BLOG DI BRUNO VERGANI

Radiografie appese a un filo, condivisione di un percorso artistico

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Bruno Vergani

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Radiografie appese a un filo. Condivisione di un percorso artistico, davanti al baratro con angoscia parzialmente controllata.

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MEMORIE DI UN MEMORES COSÌ CL È DIVENTATA “AFFARI”

Gianni Barbacetto

Il Fatto Quodidiano, Milano 24 aprile 2012

Li ha visti da vicino, i ciellini e la loro élite, i Memores Domini. Perché Bruno Vergani era uno di loro.

“Ho incontrato Comunione e liberazione a Carate Brianza, dove abitavo. Avevo 14-15 anni e sono entrato nel movimento. Ero felice: invece di avere due o tre amici, ne avevo trecento. Ma ho preso la cosa molto seriamente e qualche anno dopo ho deciso di fare una scelta di dedizione totale a Dio. Era il 1976, avevo 19 anni. Ne ho parlato con don Luigi Giussani, il prete carismatico che aveva fondato Cl. Mi ha proposto di entrare in quello che allora era chiamato il ‘Gruppo adulto’ di Cl e che poi si è chiamato ‘Memores Domini’. Prima di entrare, ho fatto un anno di noviziato. Ero il novizio più giovane d’Italia. Poi sono finalmente entrato nella Casa e dopo un altro anno ho fatto la ‘promessa’: i tre voti di povertà, obbedienza e verginità, in linea con la tradizione monastica. Eravamo in effetti una comunità monastica ispirata alla regola di San Benedetto e formata da piccoli nuclei dislocati in anonimi appartamenti metropolitani. All’interno di ogni Casa un responsabile, il capo Casa. A coordinare le Case un direttivo guidato da don Giussani. La mia Casa era a Concorezzo, vi abitavamo in cinque e capo Casa, o priore, era Alberto Perego”.

Qualche anno dopo, Perego diventerà uno dei collaboratori più stretti di Roberto Formigoni, il titolare di conti all’estero (“Paiolo”) e di società offshore (Candonly, Fondazione Memalfa) su cui affluiscono soldi misteriosi. Sarà anche il compagno di viaggio di Formigoni nelle vacanze del capodanno 2009, a Parigi e poi all’Altamer Resort di Anguilla, nelle Piccole Antille, a spese del faccendiere della sanità lombarda Piero Daccò.

“Ma allora Perego era solo un ragioniere che lavorava in uno studio di Milano. Avrebbe dovuto essere la guida anche religiosa del mio gruppo, ma era molto modesto. Eppure a lui dovevamo obbedienza assoluta. Obbedire a lui era come obbedire a Dio. Perché per la teologia di Cl, l’Ente supremo s’incarna in Gesù Cristo e poi nella Chiesa: ti prende fisicamente nel pezzo di Chiesa che tu hai incontrato. Dovevamo rifiutare la fede intimistica, per una fede concreta. Don Giussani lo chiamava ‘processo analogico’. Per me, dunque, il Dio incarnato era Alberto Perego!”.

Vergani non regge a lungo.

“Ero scisso tra i grandi ideali della fede e la infinita tristezza della vita quotidiana. Nel 1980 me ne sono andato”.

Oggi è stupito dei soldi che circolano nelle mani degli uomini di Cl.

“Allora ciascuno della Casa metteva il suo stipendio nella cassa comune, da cui si attingeva per pagare le spese. Ognuno prendeva poi per sé un piccolo contributo: io ci compravo i sigari e le scarpe. Facevamo vita sobria: avanzavano sempre dei soldi che erano messi a disposizione del direttivo dei Memores, che li utilizzava per far crescere il movimento, comprare altre Case, ingrandire la corporazione... Ricordo don Giussani: aveva i pantaloni sempre un po’ lisi, viveva in un modesto appartamento in via Martinengo a Milano. E ora leggo che Perego compra ville in Sardegna... Eppure sono convinto che questo esito era già scritto nella teologia di don Giussani: Perego e Formigoni non tradiscono, ma realizzano il pensiero del fondatore”.

Don Giussani era animato infatti dall’ossessione della “presenza”: i cattolici, contro una visione intimista e individualista della fede, devono mostrarsi nel mondo, costruire cose visibili.

“Sì, il problema è l’ontologia di don Giussani. Noi uomini siamo strappati dal nulla che ci incombe addosso, incontrando Cristo nella forma specifica che lui ha scelto: la Chiesa cattolica, luogo in cui si fa presente. Nella concretezza, incontrando Cl. Il singolo uomo è in sé insignificante, è nulla. Per poter essere, deve diventare cellula appartenente alla corporazione ecclesiastica, come le api e le formiche sono nulla senza il loro gruppo organizzato. Anzi di più: per l’uomo la dipendenza ontologica è totale, come i buchi nel formaggio. Dio presceglie un gruppo di uomini, Cl, e questi lo rappresentano in Terra. Chi è scelto è tutto, in quanto appartiene (cioè obbedisce) al gruppo. Chi è fuori è nulla. È una teologia tribale”.

Il successore di don Giussani, Julián Carrón, come l’arcivescovo di Milano Angelo Scola, sembrano prendere le distanze dalla deriva affaristica di Cl.

“Ma hanno la medesima teologia del fondatore. Carrón ne ha ripreso proprio l’ontologia, negli esercizi spirituali dei giorni scorsi a Rimini”.

Alcuni ciellini provano disagio per lo stile di vita di Formigoni. E la ciellina Carla Vites, moglie di Antonio Simone (in carcere, come Daccò, per le indagini sui milioni sparita alla Fondazione Maugeri), ha avuto parole durissime nei confronti del presidente della Lombardia.

“Carla Vites invitava Cl a ‘un sussulto di gelosia per la propria identità’. Ma Formigoni non ha tradito quell’identità, l’ha realizzata. Chi è dentro Cl è in missione per conto di Dio, può tutto, le regole sociali e il codice penale non contano più. La presenza di Cristo che vive nella storia coincide con Cl, come pure il senso della storia e il bene pubblico. Questa è la vera patologia, non le camicie a fiori di Formigoni”.

Giovedì, 19 Aprile 2012 18:10

Gentile Carla

Carla Vites, moglie del ciellino Antonio Simone recentemente arrestato, scrive al Corriere della Sera. Gesto che rispetto e apprezzo nel metodo ma non nel merito, in una lettera rispondo in piazza.
 
Gentile Carla,
nella sua lettera al Corriere della Sera invita Comunione e Liberazione a «un sussulto di gelosia per la propria identità, per quello che Giussani pensava al momento della fondazione» e attacca Formigoni, a suo dire, traditore di amici e del pensiero del fondatore.
Perplesso da santificazioni e condanne ritengo invece che il problema alberghi proprio nell’identità ciellina da lei esaltata, della quale il governatore è diretta e congrua espressione.

Pensiero e identità che ben conosco: punto di partenza l’uomo e le sue presunte necessità ontologiche e ideali. Da qui l’urgenza di trovare direzione, senso e realizzazione, in una consapevolezza integrale: il senso religioso. Questo il valore e da qui i valori. L’urgenza che, dunque, avvertiva Giussani era che il potere politico dovesse tutelare questo senso religioso integrale; nella fattispecie che favorisse il consolidarsi e l’ingrandirsi della corporazione-istituzione ciellina fino agli estremi confini della terra.
Per il pensiero di Giussani chi è Gesù Cristo? Dov’è? Nella Chiesa? Non proprio. Cristo è concettualmente nella Chiesa, ma di fatto si manifesterebbe in quel pezzo di Chiesa che il ciellino ha incontrato: CL stessa. In questa teologia tribale, squisitamente giussaniana, il senso della cose, la morale, la cosa pubblica non sono tematiche da affrontare con imparzialità e confronto dialettico con l’Altro, in quanto si presume di possedere, perché prescelti dal destino, il significato ultimo di tutto e tutti in maniera integrale e indiscutibile: la presenza di Cristo che vive nella storia attraverso la compagnia di appartenenza.
Cristo coinciderebbe con CL, la verità anche, il senso della storia e il bene pubblico pure. In questa autoreferenzialità sta l’equivoco, ben più patologico e pericoloso delle «orrende camicie fiorate» del governatore, da lei ricordate.

E’ evidente che chi, all’interno di CL,  è un minimo sensibile avverte che c’è qualcosa che non va, ma siccome è stato programmato all’obbedienza, invece di dissentire dal pensiero del fondatore reagisce attaccando il “traditore” e stringendosi al gruppo di appartenenza: nel tentativo di sostenere l’inumana fatica di conciliare la drammatica realtà alle credenze tribali il veleno è equivocato per medicina. Difficile per l’appartenente a CL funzionare in modo diverso, così si è lasciato programmare dal pensiero del fondatore.
Cara Carla, l’avevo fatto anch’io, poi un giorno evitando di santificare e condannare chicchessia mi sono semplicemente detto: «Che fesso sono stato».

Auguri signora Carla!

Bruno Vergani

Giovedì, 19 Aprile 2012 11:32

art. 21

«Ogni ufelè al fa ul so mesté» vale solo per pasticceri, neurochirurghi e idraulici per tutto il resto è roba da inibiti.

L'art. 21 della Costituzione stabilisce che: «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero…»
Compresi nella fattispecie: bluffare del tuttologo, ammonimento del teologo, iperbole del filosofo teoretico, smargiassata del politico, bugia dell’ipocrita, stupidata dell’idiota, boutade del blogger.

Tutti convinti, con Kant, dell’universalità della propria soggettività.

Lunedì, 16 Aprile 2012 17:02

Gott mit uns

Il processo penale imputando il criminale, sanzionandolo, ingrigliandolo nelle sbarre della cella e delle sistematizzazioni, tenta di rimarginare la ferita sociale procurata dal delitto. E’ iniziato il processo a Anders Behring Breivik, autore del doppio attacco terroristico di Oslo e dell’isola di Utoya, ma la giustizia dei codici penali sembra arrancare.
L’imputato entra nel tribunale di Oslo e ostenta braccio destro teso e pugno chiuso ai familiari delle vittime poi, devoto e fiero, se lo mette al cuore. Aveva scritto che quel saluto esprime «la forza, l'onore e la sfida ai tiranni marxisti».
Valutato, nell’ultima perizia, capace di intendere e volere si presenta impeccabile, pulito, ben vestito per esordire con una dichiarazione di non imputabilità: «Riconosco i fatti ma non mi riconosco colpevole». L’avvocato difensore ha annunciato che il suo assistito potrebbe esternare nel dibattimento insoddisfazione per non aver procurato un numero maggiore delle 77 vittime e 42 feriti gravi raggiunti.
Anders Behring Breivik soggetto idealista, a suo dire «salvatore del Cristianesimo», riferisce che ha compiuto la strage per dare un «messaggio forte al popolo, per fermare i danni del partito laburista» e la «decostruzione della cultura norvegese per via dell'immigrazione in massa dei musulmani».

I gangster agiscono per mettere qualcosa sotto i denti, non curanti di ideali e Teorie mirano al profitto procurando sofferenze estreme, eppure gli olocausti non li hanno fatti loro ma i bravi figli, i bravi lavoratori, i bravi patrioti, i bravi padri; bravi nazisti, bravi stalinisti. Gente idealista. Gente pulita. Gente ordinata. Gente pura. Gente che perseguiva oceanico onore nell'ineffabile ordine. Anders Behring Breivik nei suoi scritti cita il filosofo John Stuart Mill: «Una persona con una fede ha la forza di 100.000 che hanno solo interessi».

Nell’ interrogatorio al nazista Eichmann, responsabile tecnico della deportazione e genocidio sistematico di ebrei, nomadi, omosessuali, il giudice istruttore gli domandava: «Ritiene di essere stato un perfetto servitore dello stato, ligio alla legge?»
Eichmann: «Ma io sono kantiano; io obbedisco alla legge, non all’ordine,
perché il Fuhrer era il principio stesso della legge. Io sono stato educato alla scuola di Kant».

Può essere molto più pericoloso un idealista di una gang di delinquenti.

Domenica, 15 Aprile 2012 20:11

Fondazione Maugeri

Associazione per delinquere, appropriazione indebita e riciclaggio? Tutt’altro. Quella è roba da codice penale valido per gli uomini, qui abbiamo a che fare con militanti in missione per conto di Dio.

Un pugno di uomini scelti dall’Altissimo che tramite loro diventa corpo e storia: dall’al di là entra nell’al di qua per salvare il mondo dal nulla, nell’espandersi dell’organizzazione dei prescelti.

E’ facile riconoscerli hanno tutti Jolly nel mazzo, comunque tirino vincono. Noioso l' happy end perpetuo, dopo un po' viene l'occhio da pesce lesso, ma a loro piace.

Venerdì, 13 Aprile 2012 17:29

Grand’uomo pover’uomo

Annuncio di nascita: «E’ nato Pinco Pallo il giorno 12 marzo alle ore 8»
e ci si ferma lì.
Si nasce immuni da predicato, da ciò che si dice del soggetto e non sarebbe male una esistenza che continui così, ma l’infezione è precoce.
Imperversa già nel bambino che da soggetto sovrano non curante di attributi, insomma uomo, inizia ad infettarsi con aggettivi e ruoli che lo designano, qualificano e determinano.

Cresciuto si farà chiamare avvocato, lo scriverà bello in grande sul citofono e griderà in piazza la sua notorietà, competenza e onestà. Nell’elargire consigli a persone intime premetterà: «Ti parlo come avvocato e come amico».

Dopo tanta fama, stima e autostima, virtù e onore, l’epilogo.
Necrologio: «Partecipiamo al grande dolore per la morte dell' avvocato Pinco Pallo valente professionista integerrimo pubblico amministratore e da sempre amico affettuoso».

Gli è andata bene. Almeno all’inizio, per un paio di mesi, aveva fatto esperienza d'essere uomo invece che un brav’uomo. Non possiamo escludere che avrebbero potuto massacrarlo fin dal primo istante:
«E’ nato Pinco Pallo il giorno 12 marzo alle ore 8, neonato buono, bravo, intelligente e serio».

Mercoledì, 11 Aprile 2012 17:07

Pulire il pollaio?

«Esiste una via che conduce alla libertà: i suoi punti fondamentali si chiamano: obbedienza, assiduità al lavoro, onestà, ordine, pulizia, sobrietà, gusto della verità, spirito di sacrificio […]».

Non è il codice etico di un segretario di partito latrato da un palco bergamasco che mendica acclamazione dalla base delusa, ma la chiusa del regolamento per i detenuti nei lager nazisti.

Nella gerarchia del peggio i marioli di certi partiti, nell'essere lì per perseguire profitto e piacere personali, manifestano qualcosa di più sano rispetto ai fessi affascinati da Teorie e innamorati del capo.

Martedì, 10 Aprile 2012 11:34

Ineffabile stupore. Racconto

Per accertare se esistevo o non esistevo di tanto in tanto frequentavo cerimonie con nativi americani incontrati per caso. Con loro ingurgitavo nottetempo piante psicotrope attorno ad un fuoco. Alla fine della settima cerimonia lo sciamano, per premiarmi di tanta devozione, mi aveva regalato del Peyote secco, che avevo lasciato là, dimenticato nella credenza.

Vicini di contrada avevano insistito per invitarmi ad un pellegrinaggio. Non avevo piacere, motivo e neppure interesse di alzarmi prima dell’alba per salire su un pullman che mi avrebbe portato sulle montagne di Avellino al santuario di san Gerardo, ma in piena notte mi ero svegliato per andare in bagno e nell’urinare d’improvviso avevo associato il Peyote secco, dimenticato nella credenza, al pellegrinaggio. Lo stupore procurato dalla pianta forse mi avrebbe fatto apprezzare il pellegrinaggio, l’azione emetica l’avrei giustificata come mal d’auto. Così, invece di ritornare a dormire, mi ero mangiato la polvere di cactus messicano ed ero partito con il gruppo.

Il parroco della contrada, un francescano, non aveva nessuna autorità, rimaneva seduto all’ultimo posto ignorato da tutti. Comandava su tutti l’immagine di san Gerardo, un giovane prete dallo sguardo autistico, appiccicata sul parabrezza. Di tanto in tanto qualcuno prendeva iniziativa per recitare rosari estemporanei un po’ in dialetto, un po’ in italiano dialettale.
L’effetto del Peyote aumentava, l’avevo capito perché stavo pregando anch’io. La nausea era gestibile. Giunti al santuario un giovane diacono con la faccia da san Gerardo ci aveva accompagnati nel santuario per la messa. Aveva riferito che quello era un giorno speciale perché d’indulgenza, una sorta d’offerta speciale sullo sconto dei peccati. Mentre i pellegrini si comunicavano il Peyote, andato completamente in circolo, mi elargiva l’acme dell’azione psicotropa: lì composto vedevo i pellegrini stupiti e ossessi, rapiti in una magia celestiale, tutti con l’espressione precisa dell’immagine di San Gerardo appiccicata su parabrezza del pullman. Cloni perfetti.

Il giorno successivo tornato a casa avevo intravisto un pellegrino lavorare nella sua cava, caricava col bulldozer pietre su un camion. Non latrava più: «Viva san Gerardo! Viva Maria!» L’espressione della faccia era ordinaria, l’ossesso stupore gli era passato. Aveva fatto più effetto san Gerardo a lui che il Peyote a me.

Sabato, 07 Aprile 2012 12:09

L'Arconte celeste

Talvolta qualche Ente statale mi complica l’imprendere, disturbi di sottofondo non meritevoli di suicidio. Da tanti anni conduco una erboristeria con laboratorio di produzione, raccolgo le piante e le trasformo per realizzare rimedi. Se gli utili calano l’imputato è il sottoscritto titolare che consapevole si attiva a intraprendere.

Italia divisa: cittadini uccisi dall’Ente opposti ai furbi che se la godono benedetti dall'Ente, in una mostruosa progettazione e architettura del decorso storico decisa da un qualche Arconte celeste che nel mischiare le carte elargisce ai primi due di picche e agli altri Jolly.

Entrambi pedine di Teorie fatalistiche irrevocabili, entrambi non imputabili, entrambi dunque miserabili. Destino predeterminato? Quale? Stabilito da chi? Enti statali, Enti economici, Enti divini, palloni vuoti che agiscono se gli si crede. Non servono eroi per combattere Teorie.

Chi nel quotidiano vive la laicità ne conosce il significato per immediata evidenza, eppure quando intende definirla sa di avventurarsi in territori insidiosi.
La laicità non è riducibile ad una negazione: chi non appartiene al clero religioso, ma anche professionale o partitico. Anche definirla in positivo è operazione delicata perché la laicità rigetta sistematizzazioni, aggettivi e avverbi, mal tollera anche i sostantivi e non sopporta attributi.
Camminando sulle uova potremmo definirla così: la laicità è l’atto del pensare con la propria testa. Se la testa del soggetto è sana la definizione, nella sua elementarità, si rivela precisa e congrua: primato del pensiero e della persona.
Soggetto pensante e soggetto laico, dunque, coincidenti.

Accettata la definizione le insidie permangono quando dal pensiero del singolo si vuole implementare una laicità organizzata e militante che sia mordace nel sociale. Quando i laici, pensatori eremiti, scelgono di aggregarsi per incidere con più efficacia insorgono inevitabili problematiche e perplessità. Nel trasporre il pensiero del singolo all’interno del gruppo si tenderà, per forza di cose, ad inibirne l'originaltà con poco laiche e un po’ presbiteriali anestesie, compromessi, obbedienze e conformazioni onde evitare scismi, eresie e scomuniche. Olocausto del pensiero personale offerto per il buon funzionamento del gruppo a soddisfazione delle sue gerarchie.

Più i gruppi, laici e non, si caratterizzano ideologicamente più tendono inevitabilmente a clericalizzarsi, ad identificarsi nelle idee e nelle comunità di appartenenza. Laicità sacralizzata, ideologico giudizio di valore dove l’originale pensiero personale vira in liturgie conformi alle linee programmatiche imposte.
Per gli Stati il fenomeno della sacralità laica si amplifica, nota la retorica allegorica, rituale, monumentale, parareligiosa, di laiche Repubbliche, con altari della patria e puttini alati lì a raffigurare teorie e idee di Liberté, Égalité, Fraternité che abitano le alte sfere, sistematicamente tradite nella vita reale.

Diffuso nei gruppi di laici organizzati, impegnati ideologicamente a muso duro, il sussistere per antitesi reattiva: laicità come anticlericalismo. Lì in mezzo ad atei e agnostici si subodora odore di sacrestia, lo si avverte nella semantica asfittica, dottrinaria, reattiva, ritualmente prevedibile, povera. Il virus del clericalismo da piazza San Pietro si espande fino agli estremi confini della terra infettando luoghi insospettati, tutta colpa della nota legge fisica che caratterizza il clericalismo: è come il vischio ti si appiccica addosso. Nell’attaccarlo a distanza ravvicinata dal pulpito della ideologica militanza  ci si ritrova a far la predica.
Preferibile l’atto del pensare con la propria testa nella proficua cooperazione di operai eremiti. Nessuna missione speciale da compiere. Basta e avanza che ognuno dica rilassato e preferibilmente in piazza il proprio pensiero. Quando c’è, se c’è.

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