meglio uomo che Dio… uno così alla madonnina con le dodici lampadine accese intorno alla testa, intorno al cranio immacolato, intorno all’osso sacro, gli avrebbe pisciato sopra per fargliele andare in cortocircuito. Che sia stato proprio lui il diavolo?

Martedì, 07 Agosto 2012 10:54

Meglio uomo che Dio

Alcuni nichilismi filosofici nel negare l’assolutezza di essere e enti si contrappongono a numerose concezioni mistiche (sia esotiche che nostrane), eppure su un punto cruciale i nemici si incontrano:

l'essere uomo è da entrambi giudicata condizione sfavorevole.

Cristo valutava invece "l'umano" opzione vantaggiosa e proficua. Concezione rivoluzionaria e originale, purtroppo anestetizzata e corrotta da tradizioni, miti, stratificazioni storiche e incrostazioni dottrinarie.

Metto in piazza una articolata risposta alla citazione in giudizio con richiesta danni, promossa da Roberto Formigoni nei miei confronti per presunta diffamazione a mezzo stampa.

Formigoni e Perego appartengono all'Associazione laicale Memores Domini di Comunione e Liberazione, com’ero appartenuto anch'io anni fa (avendo Perego come convivente e diretto superiore). Al Corriere ho riferito del funzionamento relazionale all’interno dei Memores riguardo al patrimonio comune, oggetto di una stringata intervista. Ho spiegato in forma condensata che i singoli memor si percepiscono un corpo solo in cui io sono la mano destra e tu quella sinistra; tu il piede e io la testa. Quindi l'identità è totale.

Spiego. Don Giussani definiva la comunione tra Memores con l’affermazione: «Io sono Tu che mi fai», con quel “Tu” intendeva Dio e nel contempo, riferendosi al mistero dell’incarnazione cristiana, ogni confratello aderente al gruppo. In questa concezione il nome di ogni memor è ritenuto sacramentalmente unificato all’origine con quelli degli aderenti gruppo. Comunità giudicata dagli appartenenti segno sacramentale di Dio stesso e “ontologicamente” costitutiva (farebbe essere, esistere) l’“Io” di ogni singolo componente. Nella concezione interna dei Memores ogni nome è, dunque, fuso nel gruppo; un “Noi” corporazione mistica, coincidente la presenza di Dio nella storia e strutturante alla radice ogni partecipante al gruppo.

All'interno di questa esaltazione unitaria oltre la carne e il sangue, con vincoli di riservatezza e di fiducia molto più stretti di quelli di una famiglia, la gestione dei beni obbedisce - indifferente alle norme del diritto privato - a regole proprie: ogni singolo aderente nel professare promessa di povertà al gruppo rinuncia ad ogni possesso personale offrendolo alla corporazione ma, dato che la comunità dei Memores è composta dall'insieme indivisibile dei partecipanti stessi, di fatto ogni aderente (pur non possedendo personalmente nulla) usufruisce dei beni di tutti gli altri, nella forma e misura dettate dal Direttivo responsabile del gruppo nei confronti del quale ogni memor deve assoluta obbedienza. In concreto a quel "Noi" ogni singolo partecipante dà tutto e prende tutto: ciascun patrimonio personale è “prestato” a tutti e l'intero patrimonio del gruppo viene “prestato” ad ognuno, così all'interno dell'associazione - pur usufruendo appieno del patrimonio collettivo - ogni singolo partecipante non possiede personalmente nulla come esige il voto di povertà, condizione inderogabile per l’ammissione alla corporazione. Riguardo la povertà la descrizione ufficiale dei Memores afferma: «Distacco da un possesso individuale del denaro e delle cose.» Non dall’utilizzo personale nel possesso di gruppo.

In questa concezione autoreferenziale il confine d’imputabilità di ogni memor in relazione al patrimonio dei Memores (e viceversa) diviene nebuloso: i nomi e cognomi personali si confondono, commutano tra loro, si mischiano, si  interpongono vicendevolmente, si unificano indistinti nell’idea di quel “Noi”, “Ente” umano ritenuto dagli aderenti sovrumano e divino che tutto ricompone, ingloba, copre, giustifica, salva. Il mio pensiero critico si riferiva pertanto alla concezione unitaria dei Memores e alla conseguente con-fusione riguardo i patrimoni dei singoli fra loro, nella corporazione e nella società civile (trattasi nella fattispecie di Associazione laicale non eremita, ma operante preminentemente nella società: lavoro, economia, politica), dove la povertà intesa come rinuncia al possesso personale ma non all'utilizzo dei beni favorisce, a mio avviso, meccanismi ambigui e derive tribali nella gestione, possesso ed uso, del patrimonio personale e associativo, e all’interno del gruppo, e con il mondo esterno. Don Giussani indicava di far proprie le ragioni dell’autorità dei Memores da cui l'informazione di fondo doveva essere individuata, accolta e consapevolmente ri-eseguita. Per obbedire quindi non bastava l’accondiscendenza, l’accettazione e neppure l’identificazione con il superiore, ma si esigeva interiorizzazione: l’appropriarsi dei contenuti, dei giudizi e delle opinioni dell’autorità per farle diventare intimamente proprie sentendone il valore. In questa concezione la morale personale coincide con la sequela all’autorità del gruppo, con l’obbedienza al diretto superiore invece che alla propria coscienza. Per me Cristo “era” Alberto Perego, quanto mi ordinava io eseguivo di scatto come la rana morta di Galvani muove la zampa per impulso elettrico. Dopo pochi anni diventato consapevole dei rischi di una simile concezione me ne sono andato, anche se ai miei tempi non esistevano ville pagate e yacht messi a disposizione in nuce c'era già tutto. La cronaca di questi giorni, con esponenti di Comunione e Liberazione e di memor indagati e imputati in vicende giudiziarie relative a reati finanziari, avvalora la sanità della mia decisione.

Il giudice della settima sezione penale del tribunale di Milano, riferendosi alla condanna in primo grado ad Alberto Perego (per dichiarazioni mendaci al P.M. sulla titolarità di conti correnti esteri), aveva scritto: «Desolante l’atteggiamento menzognero adottato nei confronti della pubblica autorità da persone appartenenti ad ambiti sociali portatori di elevati ideali […] permanente nebulosità circa i reali motivi che ne hanno determinato la condotta». Ricordando queste perplessità e conoscendo il funzionamento all’interno del gruppo essendo stato uno di loro, nell’intervista al Corriere ho spiegato nel merito, non di nomi prestati a qualcuno per evitare di comparire come sintetizza il titolo dell’articolo scelto dal giornalista, ma di una concezione comunitaria singolare avulsa dalle regole sociali. Nell'utilizzare il termine "prestanome" non intendevo pertanto giudicare personalmente chicchessia, ma commentando la cronaca avevo risposto a precisa domanda, spiegando il funzionamento delle relazioni personali all’interno dell’Associazione laicale nella gestione dei beni patrimoniali. Un mio personale contributo che nel descrivere i meccanismi fagocitanti della corporazione sugli aderenti attenua responsabilità personali e procura evidentemente più aiuto che danno alla persona di Formigoni.

Per questo motivo mi risulta incomprensibile che sia stato citato in giudizio peraltro per tematiche che chiederebbero confronto dialettico e spiegazioni nel merito invece che i tribunali. Stravagante la richiesta di risarcimento danni da parte del Governatore della Regione più ricca d’Italia (con risorse personali congrue a contribuire all’acquisto di una villa al mare da milioni di euro per un amico e permettersi vacanze esotiche, come afferma lo stesso Formigoni) indirizzata al sottoscritto erborista che vende tisane per mantenere la famiglia. Richiesta cattiva e insieme fragile finalizzata ad inibire la libera espressione di pensiero. Senesi Andrea sul Corriere della Sera scriveva: Formigoni «annuncia querele nei confronti […] dell' ex memor Domini Bruno Vergani, “colpevole” di interviste che hanno evidenziato “null' altro che livore personale”». In un precedente comunicato il legale incaricato da Formigoni precisava: «L’azione di tutela legale è altresì promossa (oltre ad alcuni organi di informazione e giornalisti, nota mia) contro quelle persone che mediante interviste o interventi hanno dato sfogo a risentimenti personali, anche loro esercitandosi in quell’azione diffamatoria che, sarà dimostrato, fine a se stessa.»

Nei miei interessi e urgenze le vicende personali di Formigoni sono assenti e quelle politiche si trovano al novantanovesimo posto, se interpellato al riguardo commento la cronaca a partire dal mio vissuto manifestando il mio pensiero. «Livore personale»; «sfogo di risentimenti personali, azione diffamatoria fine a se stessa» dei quali Formigoni mi accusa pubblicamente non corrispondono a verità.

Sentimenti a me estranei che albergano in concezioni integraliste che, per imbarazzo nella condotta personale e miseria di argomenti, vengono proiettate scomposte nei confronti di chi ha avuto il coraggio di cambiare idea, prendendo distanza critica dal gruppo di appartenenza e spiegandone pubblicamente i motivi. Rivelatore, al riguardo, che il giornalista che mi ha contattato e scritto l’intervista e il Direttore responsabile del Corriere della Sera che l’ha pubblicata, amplificando a livello nazionale il mio pensiero, siano rimasti indenni da citazione in giudizio.

Domenica, 05 Agosto 2012 15:08

Alle radici dell’etica formigoniana

Il Giorno informa che l'ex fidanzata di Roberto Formigoni è stata convocata dai pm di Milano per chiarimenti «su una serie di versamenti fatti in passato su un suo conto corrente dal Governatore lombardo, indagato per corruzione aggravata». Nel contempo Negri vescovo di San Marino-Montefeltro, intervistato da Panorama, sentenzia: «Formigoni ha fatto cose straordinarie. La stampa è contro Cl perché contro la Chiesa.»
Cronaca e tematiche storiche si mischiamo e confondono. Difficile comprendere.

Il giudice della settima sezione penale del tribunale di Milano, riferendosi alla condanna in primo grado ad Alberto Perego coinquilino di Formigoni (relative ad un precedente procedimento per dichiarazioni mendaci al P.M. sulla titolarità di conti correnti esteri), aveva scritto:
«Desolante l’atteggiamento menzognero adottato nei confronti della pubblica autorità da persone appartenenti ad ambiti sociali portatori di elevati ideali […] permanente nebulosità circa i reali motivi che ne hanno determinato la condotta».

Per comprendere forse aiuterebbe un po’ di epistemologia, quella branca della filosofia che individua le condizioni e i metodi per ottenere conoscenza. Per dirla semplice: "Di cosa stiamo parlando?" Probabilmente un epistemologo con gli attributi darebbe ragione a Formigoni quando denuncia la deriva voyeuristica e gossippara di certa stampa e non si attarderebbe a leggere di yacht, voli privati, spiagge e vacanze milionarie di monaci gaudenti che elargiscono denari alla fidanzata di turno, andrebbe invece dritto alla sorgente, al nucleo etico che muove il governatore.

Comincerebbe dalle origini: conversazione di Giussani ad un gruppo di Memores Domini del 1 ottobre 1995. «Se non c’è risposta a quel che sei, sei un disgraziato!» «Immaginate di andare in piazza Duomo a Milano alle sei di sera, d’estate, o in primavera, o d’autunno, d’autunno presto. Piazza Duomo è quasi piena, gente che va di qui, gente che va di là; ma osservate che c’è qualcosa che non va: sono tutti senza testa! Immaginate di essere lì: sono tutti senza testa, solo voi avete la testa! La vita è così, il mondo è così».
Poi prenderebbe nota dell’incipit del messaggio di Giussani per il XXV Pellegrinaggio a Loreto, dove Giussani diceva al suo popolo:
«Quando ci si mette insieme, perché lo facciamo? Per strappare agli amici – e se fosse possibile a tutto il mondo – il nulla in cui ogni uomo si trova».

Dell’etica formigoniana l’epistemologo otterrebbe lumi dalla lettera che Carrón aveva recentemente scritto a Repubblica dopo gli scandali lombardi, dove invitava i ciellini alla purificazione nell’ emanciparsi da sé stessi per seguire Cristo nel Movimento. Gente speciale gli appartenenti al gruppo perché, ricordava Carrón, affascinati, segnati, plasmati in eterno nelle fibre dell’essere da Cristo stesso, traboccanti di lui, e concludeva che nessuna incoerenza interna e ostilità esterna potrà mai fermare l’opera dei prescelti.
Formigoni aveva risposto con gratitudine: «Carrón, le tue parole sono un formidabile aiuto per purificarci e ripartire. Grazie don Julián».

Per chiudere l’indagine all’epistemologo non rimarrebbe che leggere il vescovo di San Marino-Montefeltro nell’intervista a Panorama: «Formigoni ha fatto cose straordinarie. La stampa è contro Cl perché contro la Chiesa.» Problema, dunque per il prelato, non giudiziario ma epocale. Negri continua: «Non giudico un politico sulla base delle camicie e delle vacanze costose […]  Il contesto ostile alla Chiesa in Italia è stato rallentato da Cl». Spiega: «Nella maggior parte dell’Europa la chiesa si trova a giocare in un contesto sociale e politico terribilmente ostile. Questo processo è stato, non dico vinto, ma fortemente rallentato in Italia dalla presenza di realtà come Cl. Il laicismo non l’ha ancora perdonato alle realtà vive della Chiesa. […]  È la Chiesa stessa a essere sotto assedio, perché rappresenta un’alternativa a questa società consumistica, individualistica e tecnoscientifica, dove tutto viene deciso dal massmediaticamente corretto».

Obiettivo raggiunto. Etica formigoniana enucleata: il governatore è convinto di difendere e appartenere ad una corporazione ritenuta dal fondatore, dai suoi più autorevoli responsabili e da lui stesso, coincidente la presenza di Dio stesso nella storia. Comunità di uomini sovrumana e divina che tutto può, tutto ricompone, tutto giustifica e tutto salva.

Indagine epistemologica conclusa. Etica del Celeste enucleata. Mortali avvisati.


Sabato, 04 Agosto 2012 16:44

Epifania d'agosto

Percezione della realtà che oscilla tra routine e reattività poi all’improvviso un momento di grazia, epifanico. Il pensiero si riattiva rapido e potente e il sangue riprende a circolare nelle vene, l'occhio vede e tutto, o quasi, si chiarisce.

Ieri alla festa mi sono intrattenuto con una ottantenne, mi ha raccontato di bombardamenti e fame, era una bambina e quello è stato il suo momento epifanico, da lì interpretava il mondo.

Momento epifanico? Dove? Quando? Come? Se la grazia scarseggia occorrono bombe che ci piovono in testa?

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