Bruno Vergani
Radiografie appese a un filo. Condivisione di un percorso artistico, davanti al baratro con angoscia parzialmente controllata.
'O scarrafone mistico
Le palme muoiono mangiate dal Rhynchophorus ferrugineus, il Punteruolo Rosso.
Ho catturato un esemplare adulto, angosciato faceva il morto: la strategia dei mistici.
Teologia tribale, psichiatria esistenziale
Don Giussani, certo della condizione creaturale dell’uomo, sosteneva che la dipendenza ontologica dal “Mistero” che ci ha fatti fosse l'unica possibilità di emancipazione dal nulla che ci incombe addosso.
“Ontologico”, Giussani, non lo utilizzava filosoficamente ma empiricamente, come aggettivo o avverbio della parola “essere”, come “ciò che è in realtà”. Anche Mistero - rigorosamente con la M maiuscola - non lo diceva per l’occulto che significa, ma come la forma specifica che il Creatore avrebbe scelto per incontrare gli uomini: la Chiesa cattolica, posto in cui il Dio misterioso si farebbe presente.
Da qui sentenziava che più l’uomo si sottrae a questo disegno divino misterioso e carnale insieme, tanto più scivola verso il nulla. Il singolo uomo, elemento insignificante, nulla assoluto, per poter essere dovrebbe, dunque, percepirsi come cellula appartenente alla corporazione ecclesiastica: un'anima collettiva, di gruppo, come le api e le formiche, anzi di più: dipendenza ontologica totale come i buchi nel formaggio, che grandi o piccoli, superficiali o profondi, devono comunque il fondamento del loro essere nell’appartenere all’oggetto che li ospita, fuori si dissolvono.
Siccome il Mistero si è incarnato, è diventato corpo, corporazione, la dipendenza ontologica giussaniana che ci consentirebbe di “essere”, si attuerebbe appartenendo a quella comunione di uomini che, in quanto prescelti dal destino, rappresenterebbero il Mistero che ha fatto tutte le cose, nella fattispecie le autorità della istituzione ecclesiastica; onnipotenti che guidano dipendenti.
La psichiatria più che la teologia chiarisce la faccenda. Lo scozzese R. D. Laing, psichiatra e filosofo, nella sua opera più importante “L’io diviso” dedica un intero capitolo, il terzo, all’insicurezza ontologica e alle conseguenti dipendenze esistenziali. Descrive con lucidità la visione ontologica di Giussani - che mai aveva conosciuto - in modo antitetico: diagnostica la dipendenza ontologica psicotica e giudica, invece, l’uomo sano quello che libero da appartenenze e dipendenze è capace di pensiero autonomo.
Laing precisa: “La capacità di sentirsi autonomo significa che si è riusciti a rendersi conto di sé come persona separata da tutti gli altri. Per quanto profondamente io sia legato, nella gioia o nel dolore, a un’altra persona, questa non è me, né io sono lei.”
Evidente? Elementare? Ovvio? Non per tutti.
Fuoco rigeneratore
Pulito il ripostiglio dopo dieci anni, nel trovare una chiave inglese arrugginita mi è tornato alla mente un amico ingegnere meccanico che progettava motori. S’impegnava per farli semplici, diceva che i pezzi che non si rompono mai sono quelli che non ci sono.
Così quando ho trovato gli occhiali di mio padre defunto li ho buttati nella spazzatura. Coroncina del rosario di quand’ero ragazzo, con grani di nocciolo d’ ulivo garantito di Gerusalemme, dentro il camino acceso. Statuine del presepe salvate dalla spazzatura dalla mia compagna, soggetto romantico.
So che i consigli dell’ingegnere applicati agli uomini invece che ai motori aprono la strada al nichilismo, però mi è piaciuto.
Sii te stesso?
“L’onestà fu il suo ideale, il lavoro, la sua vita, la famiglia, il suo affetto” .
Così recita l’incipit di un di necrologio prefabbricato, come un template di WordPress, che le agenzie funebri, quelle professionali, mettono a disposizione dei parenti a corto di idee che intendono sintetizzare vita e opere del caro estinto.
E pensare che da vivo, proprio chi da morto l’ha incorniciato in due righe standard, gli suggeriva di essere sempre sé stesso, di non indossare personalità a seconda del luogo e delle circostanze per tirar fuori quell’ ‘Io’ unico irripetibile, inequivocabile, che era.
Invece lui da vivo si percepiva in costante divenire e senza sentirsi impostore esprimeva pluralità complesse, dinamiche sempre differenti. Il suo io mutava velocemente con i suoi pensieri e talvolta coi suoi sentimenti e non sapendo chi era, invece d’essere chiunque, era proprio lui.
Essere o divenire?
Nel Tetragramma biblico è rivelato il nome proprio di Dio: Yahweh "Io sono ciò che sono"; così, l’individuo fatto a immagine e somiglianza di quel Dio può affermare il “dato” che gli regala inequivocabile e stabile identità: “Io”.
Eppure, pur accorgendoci di essere noi stessi per deduzione immediata come suggerisce la Bibbia, osserviamo che la struttura dell’Io e le dinamiche che creano l’identità personale risultano complesse. Constatiamo che l’io è mutevole, inafferrabile, proteiforme, più vicino ad una costruzione narrativa, ad un processo in svolgimento, che a un dato oggettivo immodificabile ed inequivocabile.
La dialettica tra i due approcci ha caratterizzato la storia del pensiero e il rapporto conflittuale tra visioni religiose integraliste e umanesimo laico, fino a quando Yahweh - nome che nella tradizione ebraica è giudicato troppo sacro per essere pronunciato - è diventato, nella versione inglese "I Am What I Am", il motto della campagna pubblicitaria dell’azienda leader mondiale di scarpe da ginnastica. Il messaggio della multinazionale invita i giovani a riscoprire ed abbracciare la propria individualità unica e irripetibile perché test di laboratorio certificano che indossando le loro scarpe “... si genera un'attivazione dei glutei fino al 28% maggiore rispetto a una comune scarpa da ginnastica grazie ad un sistema di capsule di bilanciamento all’interno della suola della scarpa che crea una naturale instabilità ad ogni passo”.
Un 28% per cento in più di tono al culo che permette finalmente di affermare: "Io sono io". Potevano dirlo prima.