Bruno Vergani
Radiografie appese a un filo. Condivisione di un percorso artistico, davanti al baratro con angoscia parzialmente controllata.
Ritocchi
Creò il mondo ma annoiato dalla ripetitività del suo perfetto funzionare ci ficcò dentro il caso e il libero arbitrio, giusto per avere un po' di suspense.
Esigenza di pensiero
Non possiamo escludere che l’immagine mitica di un Dio eterno, che ci avrebbe creati a sua immagine, sia una umana invenzione per anestetizzare l’angoscia per la personale finitezza, ma quando realizziamo che per finire bisogna prima essere e proviamo a indagare seriamente l’evento, quando empiricamente osserviamo l’evidenza che siamo senza esserci fatti, in corpi che funzionano con meccanismi autonomi da noi stessi, siamo portati a ipotizzare un punto di partenza, un fondamento, un movimento ordinato, una sostanza originaria, siamo portati a indagare un possibile principio causa dell’evento. Possiamo anche azzardare che sia un principio altro e oltre, ingenerabile e incorruttibile, non mossi da paura ma da una insopprimibile esigenza di pensiero.
Considerevolmente performanti
Contrapposto al “so di non sapere” abbiamo l’“adesso ti dico io come stanno per davvero le cose”, disponibile nella classica versione religiosa confessionale e in quella atea materialistica, entrambe considerevolmente performanti nel precludere all’oltre e al darsi di ulteriori possibilità.
Bellezza e moralità personale
Può accadere che un artista violento, oppure con tratti malvagi o perversi, operi bellezza.
La circostanza suggerisce che la bellezza non è generata da qualcuno volta per volta, lì per lì, ma è forse un universale che pre-sussiste in qualche iperuranio platonico, oppure nel cuore immanente delle cose, manifestando la sua gloria indipendentemente dalla moralità dell'artista che la veicola o estrae.
Può anche essere indizio della natura dionisiaca dell’artista; satiro metà dio e metà caprone, o significare che il fruitore è simile all’ape che produce buon miele suggendo nettare anche da fiori velenosi.
Coleotteri
“Cos'e l'uomo nella natura? Un nulla in confronto con l'infinito, un tutto in confronto al nulla, qualcosa di mezzo tra il nulla e il tutto”. (Pascal, Pensieri)
A chi salterebbe mai in mente di giudicare le palme o i coleotteri orpelli rispetto all’universo, se non a qualcuno affetto da antropocentrismo malato. Se non ha senso giudicare e misurare l’esserci di palme e coleotteri rispetto all’universo, non ha neppure senso giudicare e misurare l’esserci dell’umanità. L’esistere in qualsiasi sua forma è evento non giudicabile, misurabile, confrontabile e neppure aggettivabile.
C’è qualcosa di estremamente antropocentrico nel valutare Homo sapiens un orpello[1] rispetto all’universo, non meno di quando si proclama una sua presunta signoria.
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1 Incluse le trite e ritrite varianti di polvere e puntino.
A caccia di segnali di vita
In mezzo al borbottare pessimistico, all’erudizione accademica, alla trita e ritrita logica che configura i fenomeni e fa stagnare il sangue nelle vene, all’impero dell’eziologia che fissa tutto in cause e effetti, in mezzo ai tanti punti di vista tutti veri, tutti parziali, di tanto in tanto passa una ragazza africana, un gatto, un fotogramma di Tarkovskij, un effluvio di Achillea ligustica nell’attraversare il prato, improvvisi clic di assoluto.
Umani artefatti, naturali funzionamenti
Ogni santo giorno da più di 630 anni, la Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano restaura la cattedrale così da conservarla come era stata costruita.
Che fa di preciso la Veneranda? Qual è la sua filosofia?
Opporsi al naturale ricomporsi delle cose in una nuova sintesi che passa necessariamente dalla loro scomposizione.
Tutto si trasforma
Finitudine è il trasformarsi di qualcosa non la fine di tutto, quando l’esistenzialismo ateo prevede, paventa e pontifica, la fine assoluta del mondo sembra poggi sulla scienza, invece poggia sul concetto teologico della Creazione dal nulla.
Il libero uso che vi aggrada
Gesù ha snellito i 248 precetti dell’ebraismo che obbligano e i 365 che vietano, riducendoli dai complessivi 613 ai 2 ama Dio e ama il prossimo[1]. Nonostante la semplificazione spinta ci troviamo ancora all'interno di un paradigma precettistico dell’esistenza, che vede la realizzazione umana attuarsi nel far così e non far cosà, modo diffuso e apprezzato probabilmente per la sua semplicità di utilizzo.
Rara la pedagogia che pur consapevole di quanto siano sterili i contenuti che non migliorano il comportamento, evita di mitragliare decaloghi a destra e a manca, confessionali o laici che siano, e alla larga da ortoprassie più o meno minuziose indaga e descrive il mondo, fornendo all'altro materia da elaborare e esempio personale, lasciando all’interlocutore la volontà di trarne, o non trarne, comportamenti personali, perché è la persona che fa il precetto e non il precetto la persona[2].
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1 "Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente" e "Ama il tuo prossimo come te stesso."
2 I Vangeli pur mantenendo il precetto ne sovvertono la gerarchia tradizionale: “Il sabato è stato fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato”. In questo nostro tempo confuso assistiamo a una certa ripresa di moralismi che sembravano superati, un esempio tra numerosi è dato dalle linee guida per il linguaggio di genere, dove si teorizza di moralizzare la persona attraverso l'osservanza di alcuni precetti linguistici formali. Non è escluso che di tanto in tanto il metodo possa anche funzionare, un po’ come quando si riesce ad avere una risata autentica partendo da una risata simulata.
L’ultimo kantiano
Se “agisci soltanto secondo quella massima che, al tempo stesso, puoi volere che divenga una legge universale” e la gente se ne impipa di questo tuo agire, ma tu insisti a oltranza anche se nulla cambia, potrebbe essere che sei l’unico giusto rimasto al mondo o che stai delirando.