Durante l’emergenza Covid, anche tra amici filosofi si sono create spaccature profonde. C’erano quelli che difendevano la comunità scientifica, i vaccini, il green pass, e quelli che denunciavano un regime di emergenza, sospensioni delle garanzie costituzionali, derive autoritarie. Fin qui, pluralismo e dissenso sarebbero stati fisiologici. Ma le divergenze hanno spezzato legami umani consolidati.
Confesso che mi ha colpito. Ho visto menti abituate al dialogo e alla mediazione cedere alla polarizzazione. Solo ripensandoci a freddo ho capito: la filosofia non nasce solo nella mente. Nasce anche dal corpo, dalle emozioni, dalla biografia. Paure, temperamenti, storie personali e valori profondi filtrano ogni argomento. I bias cognitivi, inevitabili e universali, estremizzano le posizioni, anche tra chi in tempi normali avrebbe discusso serenamente.
Quell’esperienza mi ha cambiato. Da allora leggo le biografie dei filosofi con estrema cura, non come curiosità, ma come parte integrante del loro pensiero. La vita vissuta plasma le idee, ne orienta le priorità, ne condiziona la forma. La lezione che ne traggo è semplice e netta: la filosofia è sempre incarnata. La mente, la lingua, la storia emotiva personale non sono dettagli accessori, ma strumenti con cui il pensiero prende forma. Le verità astratte possono esistere, ma la loro percezione e difesa sono sempre situate.
Filosofare non significa solo pensare: significa vivere il pensiero, fare i conti con il corpo, le emozioni, il passato. Solo riconoscendo questa incarnazione possiamo sperare di ricucire legami, accettare l’altro nonostante le divergenze, comprendere che l’amicizia è più antica delle idee. Ma forse lo è anche l'inimicizia.