BLOG DI BRUNO VERGANI

Radiografie appese a un filo, condivisione di un percorso artistico

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Sabato, 25 Novembre 2023 17:18

Regni e principati

Avevo messo quattro pesci rossi nello stagno, quattro di numero, passati manco due anni erano più di duecento, si sa la natura è fissata con l’esserci, perpetuarsi e crescere, però dopo un tre anni i pesci erano diminuiti a un centinaio e passato qualche tempo erano solo cinquanta. Da tre anni permangono cinquanta, di tanto in tanto un paio di più o di meno per poi ritornare ancora cinquanta in equilibrio con le dimensioni dello stagno.

L’altro giorno nel rendermi conto del processo, ho percepito l’istantanea sensazione di appartenere a un funzionamento affidabile che “sa” bene quello che fa[1]. Per me quell’istante di consapevolezza è stato importante, come sono importanti tante altre esperienze personali che tutti noi facciamo, il problema che non appena le comunichiamo, anche solo a noi stessi[2], forniamo una immagine sbiadita, a volte distorta, di quanto avevamo provato. Alla fine l’evento della percezione individuale immediata è forse ciò che davvero conta, è quella esperienza che ci pervade testa e corpo ma che precede ogni pensiero e parola. Poi, va da sé, che quella esperienza si pensa e ricorda, va da sé che si dice a se stessi e agli altri, talvolta si scrive.

Può anche capitare che le esperienze si pensino e dicano così tanto, che alla fine si pensa e si dice la vita invece di viverla. Nel trasferire un evento dall’esperienza al pensiero e alla parola l’esperienza perde un po’ della sua potenza originaria, già solo il pensarla e ricordarla è rappresentarla, ossia un’altra cosa rispetto all’originale, sì somigliante ma un’altra cosa, dunque dire il ricordo dell’esperienza è una rappresentazione della rappresentazione, scriverlo è rappresentare la rappresentazione della rappresentazione, perché nello scrivere prima traduciamo l’esperienza dell’evento in pensiero, poi traduciamo quel pensiero in parole e per finire quelle parole in segni. Tutto sommato, alla fin fine, parlare e scrivere bene è l’abilità di comunicare, attraverso l’utilizzo-superamento dell’artefatto della parola pensata, detta o scritta che sia, una immagine il meno possibile sbiadita di una certa esperienza.

L’esperienza individuale diretta è come se appartenesse a un certo regno ontologico, il dire e lo scrivere a un altro. Il problema è che se non usciamo dall’ontologia privata della percezione personale siamo condannati a uno stato simile a quello di monadi autistiche, in un regno senza alcun contenimento dove follia e delirio sono leciti, ma se ne usciamo perdiamo la purezza e la potenza dell’esperienza diretta smarrendoci nella Babele del mondo degli uomini, perché l’altro esige comunicazione quindi trasposizione e traduzione. I due regni ontologici sono insieme distinti e interconnessi, come il Giano bifronte non ci resta che viverli entrambi facendoci in due rimanendo uno.

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1 Il funzionamento naturale fa anche metastasi, ma statisticamente produce più omeostasi che metastasi.

2 Ho almanaccato un ragioniere occulto lì a monitorare a tempo pieno il numero di pesci rossi aumentandoli o diminuendoli secondo necessità, demiurgo sì divertente ma che ha immediatamente depotenziato l’esperienza originaria. Forse meditare significa vivere il momento per quello che è evitando di inquinarlo mettendogli le mani (i pensieri) addosso.    

Pubblicato in Filosofia di strada
Mercoledì, 01 Novembre 2023 22:09

Questo è dilemma

E’ fiorita la Bidens aurea [un clic sulla foto per ingrandirla], le pennellate centrali giallo neon su fondo bianco non le ha date Dio e neppure un demiurgo, causa di se stesse accadono un po’ per caso e un po’ per legge di natura.

A questo punto davanti alla Bidens passiamo noi, vale a dire nessuno dato che al pari delle piante siamo anche noi prodotti da caso e necessità. Il problema è che da dentro il nessuno che siamo sorge spontanea -chissà come? chissà da dove?- l’immediata autoevidenza di essere qualcuno. Questo qualcuno dice: “Ma che belli ‘sti fiori !” E dicendolo informa la pianta di essere bella. Forse alla indifferente pianta la cosa non interessa, forse la pianta lo sa già d'essere bella, comunque sia non c'è dubbio che noi siamo artefici di una informazione consapevole.

Fuori di noi accade un mondo riducibile a leggi meccanicistiche, invece dentro di noi sorge l’evento di una coscienza individuale consapevole di sé e dell’ambiente, coscienza personale libera e imputabile. Se quardiamo il mondo fuori non c'è alcun io e nessun correlato libero arbitrio, ma non appena quardiamo dentro di noi eccoli sorgere nella loro gloria.

Ma da dove viene fuori questa coscienza personale? That is the question[1]. Senza alcun desiderio di antropocentrismo o nostalgia di un Creatore è la ragione che lo chiede.

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1 Un’ipotesi potrebbe essere che siccome noi siamo coscienti anche la natura potrebbe contenere una specie di proto-coscienza, la teoria è chiamata panpsichismo. E' una teoria antica, in effetti la coscienza come sostrato del mondo, che quindi permetterebbe il manifestarsi della materia (pennellate gialle sulla Bidens incluse) è già affermata nel Vedanta. Se escludiamo la possibilità di un Dio creatore che ci ha muniti di coscienza la cosa sarebbe anche da considerare, il problema è che c’è una diffusa preclusione per certe ipotesi, forse ereditata dal "pretesco" materialismo ottocentesco, che nel suo elidere pezzi portanti di effettività è visione inidonea per spiegare la realtà, ma che come un fiume carsico riemerge di continuo precludendo l'indagare. Mi torna alla mente Carlo Rovelli che nel suo bel libro Elgoland, riguardo la possibilità che la nostra coscienza individuale derivi da una proto-coscienza onnipervadente che ci precede, segava l’ipotesi così: “E’ come dire che, siccome una bicicletta è fatta di atomi, allora ciascun atomo deve essere proto-ciclistico”. Rovelli è una bella persona e uno dei migliori divulgatori scientifici, però per uno che sa perfettamente distinguere e agevolmente districarsi nella complessa ontologia corpuscolare e ondulatoria della realtà, equiparare la coscienza a una bicicletta è cosa piuttosto volgare. Rifiutato il panpsichismo di solito il problema della coscienza non viene considerato se non come epifenomeno. La coscienza viene vista come una specie di accessorio, una sorta di sintomo collaterale che emerge dal cervello, senza però dedurre in che modo la materia di cui il cervello è composto estruda questa strana cosa aliena dall'organo che la produce. Insomma della coscienza non se ne parla e quando se ne parla si balbetta.

Pubblicato in Erbario

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