BLOG DI BRUNO VERGANI

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Martedì, 07 Agosto 2012 08:14

LA POVERTA' NEI MEMORES, RISPONDO IN PIAZZA ALLA QUERELA DI FORMIGONI: Chi grida «Ti denuncio!» ha già un po' perso

Scritto da 

Metto in piazza una articolata risposta alla citazione in giudizio con richiesta danni, promossa da Roberto Formigoni nei miei confronti per presunta diffamazione a mezzo stampa.

Formigoni e Perego appartengono all'Associazione laicale Memores Domini di Comunione e Liberazione, com’ero appartenuto anch'io anni fa (avendo Perego come convivente e diretto superiore). Al Corriere ho riferito del funzionamento relazionale all’interno dei Memores riguardo al patrimonio comune, oggetto di una stringata intervista. Ho spiegato in forma condensata che i singoli memor si percepiscono un corpo solo in cui io sono la mano destra e tu quella sinistra; tu il piede e io la testa. Quindi l'identità è totale.

Spiego. Don Giussani definiva la comunione tra Memores con l’affermazione: «Io sono Tu che mi fai», con quel “Tu” intendeva Dio e nel contempo, riferendosi al mistero dell’incarnazione cristiana, ogni confratello aderente al gruppo. In questa concezione il nome di ogni memor è ritenuto sacramentalmente unificato all’origine con quelli degli aderenti gruppo. Comunità giudicata dagli appartenenti segno sacramentale di Dio stesso e “ontologicamente” costitutiva (farebbe essere, esistere) l’“Io” di ogni singolo componente. Nella concezione interna dei Memores ogni nome è, dunque, fuso nel gruppo; un “Noi” corporazione mistica, coincidente la presenza di Dio nella storia e strutturante alla radice ogni partecipante al gruppo.

All'interno di questa esaltazione unitaria oltre la carne e il sangue, con vincoli di riservatezza e di fiducia molto più stretti di quelli di una famiglia, la gestione dei beni obbedisce - indifferente alle norme del diritto privato - a regole proprie: ogni singolo aderente nel professare promessa di povertà al gruppo rinuncia ad ogni possesso personale offrendolo alla corporazione ma, dato che la comunità dei Memores è composta dall'insieme indivisibile dei partecipanti stessi, di fatto ogni aderente (pur non possedendo personalmente nulla) usufruisce dei beni di tutti gli altri, nella forma e misura dettate dal Direttivo responsabile del gruppo nei confronti del quale ogni memor deve assoluta obbedienza. In concreto a quel "Noi" ogni singolo partecipante dà tutto e prende tutto: ciascun patrimonio personale è “prestato” a tutti e l'intero patrimonio del gruppo viene “prestato” ad ognuno, così all'interno dell'associazione - pur usufruendo appieno del patrimonio collettivo - ogni singolo partecipante non possiede personalmente nulla come esige il voto di povertà, condizione inderogabile per l’ammissione alla corporazione. Riguardo la povertà la descrizione ufficiale dei Memores afferma: «Distacco da un possesso individuale del denaro e delle cose.» Non dall’utilizzo personale nel possesso di gruppo.

In questa concezione autoreferenziale il confine d’imputabilità di ogni memor in relazione al patrimonio dei Memores (e viceversa) diviene nebuloso: i nomi e cognomi personali si confondono, commutano tra loro, si mischiano, si  interpongono vicendevolmente, si unificano indistinti nell’idea di quel “Noi”, “Ente” umano ritenuto dagli aderenti sovrumano e divino che tutto ricompone, ingloba, copre, giustifica, salva. Il mio pensiero critico si riferiva pertanto alla concezione unitaria dei Memores e alla conseguente con-fusione riguardo i patrimoni dei singoli fra loro, nella corporazione e nella società civile (trattasi nella fattispecie di Associazione laicale non eremita, ma operante preminentemente nella società: lavoro, economia, politica), dove la povertà intesa come rinuncia al possesso personale ma non all'utilizzo dei beni favorisce, a mio avviso, meccanismi ambigui e derive tribali nella gestione, possesso ed uso, del patrimonio personale e associativo, e all’interno del gruppo, e con il mondo esterno. Don Giussani indicava di far proprie le ragioni dell’autorità dei Memores da cui l'informazione di fondo doveva essere individuata, accolta e consapevolmente ri-eseguita. Per obbedire quindi non bastava l’accondiscendenza, l’accettazione e neppure l’identificazione con il superiore, ma si esigeva interiorizzazione: l’appropriarsi dei contenuti, dei giudizi e delle opinioni dell’autorità per farle diventare intimamente proprie sentendone il valore. In questa concezione la morale personale coincide con la sequela all’autorità del gruppo, con l’obbedienza al diretto superiore invece che alla propria coscienza. Per me Cristo “era” Alberto Perego, quanto mi ordinava io eseguivo di scatto come la rana morta di Galvani muove la zampa per impulso elettrico. Dopo pochi anni diventato consapevole dei rischi di una simile concezione me ne sono andato, anche se ai miei tempi non esistevano ville pagate e yacht messi a disposizione in nuce c'era già tutto. La cronaca di questi giorni, con esponenti di Comunione e Liberazione e di memor indagati e imputati in vicende giudiziarie relative a reati finanziari, avvalora la sanità della mia decisione.

Il giudice della settima sezione penale del tribunale di Milano, riferendosi alla condanna in primo grado ad Alberto Perego (per dichiarazioni mendaci al P.M. sulla titolarità di conti correnti esteri), aveva scritto: «Desolante l’atteggiamento menzognero adottato nei confronti della pubblica autorità da persone appartenenti ad ambiti sociali portatori di elevati ideali […] permanente nebulosità circa i reali motivi che ne hanno determinato la condotta». Ricordando queste perplessità e conoscendo il funzionamento all’interno del gruppo essendo stato uno di loro, nell’intervista al Corriere ho spiegato nel merito, non di nomi prestati a qualcuno per evitare di comparire come sintetizza il titolo dell’articolo scelto dal giornalista, ma di una concezione comunitaria singolare avulsa dalle regole sociali. Nell'utilizzare il termine "prestanome" non intendevo pertanto giudicare personalmente chicchessia, ma commentando la cronaca avevo risposto a precisa domanda, spiegando il funzionamento delle relazioni personali all’interno dell’Associazione laicale nella gestione dei beni patrimoniali. Un mio personale contributo che nel descrivere i meccanismi fagocitanti della corporazione sugli aderenti attenua responsabilità personali e procura evidentemente più aiuto che danno alla persona di Formigoni.

Per questo motivo mi risulta incomprensibile che sia stato citato in giudizio peraltro per tematiche che chiederebbero confronto dialettico e spiegazioni nel merito invece che i tribunali. Stravagante la richiesta di risarcimento danni da parte del Governatore della Regione più ricca d’Italia (con risorse personali congrue a contribuire all’acquisto di una villa al mare da milioni di euro per un amico e permettersi vacanze esotiche, come afferma lo stesso Formigoni) indirizzata al sottoscritto erborista che vende tisane per mantenere la famiglia. Richiesta cattiva e insieme fragile finalizzata ad inibire la libera espressione di pensiero. Senesi Andrea sul Corriere della Sera scriveva: Formigoni «annuncia querele nei confronti […] dell' ex memor Domini Bruno Vergani, “colpevole” di interviste che hanno evidenziato “null' altro che livore personale”». In un precedente comunicato il legale incaricato da Formigoni precisava: «L’azione di tutela legale è altresì promossa (oltre ad alcuni organi di informazione e giornalisti, nota mia) contro quelle persone che mediante interviste o interventi hanno dato sfogo a risentimenti personali, anche loro esercitandosi in quell’azione diffamatoria che, sarà dimostrato, fine a se stessa.»

Nei miei interessi e urgenze le vicende personali di Formigoni sono assenti e quelle politiche si trovano al novantanovesimo posto, se interpellato al riguardo commento la cronaca a partire dal mio vissuto manifestando il mio pensiero. «Livore personale»; «sfogo di risentimenti personali, azione diffamatoria fine a se stessa» dei quali Formigoni mi accusa pubblicamente non corrispondono a verità.

Sentimenti a me estranei che albergano in concezioni integraliste che, per imbarazzo nella condotta personale e miseria di argomenti, vengono proiettate scomposte nei confronti di chi ha avuto il coraggio di cambiare idea, prendendo distanza critica dal gruppo di appartenenza e spiegandone pubblicamente i motivi. Rivelatore, al riguardo, che il giornalista che mi ha contattato e scritto l’intervista e il Direttore responsabile del Corriere della Sera che l’ha pubblicata, amplificando a livello nazionale il mio pensiero, siano rimasti indenni da citazione in giudizio.

Ultima modifica il Lunedì, 14 Maggio 2018 17:52

11 commenti

  • Link al commento Massimo Angelini Giovedì, 09 Agosto 2012 07:53 inviato da Massimo Angelini

    Mi sembra che Formigoni e Perego dovrebbero apprezzare il chiarimento che presenti e usarlo con gratitudine per avvallare il loro tentativo di giustificazione.

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  • Link al commento giuseppeandrioli Domenica, 19 Agosto 2012 05:26 inviato da giuseppeandrioli

    Caro Bruno non ti preoccupare: ora inizia il mitico Meeting (lo metto ancora in maiuscolo sigh sigh) e tra infiniti e piadine varie anche il divin Celeste si perderà nei meandri degli incontri che si fanno incontro e dello sguardo che partecipa a sguardi e arrancando verso l'assoluto e oltre capirà che chi grida "ti denuncio!" ha perso del tutto, e non solo un pò. ps: o dici che non lo capirà ancora??

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  • Link al commento Bruno Vergani Domenica, 19 Agosto 2012 10:18 inviato da Bruno Vergani

    Caro Giuseppe, non mi preoccupo ma sono perplesso sulla capacità di comprensione: servirebbe un minimo di pensiero in azione invece che la pietrificazione in presupposti avvenimenti salvifici; processo logico capace di articolare il pensiero a vari livelli invece di grossolane enunciazioni sul destino degli uomini e constatazione del continuo divenire invece del fisso stupore, ci vorrebbe anche un po' di poesia e...

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  • Link al commento Bruno Vergani Sabato, 20 Ottobre 2012 15:29 inviato da Bruno Vergani

    Il seguente stralcio di conversazione telefonica fra due manager della Compagnia delle Opere (pubblicato da Repubblica: http://milano.repubblica.it/cronaca/2011/12/08/news/tangenti_le_nuove_carte_sul_pirellone_spunta_la_rete_degli_uomini_targati_cl-26260034/) che citano un passaggio del libro "Il Senso Religioso" di Giussani, ben esprime la fattispecie di quel sacro “Noi” operante nel mondo di cui ho scritto:

    “Ti ricordi cosa c’è scritto nel ‘Senso religioso’… Poca osservazione e molto ragionamento conducono all’errore”. “Esatto”. “Molta osservazione e poco ragionamento conducono alla verità. Figa, è così! Il caro vecchio Don Gius c’ha ragione. Eh!”. “Comunque è entusiasmante muoversi così in modo coordinato in 24 ore. Cioè mi fa godere più che…più di 10 mila euro di cazzi nostri cash, guarda”. “Dovremmo muoverci all’unisono sempre così…Come fossimo un corpo solo. Mentre spesso e volentieri siamo completamente scollati. Dopo ci ricompattiamo nell’emergenza, mi segui?”.

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  • Link al commento Bruno Vergani Mercoledì, 23 Gennaio 2013 12:16 inviato da Bruno Vergani

    22 gennaio caso Kaleidos, giro di appalti truccati nel settore del noleggio auto, coinvolti appartenenti alla CDO e Cl, in conferenza stampa gli inquirenti affermano:
    «I comportamenti delittuosi erano legati a un sentire comune basato sull’appartenenza alla medesima struttura. Un legame così profondo che a volte prescindeva anche dal pagamento di una somma di denaro».

    Amicone da Tempi replica:
    «mi permetto evidenziare l’abnormità – almeno così a me pare – di un’ordinanza e di una conferenza stampa in cui magistrati sostengono motivazioni del genere:
    1 Che vi sia una stretta correlazione tra responsabilità personale e penale di un determinato individuo incriminato per un determinato delitto (nel caso Kaleidos, presunta “corruzione” e presunta “turbativa d’asta”) e l’appartenenza dello stesso individuo a una certa cerchia, associazione, comunità di individui. In un solo caso a me pare sia possibile anche solo adombrare una correlazione del genere: quando un magistrato ritenga e, dunque, motivi adeguatamente, di essersi imbattuto in un’associazione a delinquere di stampo mafioso.
    2. Che delitti che hanno precise connotazioni e aggravanti previsti dal codice penale, possano essere interpretati così elasticamente da stabilire la tendenziale delittuosità di certi “legami profondi”, “motti” e “appartenenze” associazionistici, costituendo ciò un aggravante (“Corruzione per appartenenza più pericolosa”)»

    Operazione di Tempi fragile, è evidente che quanto riferito dai magistrati va circoscritto al caso (delittuoso) di specie, universalizzarlo è operazione disonesta.

    Comunque se volessero continuare offro, a Tempi, suggerimento per un nuovo articolo:
    Titolo: «Se nella chiesa primitiva avessero noleggiato auto?»
    Con relativa conferenza stampa dei magistrati che passano in rassegna gravissime accuse:
    «Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune; 45 chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno. 32 La moltitudine di coloro che eran venuti alla fede aveva un cuore solo e un'anima sola e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune. 34 Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano l'importo di ciò che era stato venduto 35 e lo deponevano ai piedi degli apostoli; e poi veniva distribuito a ciascuno secondo il bisogno.» At. 2,42-47; 4,32-35

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  • Link al commento andrea Sabato, 16 Agosto 2014 10:50 inviato da andrea

    L’ipocrisia dei religiosi e delle religiose che prima fanno voto di povertà e poi «vivono da ricchi, ferisce le anime dei fedeli e danneggia la Chiesa».

    lo ha detto ieri papa Francesco in Corea, fortuna che abbiamo un papa così (e non un certo prete dai capelli rossi...)

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  • Link al commento Bruno Vergani Lunedì, 22 Giugno 2015 12:16 inviato da Bruno Vergani

    Buccini nell’intervistare Formigoni [1] mi cita in piazza:

    « Bruno Vergani era uno dei primi Memores della casa di Concorezzo, il cui priore era Alberto Perego, che nel giro di alcuni anni diventerà il fedele compagno di Formigoni e si intesterà conti e società estere (Paiolo, Candonly, Memalfa) sempre proteggendo il segreto della titolarità con la sua professione di commercialista. Crollerà presto, il giovane Vergani, il cimento è troppo arduo per lui. Però ne trarrà una interpretazione sul senso della cassa comune:

    “I Memores fanno voto di povertà. Ma questo non significa proibizione di utilizzare i soldi e i beni del gruppo. In questa concezione, il confine di imputabilità di ogni Memor in relazione al patrimonio dei Memores (e viceversa) diviene nebuloso: i nomi e i cognomi si confondono, si unificano indistinti in quel noi umano che diventa sovrumano e divino, in cui tutto si ricompone e viene inglobato, coperto, giustificato, salvato… questa concezione del possesso e dell’utilizzo mette in moto, a mio avviso, meccanismi ambigui e derive tribali nella gestione dei soldi e dei beni”.

    Formigoni è sprezzante. Ride in falsetto. “Non siamo gli Hare Krishna, questa è la descrizione degli Hare Krishna, su! Non potete prendere per vangelo le caricature di un povero signore”. »

    Applicazione puntuale e compiuta della notoria strategia retorica de l’argumentum ad hominem subito rafforzato da argumentum ad personam (un giro su Wikipedia per i dettagli).
    Siccome mi piace ascoltare, dialogare e argomentare nel merito, così da apprendere e migliorare, le strategie difensive o offensive della retorica non mi hanno mai eccitato, però bravo.

    [1] Goffredo Buccini,
    Governatori, Così le Regioni hanno devastato l'Italia
    Marsilio, 2015.

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  • Link al commento Valdo Venerdì, 08 Aprile 2016 23:35 inviato da Valdo

    Aggiornamento. Disgustoso, soprattutto per chi ci ha creduto, a questi...

    http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/04/06/processo-maugeri-il-pm-formigoni-corrotto-dacco-collettore-delle-tangenti-cl-fondamentale-per-il-gruppo-criminale/2614105/

    Roberto Formigoni è un “corrotto”. Potrebbe bastare questa parola a sintetizzare il pensiero della Procura di Milano sul processo Maugeri in cui l’ex presidente della Regione Lombardia è accusato di aver, tra una vacanza e l’altra, usufruito di almeno 8 milioni in cambio di quindici delibere favorevoli alla Fondazione di Pavia.

    Nella sua requisitoria il pm di Milano Laura Pedio ribadisce che l’attuale senatore di Ncd faceva parte “di un gruppo criminale” che ha organizzato “una sistematica corruzione di cui lui ha beneficiato”. L’ex governatore lombardo è infatti imputato con altre nove persone, tra cui il faccendiere Pierangelo Daccò (già condannato per processo San Raffaele) e l’ex assessore lombardo Antonio Simone.

    L’accusa sostiene che dalle indagini e dal dibattimento è emersa “la certezza che il corrotto è Formigoni” e ricorsa il fiume di “denaro delle tangenti pagate dalla Maugeri per corromperlo”. Per il pm “è ridicolo pensare che si sia trattato di regalie tra amici e solo Formigoni nel suo flusso di coscienza dibattimentale ha potuto dire questo e che lui ricambiava con qualche cena, è quasi offensivo”. Il pm all’inizio della requisitoria ha ricostruito i tre flussi finanziari (dalla Maugeri e dal San Raffaele verso Daccò e Simone; dagli ultimi due verso Formigoni; dalla Regione verso la Maugeri).

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    Dalle vacanze alla villa: tutti i benefit del Celeste
    Secondo la ricostruzione del pm, dalla fondazione Maugeri tra il ’97 e il 2001 sarebbero usciti circa 61 milioni di euro verso conti e società di Daccò e Simone e tra il 2005 e il 2006 dal San Raffaele sarebbero usciti circa nove milioni di euro in buste di contanti verso Daccò, “vere e proprie mazzette“. Per nascondere questo sistema corruttivo con cui Formigoni sarebbe stato corrotto con un flusso “calcolato al minimo in otto milioni di euro”, tra vacanze, l’uso di yacht, lo sconto sull’acquisto di una villa in Sardegna (finita sotto sequestro) e finanziamenti per la campagna elettorale del 2010, Daccò e Simone, attraverso fiduciari, avrebbero messo in piedi una struttura “sofisticata”.

    Struttura fatta di “oltre 50 veicoli societari, tutte scatole vuote create” in molti paesi offshore, da Panama alla Nuova Zelanda, da Dubai alle Antille olandesi. In più, ha aggiunto il pm, “in questa girandola vorticosa abbiamo individuato 88 conti correnti con l’unico scopo di alzare una nebbia fitta per nascondere il sistema”. Secondo il pm, per le prove acquisite nelle indagini e nel dibattimento “questo è un processo facilissimo, perché i flussi finanziari ci raccontano le relazioni tra le persone”.

    “Daccò collettore delle tangenti per Formigoni”
    L’ex direttore amministrativo della Fondazione Maugeri “si è comprato il presidente Formigoni perché Daccò gli ha venduto il presidente, la più alta carica della Regione che poteva dargli gli atti e i finanziamenti di cui aveva bisogno”. Il pm ha espresso il suo “fastidio per quella frase che riecheggia come un disco rotto Daccò è amico del presidentè”. Il magistrato ha aggiunto: “Ed è per questo che è stato ricevuto dal Dg della sanità per 270 volte e ha fatto lui stesso una legge? Basta con questa frase, basta con i giochi di parole, sono stanca, diamo un contenuto a questa amicizia”. Il contenuto, secondo il pm, “è che Daccò era il collettore della tangenti per Formigoni“.

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    Per l’accusa “le tangenti pagate dalla Maugeri erano state fissate in percentuale rispetto agli stanziamenti poi riconosciuti dalla Regione soprattutto per le funzioni non tariffabili, con una percentuale prima del 25 per cento poi del 12,5 per cento, poi di una somma di 6 milioni all’anno pur di avere in cambio 40 milioni ogni anno in più rispetto ai rimborsi dovuti”.

    “Militanza in Cl fondamentale per nascita vincolo corruttivo”
    Per il pm gli ex vertici della Maugeri, Costantino Passerino e Umberto Maugeri, “sapevano benissimo che stavano pagando Formigoni”, così come gli ex vertici del San Raffaele “Don Verzè e Mario Cal sapevano che pagavano il presidente”. Sempre secondo l’accusa “l’intensità dei rapporti tra gli associati” nella militanza comune in Comunione e Liberazione “è fondamentale per la nascita del vincolo corruttivo, perché era al meeting di Rimini e anche negli incontri spirituali che si parlava di lavoro e di affari, non era necessario andare in Regione”.

    Il “patto corruttivo” tra Roberto Formigoni e altri imputati, tra cui l’ex assessore regionale Antonio Simone e l’ex segretario generale del Pirellone Nicola Maria Sanese, è nato “su rapporti già profondi e caratterizzati dalla militanza comune nel movimento popolare e dalla affiliazione a Comunione e Liberazione e alcuni anche ai ‘Memores Domini… attorno a questo gruppo si è creato anche un clima di omertà e alcuni testimoni hanno fatto fatica a parlare e ricordare”.

    Il pm nella sua ricostruzione ha spiegato come, in cambio delle mazzette che sarebbero arrivate sotto forma di benefit di lusso a Formigoni, la giunta guidata dal ‘Celeste’ ha approvato “atti non solo discrezionali ma anche illegittimi per finanziare enti amici”, ossia la Fondazione Maugeri e l’ospedale San Raffaele. “Denaro pubblico – aggiunge – è stato dato senza rilevazione di costi, ecco l’eccellente sanità lombarda

    “Metodo Daccò un cancro della sanità”
    “Il metodo di Daccò era un cancro della sanità che si andava via via allargando. Un metodo di pressioni sulle istituzioni pubbliche non basato su competenze tecniche, perché Daccò, lo ha ammesso lui stesso, non aveva competenze tecniche, ma su relazioni d’affari di tipo personale” dice il pm rifacendosi alla testimonianza dell’ex dg della sanità della Lombardia e del San Raffaele Renato Botti. Il pm poi ha ricordato la deposizione di Stefania Galli, segretaria di Mario Cal, il braccio destro di Don Verzè morto suicida nel luglio 2011, e ha ripetuto che “il ruolo di Daccò era di collettore di tangenti, riceveva soldi per conto di Formigoni” per ottenere “delibere favorevoli”.

    Il pm ha anche ricordato nella requisitoria che l’unico assessore ad opporsi al “sistema” creato dal “gruppo criminale”, di cui faceva parte anche Formigoni, è stato Alessandro Cè, ex assessore leghista lombardo alla Sanità e “che infatti è dovuto andare via”.

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  • Link al commento Bruno Vergani Sabato, 09 Aprile 2016 09:30 inviato da Bruno Vergani

    Caro Valdo, sto seguendo da un paio d’anni – forse con una punta di masochismo - il processo su Radio Radicale (le telecamere non sono ammesse). Quelle che citi sono le conclusioni dei pm che dovrebbero terminare lunedì prossimo, poi ci saranno tutti gli avvocati della difesa (circa un altro mese) e poi la sentenza di primo grado. Per come la vedo non è scontata una sentenza di condanna: è come quando hanno scoperto Plutone pur senza vederlo deducendolo dall’orbita dei pianeti vicini: il reato c’è ma siccome l’ex presidente di regione non era un principe che deliberava in proprio - in quanto tutte le delibere a favore della Maugeri e san Raffaele sono firmate da tutta la giunta, non rinviata a giudizio – non sarà semplice dimostrare colpe personali. Vedremo.

    Il punto cruciale, toccato per la tangente anche dal pm, è a mio avviso quanto avevo scritto tempo fa:

    Deriva assiologica tribale. 
La comunione tra gli appartenenti a Comunione e Liberazione era definita da Giussani con l’affermazione: «Io sono Tu che mi fai», con quel “Tu” intendeva Dio e nel contempo, riferendosi al mistero dell’incarnazione cristiana, ogni aderente al gruppo. In questa concezione il nome di ogni ciellino è ritenuto sacramentalmente unificato all’origine con quelli degli aderenti al gruppo. Comunità giudicata da Giussani incontro-avvenimento-presenza salvifica segno sacramentale di Dio stesso, “ontologicamente” - da intendersi non tanto come criterio di pensiero che inventaria le cose ma, con accezione esistenziale, che le fa essere - costitutiva l’“Io” di ogni singolo componente. Il singolo uomo è in sé insignificante, è nulla. Per essere deve diventare cellula appartenente e obbediente alla corporazione, come le api e le formiche sono nulla senza il loro gruppo organizzato, consorziato, congregato, endogamo. Anzi di più: attraverso un processo d’ipostatizzazione del gruppo a verità assoluta e universale per l’appartenente la dipendenza diventa incondizionata ed esistenzialmente totalizzante, “ontologica” come i buchi nel formaggio che fuori da lì non esistono più. Nella concezione assiologica giussaniana la morale non poggia, dunque, sul comportamento umano in rapporto all'idea condivisa che si ha del bene e del male relata all'imputabilità del soggetto - concezione bollata da Giussani moralistica -, ma su una singolare teoria etico-assiologica di appartenenza al gruppo sacramentale: più fai parte più sei nel giusto, più fai parte e più vali, più appartieni e più sei redento, prescindendo dal personale agire. Giudizio di valore dove ogni nome è fuso e confuso nell'incorporazione al gruppo; un “Noi” Alfa e Omega super-Ente, consorteria metafisica salvifica, corpo mistico coincidente la presenza di Dio nella storia e strutturante-giustificante alla radice ogni partecipante al gruppo. All'interno di questo entusiamo collettivo (enthusiasmòs: "indiamento"), di acrisia a tale presupposto sacro fondamento unitario che redime, di questo imperativo collegiale, di questo familismo su base religiosa, di questo provinciale noi totalitario-salvifico, l’operato dei membri evidentemente obbedisce - indifferente alle generali e universali misure e norme dell'umano diritto costituite, istituite, e socialmente condivise - a regole proprie.

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  • Link al commento salvatore Giovedì, 22 Dicembre 2016 12:47 inviato da salvatore

    ...non posso, per quanto la mia granitica idea garantista mi esorta di non esultare, ripeto non posso dire altro che:
    Formigoni vs Fato 0-1

    6 anni .... e vai

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