BLOG DI BRUNO VERGANI

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Martedì, 15 Luglio 2025 17:09

Monaci erboristi medievali: spinoziani ante litteram?

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Quanto più una cosa è particolare, tanto più contiene di realtà (Spinoza, Epistola XXI ad Willem van Blyenbergh, 1665).

Non possiamo escludere che i monaci del medioevo, nei loro giardini chiusi, nei silenzi umidi dei chiostri, tra gli scaffali polverosi di erbe essiccate, avessero una saggezza che anticipava Spinoza, senza saperlo. Non una filosofia scritta, ma una conoscenza intessuta di osservazione per il particolare della natura vivente.

Lì, nella cura delle piante, essi vedevano più di semplici rimedi: percepivano un ordine nascosto, una necessità che non era imposizione, ma rivelazione. Non un Dio lontano e separato, ma la vita stessa che si manifesta in foglie, radici, fiori. Ogni erba aveva una forma, un limite, una funzione — e proprio in quei confini si rivelava qualcosa d’infinito.

La loro sapienza non nominava sostanza o attributi, non parlava di sostanza infinita o di modi; tuttavia, praticavano una forma di immanenza: il divino era nelle radici, nelle venature, nel respiro verde delle foglie, nel principio attivo del fiore.

Non catalogavano il mondo per possederlo, ma per conoscerlo in modo che il sapere diventasse ascolto, apertura alla potenza che si cela in ogni pianta.
Così, senza saperlo, nel percepire fragranze epifaniche si avvicinavano a quella visione spinoziana in cui Dio non è altro che Natura stessa — infinita, necessaria, manifesta nella molteplicità finita delle forme.

Forse è questo il senso profondo della loro arte: mostrare che nel particolare, nel finito, nel limite della foglia, della corteccia, del fiore, si cela l’infinito.
E che la conoscenza autentica non è dominio, ma riverenza.
Un passo silenzioso sulla terra, un attimo in cui l’umano si fa parte, si piega e contempla.

E forse proprio in questa contemplazione silenziosa viveva una tensione che non potevano nominare: nel segreto della cella e dell’orto, le erbe parlavano un linguaggio più ragionevole e limpido di molti dogmi.
Ogni pianta diceva legge e ordine, mentre la dottrina imponeva rivelazioni spesso inintelligibili, miracoli senza radice.
Nei fiori essi trovavano una verità che non chiedeva obbedienza cieca, ma sguardo attento: la rivelazione era lì, nella foglia che si apre, nella radice che si allunga, nel seme che chiude il ciclo.
Forse talvolta, chinati sui loro letti d’erbe, sentirono dentro di sé l’incrinatura di un dubbio: che la Natura fosse più Dio della parola pronunciata dal pulpito.

Spinoziani inconsapevoli — e questa semplice intuizione può essere un invito a guardare ancora con occhi nuovi la natura. Con il divino che si accende nel particolare, nella sillaba, nella traccia. lI massimo della trascendenza nel massimo dell’immanenza.

Ultima modifica il Martedì, 15 Luglio 2025 17:25
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1 commento

  • Link al commento Maria Martedì, 15 Luglio 2025 21:26 inviato da Maria

    Bellissimo. Grazie.
    Mi sa che lo rilancio, prima o poi...

    Rapporto

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