Ego e tagliaunghie
Ci vorrà pure un po’ di ego per permanere individui e funzionare in questo mondo[1], però più mi guardo intorno più mi persuado che con meno ego si viva meglio e comprenda di più.
Quando si ama l’io si riduce e si sta meglio e senza bisogno di raggiungere l’estasi lo staccarci un poco da noi stessi, fondendoci nella natura, migliora la vita. Nel ridimensionare l’ego anche il dolore personale e universale si circoscrive un po’[2]. Anche i tormenti esistenzialistici sono forse una forma di patologia narcisistica.
Ma per noi, figli del nostro tempo, non è facile staccarci da noi stessi per scomparire in un abbraccio, in un orgasmo, carnale[3] o cosmico che sia.
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1 Volontà individuale di potenza non come la intendeva Nietzsche ma Alfred Adler, fondatore della Psicologia Individuale Comparata, probabilmente il più preciso nel descrivere e affrontare la condizione di fragilità che caratterizza i cuccioli dei Sapiens, che determinerà l'intera esistenza di ogni individuo. Da qui l'importanza di una forte individualità psichica che Adler vede per la sua natura “sociale”; che si sviluppa e consolida appartenendo alla comunità umana.
2 La contraddizione di un supposto Creatore buono che crea un mondo pieno di male in fondo è problematica tutta ego centrata, basta rimuovere l’Io (dell’uomo e di Dio) per constatare un sommo funzionamento impersonale che regge il mondo e l’enigma si risolve, anche se il male permane. L’altra settimana ero ricoverato e avevo dimenticato a casa la forbice per tagliarmi le unghie. Era entrata in stanza una tizia sui sessanta, bruttina: “Sono una volontaria, vuole che le porti l’Eucarestia?”, stavo per rispondergli: “Meglio un tagliaunghie”, ma siccome ho un temperamento conciliante ho evitato la profanazione. Però che modo stupido di porsi di fronte alla sofferenza, sarebbe forse meglio che prima facessero passare il mal di pancia al malcapitato e poi, semmai, portino l’eucarestia. Allora mi era tornata alla mente la “pedagogia della sofferenza” proposta da Orlando Franceschelli, che evitando di attardarsi in teodicee religiose o laiche che siano, va dritto al punto: guardare in faccia le sofferenze passate e presenti; essere resilienti aiutandoci reciprocamente a reggerle e lenirle e, nel limite del possibile, imparare da esse migliorandoci.
3 Ho saputo di uno che si inventa ogni scusa per evitare incontri intimi con la partner, così da scappare per farsi sessanta km con la bici da corsa sotto la pioggia. Odierna filosofia del fitness: per raggiungere i livelli di purezza e potenza ego centrata attualmente richiesti occorrono tanti tatuaggi e un’ascesi rigorosissima.
Ginestra spinosa
Nello scavare la buca per piantumare la ginestra spinosa ho visto chiaro che all’epilogo, quando il percorso si farà duro, il cammino non diventerà difficile ma impossibile: potremo solo annichilirci o trascenderci, e forse sono la stessa cosa.
Destino
Quando in là con gli anni ricordiamo il passato, nel mettere a fuoco certi episodi può venirci il desiderio di tornare indietro nel tempo per sistemare qualcosa, ma non appena guardiamo l’esistenza in tutto il suo insieme sentiamo l’intima convinzione che, tutto sommato, sia andata bene così com’è andata. Nell’osservare a volo d’uccello l’intrecciarsi concatenato delle innumerevoli circostanze che abbiamo vissuto ci pare di scorgere un tutt’uno concordante, intravvediamo la supervisione di un misterioso regista, ci sembra di dipanare il filo rosso di un narratore onnisciente.
Non so se questa “intenzionalità del destino” personale che percepiamo in modo netto, abbia qualche corrispondenza con la realtà o sia soltanto una nostra interpretazione a posteriori[1], un arbitrario assemblare il passato secondo un nostro schema, un espediente pareidolitico per cercar di addomesticare l’incontenibile intreccio di caso e necessità e non disperderci nel caos.
Il filo rosso è in parte spiegabile dall’evidenza che in ognuno di noi alberga un nucleo unico e irripetibile, carattere immutabile che, coerente con se stesso, ci porta a vivere eventi differenti in modo perlopiù uniforme, ma questo non basta: in ogni esistenza personale si manifesta un qualcosa che va oltre il riordinamento operato dall’individuo, una sorta di mano invisibile, di forza onnipervadente che attraversa le cose governandole. Sovente le biografie testimoniano dell’irrompere di colpi di scena vocazionali operati da qualcosa di estraneo all’individuo, di persone mediocri che si sono emancipate da se stesse per un inaspettato colpo tra capo e collo, come anche viceversa.
Questa indimostrabile ma sperimentabile regia oltre a vederla guardando la nostra esistenza nell’insieme, la possiamo anche sperimentare in particolari istanti, in quei momenti epifanici dove percepiamo d’essere tutt’uno con la natura che ci circonda e sentire che trama in nostro favore, lì il capriccio degli eventi coincide con l’ordine del mondo.
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1 Peraltro non bisognerebbe farsi sfuggire che colui (quella parte di noi) che osserva l’esistenza non è colui che la vive, come ben osservava Schopenhauer nel volume “Memoria sulle scienze occulte” scrivendo del destino. Volontà e rappresentazione che i Veda narrano così: “Due uccelli, una coppia di amici, sono aggrappati allo stesso albero. Uno di loro mangia la dolce bacca del pippala; l'altro, senza mangiare, guarda”.
Moto coatto
Alla fine della vita c’è chi si rassegna chi invece desidera una esistenza più lunga, molto più lunga, magari eterna. Ma per fare cosa?
Gli orientali sono capaci di stare fermi nel puro “Essere” facendo un bel niente, noi invece abbiamo bisogno di movimento sennò ci annoiamo.
Noi siamo cristiani e il cristianesimo è incompatibile con l’eternità perché poggia sullo spazio-tempo, sull’impulso ad andare da qua a là in un determinato tempo producendo cambiamenti.