Il passero vede il mondo dal suo nido. Anche noi, come esseri umani, abbiamo una visione del mondo che parte da un punto di osservazione: situato, antropocentrico, inevitabile. Il problema sorge quando dimentichiamo che questa visione è circoscritta e provvisoria, e la assumiamo come universale e assoluta.
Mi sto convincendo che una visione chiara del mondo, esige un gesto preliminare: farsi in due. Questo sdoppiamento consiste nel tenere insieme due prospettive. La prima è il punto di vista relativo, umano, temporale. È il modo in cui viviamo: immersi nel tempo, nel linguaggio, nella finitezza. La seconda è uno sguardo sub quadam specie aeternitatis, “sotto un certo aspetto dell’eternità”, che intuisce o sfiora la realtà nella sua necessità impersonale. Non è un punto di vista nel senso ordinario, ma una forma di pensiero che non parte più da un io osservante. È più vicino a un’esperienza che a una descrizione.
Questo sdoppiamento non è schizofrenia, ma consapevolezza. Non possiamo vivere senza il punto di vista relativo, ma se ci fermiamo lì, ci precludiamo ogni accesso alla realtà per ciò che essa è: non in funzione nostra, ma in sé. La metafora è semplice: vivere è come entrare in una provincia con statuti propri. Nascita e morte ne segnano i confini. Gli statuti vanno rispettati, ma sono contingenti. C'è un ordine più ampio, che non dipende da noi, ma nel quale siamo compresi. E ogni tanto possiamo intuirlo dislocandoci da noi stessi. E’ un coltivare una doppia fedeltà: al tempo e all’eternità. All’esperienza situata e alla realtà impersonale.
L’irrisolvibile problema di un Dio che alcuni dicono buono e provvidente e l’esistenza delle oncologie pediatriche, non nasce forse dall’equivoco di trasporre e costringere l’Universo nella nostra provincia? Il coesistere delle due visioni evita tracotanze ingenue e narcisistiche che s’illudono di cambiare il mondo grazie all’impegno militante, o di cronica depressione per il male dilagante, consapevoli che il mondo è, dal punto di vista dell’etica umana un disastro, e va cambiato — ma ontologicamente perfetto così com’è.