BLOG DI BRUNO VERGANI

Radiografie appese a un filo, condivisione di un percorso artistico

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Sabato, 07 Dicembre 2024 19:18

Cifre della trascendenza

Il libro Cifre della trascendenza, Campo dei fiori, Fazi Editore, pag.110 curate da Federico Ferraguto, raccoglie le ultime otto lezioni del filosofo e psichiatra Karl Jaspers (1883-1969) all’Università di Heidelberg nel 1961. Il testo appare rapsodico e fluttuante, complesso, a tratti criptico, sia perché Jaspers nelle sue descrizioni è solito cambiare senza preavviso differenti punti di vista, sia perché il testo trascrive una libera esposizione orale, e specialmente perché le cifre del trascendente “rivelano perché sono linguaggio di una realtà, e nello stesso tempo occultano, perché il loro è un linguaggio dai molti significati (pag. 66)”. Jaspers esordisce così: “Vorrei parlare delle cifre aiutandomi con esempi e frammenti casuali di cifre in forma capace di toccarci”.

Non è, dunque, semplice spiegare cosa siano le cifre della trascendenza, anche perché più che una costruzione concettuale da illustrare sono una esperienza da fare. Per spiegare il poco che ho compreso provo prenderla alla larga, constatando che ci sono tipi umani che sperimentano l’esistenza, propria e del mondo, ovvia e scontata, questi tipi psicologici avvertirebbero le cifre del trascendente elucubrazioni assurde e inutili. Esistono invece altri tipi che partendo dalla consapevolezza che non si sono fatti da soli, sentono che sono più di ciò che conoscono di loro stessi, da qui percepiscono l’esserci evento meraviglioso ed enigmatico che esige un’indagine serrata. Impulso all’esplorazione esistenziale destinato, però, a naufragare per l’inadeguatezza degli strumenti dei quali disponiamo. Il problema è che la conoscenza umana scaturisce dal limitato orizzonte percettivo e mentale che abbiamo a disposizione: sensi corporei, linguaggio, categorie -Jaspers annota che se sparissero le categorie il pensiero umano collasserebbe-, mentre la realtà vivente è qualcosa di incommensurabilmente più profondo, complesso e vasto. Ancora una volta ritorna la notoria opposizione kantiana fra fenomeno, ovvero come la realtà ci appare, e “cosa in sé” ossia la realtà per ciò che è davvero, a noi preclusa per la pochezza del personale sentire e sapere. Il linguaggio cifrato della trascendenza è un modo per superare questo eterno scacco, una strategia per cogliere indizi dell’assoluto che ci è precluso.

Le cifre della trascendenza sono ovunque, ogni cosa può essere cifra, coglierle è mossa fantasiosa in quanto è data ed insieme (da noi) creata, con mosse inconsce e istantanee come quella di artisti, santi, streghe, amanti, poeti e filosofi capaci di sorprendere l’enigmatico oltre che abita l’immanente. “Potremmo dire che il filosofare ha due ali. Una batte per lo sforzo del pensare comunicabile, cioè per una dottrina universale. L’altra batte per l’esistenza del singolo. Lo slancio è dato solo dalle due ali insieme” (p. 109). Trascendenza che andrebbe, dunque, intuita dal singolo e possibilmente comunicata, ma senza interpretazioni che la riducano a un concetto univoco, fisso, oggettivato quindi non più trascendente: “Non devi farti nessuna immagine né simbolo” (Es 20,4). Questo scorgere nel finito un rimando all’infinito senza possederlo e sistematizzarlo ci fa esistere meglio perché genera libertà. La cifra della trascendenza è raccordo con l’oltre e racconto dell’oltre, è metafora giocosa e paradossale, Jaspers ce ne offre un esempio citando uno spiazzante adagio medioevale: “Vengo non so da dove, sono non so chi, morirò non so quando, vado non so dove, mi meraviglio di essere contento” (p. 110).  Le cifre della trascendenza ci emancipano sia dal materialismo meccanicistico e correlate superstizioni scientistiche che percepiscono l’esistenza ovvia e scontata, sia dai fondamentalismi religiosi che pongono un aut aut fra Dio e Nulla, facendo coincidere il rifiuto di Dio con l’avvento del nulla, glissando sull’evidenza dell’esserci mio, dell’altro, della natura e della storia, eventi traboccanti di cifre da cogliere. Nondimeno Jaspers afferma che proprio le confessioni religiose storiche più che il concetto generale di Dio, sono un mezzo per accedere all’assoluto, a condizione che non siano prese alla lettera ma colte, anch’esse, come cifre del trascendente. Va da sé che se lette così le confessioni religiose non possono proclamarsi depositarie di alcuna verità e superiorità; cifre della trascendenza sono presenti nei monoteismi, nei politeismi, nei panteismi, negli ateismi.

Dato che le cifre sono indizio della trascendenza ma non sono la trascendenza, altra strada teoricamente praticabile è quella di rinunciare alle cifre stesse per tendere alla trascendenza in presa diretta, è la via del buddhismo nella rinuncia di sé, dell’altro, del mondo, e dunque rinuncia di ogni immagine che ci raccordi col trascendente. Percorso che Jaspers giudica difficilmente praticabile per chi è nato nel paradigma occidentale: “Ora le tradizioni storiche di cui stiamo parlando esistono in una molteplicità di forme. Possiamo comprendere in questo senso gli dèi personali dell’India o della Cina e condividerli comprendendoli. Ma non ci toccheranno mai da vicino” (pag. 63). Di fronte alla concezione orientale che vede il mondo irreale Jaspers giustamente domanda: ma allora “da dove viene quell’incanto e quella apparenza che ci dice che esiste una realtà?” Sulla problematica Jaspers osserva che le concezioni orientali arranchino nel dare risposte convincenti.

Nelle lezioni quarta e quinta vengono esemplificate tre cifre del divino: la cifra dell’uno, quella del Dio personale e la cifra dell’incarnazione cristiana. Ne risulta un concatenamento di cifre che generano altre cifre, riflessione complessa, difficile. L’indagine della cifra trascendentale dell’uno riprende la differenza kantiana fra l’uno numerico che produce egoismo e fanatismo e l’uno qualitativo che, all’opposto, genera pluralismo cooperante. Nella cifra del Dio personale Jaspers vede “L’uomo che sa di essere donato a se stesso nella sua libertà da parte della trascendenza” (pag. 59). Il concetto del Dio fisico viene colto già nell’antico testamento prima dell’incarnazione di Gesù. La circostanza che l’inafferrabile Dio, il “Colui che è”, abbia una consistenza fisica e che non stia dappertutto ma da qualche parte precisa, sul Sinai in un roveto ardente o alle querce di Mamre oppure in cielo, secondo Jaspers è circostanza che “ha dato una efficacia eccezionale attestata dalla storia occidentale”(pag. 64). Le cifre Jaspersiane permettono una spiritualità laica libera da pregiudizi illuministici e riduzionistici che rifiutano, a priori, qualsiasi religione rivelata giudicandola mera superstizione, recuperandola come cifra della trascendenza, simbolo del tentativo umano di raggiungerla.

Mercoledì, 27 Novembre 2024 16:10

Ego e tagliaunghie

Ci vorrà pure un po’ di ego per permanere individui e funzionare in questo mondo[1], però più mi guardo intorno più mi persuado che con meno ego si viva meglio e comprenda di più.

Quando si ama l’io si riduce e si sta meglio e senza bisogno di raggiungere l’estasi lo staccarci un poco da noi stessi, fondendoci nella natura, migliora la vita. Nel ridimensionare l’ego anche il dolore personale e universale si circoscrive un po’[2]. Anche i tormenti esistenzialistici sono forse una forma di patologia narcisistica.

Ma per noi, figli del nostro tempo, non è facile staccarci da noi stessi per scomparire in un abbraccio, in un orgasmo, carnale[3] o cosmico che sia.

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1 Volontà individuale di potenza non come la intendeva Nietzsche ma Alfred Adler, fondatore della Psicologia Individuale Comparata, probabilmente il più preciso nel descrivere e affrontare la condizione di fragilità che caratterizza i cuccioli dei Sapiens, che determinerà l'intera esistenza di ogni individuo. Da qui l'importanza di una forte individualità psichica che Adler vede per la sua natura “sociale”; che si sviluppa e consolida appartenendo alla comunità umana.

2 La contraddizione di un supposto Creatore buono che crea un mondo pieno di male in fondo è problematica tutta ego centrata, basta rimuovere l’Io (dell’uomo e di Dio) per constatare un sommo funzionamento impersonale che regge il mondo e l’enigma si risolve, anche se il male permane. L’altra settimana ero ricoverato e avevo dimenticato a casa la forbice per tagliarmi le unghie. Era entrata in stanza una tizia sui sessanta, bruttina: “Sono una volontaria, vuole che le porti l’Eucarestia?”, stavo per rispondergli: “Meglio un tagliaunghie”, ma siccome ho un temperamento conciliante ho evitato la profanazione. Però che modo stupido di porsi di fronte alla sofferenza, sarebbe forse meglio che prima facessero passare il mal di pancia al malcapitato e poi, semmai, portino l’eucarestia. Allora mi era tornata alla mente la “pedagogia della sofferenza” proposta da Orlando Franceschelli, che evitando di attardarsi in teodicee religiose o laiche che siano, va dritto al punto: guardare in faccia le sofferenze passate e presenti; essere resilienti aiutandoci reciprocamente a reggerle e lenirle e, nel limite del possibile, imparare da esse migliorandoci.

3 Ho saputo di uno che si inventa ogni scusa per evitare incontri intimi con la partner, così da scappare per farsi sessanta km con la bici da corsa sotto la pioggia. Odierna filosofia del fitness: per raggiungere i livelli di purezza e potenza ego centrata attualmente richiesti occorrono tanti tatuaggi e un’ascesi rigorosissima.

Domenica, 24 Novembre 2024 15:04

Ginestra spinosa

Nello scavare la buca per piantumare la ginestra spinosa ho visto chiaro che all’epilogo, quando il percorso si farà duro, il cammino non diventerà difficile ma impossibile: potremo solo annichilirci o trascenderci, e forse sono la stessa cosa. 

Lunedì, 18 Novembre 2024 16:54

Destino

Quando in là con gli anni ricordiamo il passato, nel mettere a fuoco certi episodi può venirci il desiderio di tornare indietro nel tempo per sistemare qualcosa, ma non appena guardiamo l’esistenza in tutto il suo insieme sentiamo l’intima convinzione che, tutto sommato, sia andata bene così com’è andata. Nell’osservare a volo d’uccello l’intrecciarsi concatenato delle innumerevoli circostanze che abbiamo vissuto ci pare di scorgere un tutt’uno concordante, intravvediamo la supervisione di un misterioso regista, ci sembra di dipanare il filo rosso di un narratore onnisciente.

Non so se questa “intenzionalità del destino” personale che percepiamo in modo netto, abbia qualche corrispondenza con la realtà o sia soltanto una nostra interpretazione a posteriori[1], un arbitrario assemblare il passato secondo un nostro schema, un espediente pareidolitico per cercar di addomesticare l’incontenibile intreccio di caso e necessità e non disperderci nel caos.

Il filo rosso è in parte spiegabile dall’evidenza che in ognuno di noi alberga un nucleo unico e irripetibile, carattere immutabile che, coerente con se stesso, ci porta a vivere eventi differenti in modo perlopiù uniforme, ma questo non basta: in ogni esistenza personale si manifesta un qualcosa che va oltre il riordinamento operato dall’individuo, una sorta di mano invisibile, di forza onnipervadente che attraversa le cose governandole. Sovente le biografie testimoniano dell’irrompere di colpi di scena vocazionali operati da qualcosa di estraneo all’individuo, di persone mediocri che si sono emancipate da se stesse per un inaspettato colpo tra capo e collo, come anche viceversa.

Questa indimostrabile ma sperimentabile regia oltre a vederla guardando la nostra esistenza nell’insieme, la possiamo anche sperimentare in particolari istanti, in quei momenti epifanici dove percepiamo d’essere tutt’uno con la natura che ci circonda e sentire che trama in nostro favore, lì il capriccio degli eventi coincide con l’ordine del mondo.

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1 Peraltro non bisognerebbe farsi sfuggire che colui (quella parte di noi) che osserva l’esistenza non è colui che la vive, come ben osservava Schopenhauer nel volume “Memoria sulle scienze occulte” scrivendo del destino. Volontà e rappresentazione che i Veda narrano così: “Due uccelli, una coppia di amici, sono aggrappati allo stesso albero. Uno di loro mangia la dolce bacca del pippala; l'altro, senza mangiare, guarda”.

Lunedì, 04 Novembre 2024 11:45

Moto coatto

Alla fine della vita c’è chi si rassegna chi invece desidera una esistenza più lunga, molto più lunga, magari eterna. Ma per fare cosa?

Gli orientali sono capaci di stare fermi nel puro “Essere” facendo un bel niente, noi invece abbiamo bisogno di movimento sennò ci annoiamo.

Noi siamo cristiani e il cristianesimo è incompatibile con l’eternità perché poggia sullo spazio-tempo, sull’impulso ad andare da qua a là in un determinato tempo producendo cambiamenti.

Giovedì, 31 Ottobre 2024 17:17

Il Mandrake celeste

Gli ospedali sono buoni posti per monitorare i Sapiens e conoscerli meglio. Che mistero il dolore (del corpo) e la sofferenza (della psiche), unica consolazione è che tutto cambia e finisce e prima o poi cesseranno.

Nelle interpretazioni occidentali di filosofie orientali dolore e sofferenza vengono giudicate false percezioni, equivoci procurati da una errata identificazione con l’apparato psicosomatico individuale, che crediamo esserci mentre sarebbe irreale. Se il soggetto che percepisce è una illusione, una mera apparenza che di fatto “non è”, dolore e sofferenza vanno a sciogliersi come neve al sole non essendoci più qualcuno che li sperimenta; via il dente via il dolore non fa una grinza.

Il problema è che queste filosofie indifferenti a oncologie pediatriche e olocausti[1], nel contempo proclamano la possibilità di raggiungere una illuminazione che elargirebbe esperienza di pace e beatitudine assoluta. Ma a “chi” se non c’è più nessuno che sperimenta? Forse un Mandrake celeste fa sparire il soggetto percepente quando tira aria di sofferenza e lo fa ricomparire se tira aria di beatitudine. Tutto molto antropocentrico. 

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1 Giustificherebbe meglio tale indifferenza la concezione apofatica che vede L’Uno Assoluto, insomma Dio, un tutt’altro inesprimibile, inconcepibile, incommensurabile, non aggettivabile, un inoggettivabile “al di là di tutto” (formula patristica di stampo neoplatonico attribuita a Gregorio Nazianzeno).

Sabato, 13 Gennaio 2024 16:40

Sviste razionali

Dialogava con le parole giuste e conformandosi alle regole della logica argomentava al meglio, mentre l’incontenibile vita, indifferente a quel circoscritto e marginale adempiere, fluttuava da tutt’altra parte.

Giovedì, 21 Dicembre 2023 19:59

Ineludibile dualismo

Dio, concedimi la serenità di accettare le cose che non posso cambiare, 
il coraggio di cambiare le cose che posso,
 e la saggezza per conoscere la differenza.” (Serenity Prayer di Reinhold Niebuhr)

Il più delle volte la sofferenza è causata dallo scostamento fra il mondo che desideriamo e quello che c’è, detto schopenhaueriamente dalla separazione da come ci rappresentiamo il mondo e il mondo oggettivo. In effetti un po’ tutte le visioni sapienziali, come anche le concezioni filosofiche, tentano di ridurre il gap fra il mondo che ci rappresentiamo e quello reale, con due differenti strategie che talvolta si intersecano e contaminano.

La prima tenta di plasmare il mondo effettivo così da conformarlo alle nostre rappresentazioni, tipo gli gnosticismi e gli esistenzialismi che rifiutando questo nostro mondo ne desiderano un altro, o gli idealismi che subordinano il mondo naturale alle proprie concezioni, oppure le filosofie della prassi che operano per cambiarlo. La seconda strategia tenta, invece, di ridimensionare le nostre rappresentazioni del mondo per uniformarle alla realtà di fatto, come lo stoicismo che accetta le cose che non possiamo cambiare, o il naturalismo che ci vede parte di sostanze e processi che costituendoci ci precedono e superano.

Insomma forse per qualche misteriosa frattura ancestrale, a differenza delle rane e delle rondini, siamo portati a desiderare e a chiedere un sistematico come in cielo così in terra, e viceversa.

 
Domenica, 02 Luglio 2023 10:55

Insipienze post teistiche

Per Sossio Giametta[1] la moderna laicità è un processo multisecolare che inizia ben prima di Cartesio. Già Erasmo da Rotterdam, Moro, Cusano, seppur operando nel paradigma teistico iniziavano a scardinarlo dall’interno, processo in seguito sviluppato dai filosofi rinascimentali della natura Telesio, Campanella che ha pagato con quaranta anni di carcere, Pomponazzi, Cardano, Vanini finito al rogo, e soprattutto Giordano Bruno anch’egli bruciato. Così da approdare a Spinoza che ha rovesciato l’ordine teocratico, poi Feuerbach che fa di Dio l’immagine dell’uomo, fino a Nietzsche e la sua potenza poetica che incenerisce, forse più del necessario, il teismo istituzionalizzato.

Se, dunque, partiamo da Erasmo, Moro, Cusano, considerandoli precursori del percorso che ha sostituito la teologia con la filosofia e Dio con la natura, vediamo che è un drammatico e valoroso processo che dura da più di cinque secoli. Non meraviglia che vi siano residui di istituzione ecclesiastica che tirano dritto come se niente fosse accaduto, fa invece strano che nel contestare il paradigma teistico ci glissino sopra gli attuali post-teismi, percependosi avanguardie tutte convinte di compiere, per proprio conto, rivoluzioni inedite.

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1 Vedi “Controstoria della filosofia” di Arthur Schopenhauer, curato da Sossio Giametta; La nave di Teseo, 2023. Si tratta di una riproposizione dei due saggi iniziali dei Parerga e paralipomena: “Schizzo di una storia della teoria dell’ideale e del reale” e “Frammenti di storia della filosofia”, davvero ben commentati da Giametta.

Lunedì, 21 Settembre 2020 17:36

Il briccone

L’Essere -nel senso ontologico e anche metafisico- forse alberga in una assoluta sempiterna intemporale contemporaneità impersonale.

Per ottenere coscienza di sé a poco serve la materia che esprime in tutte le sue varianze, per sapere che è abbisogna di determinati e circoscritti momenti esistenziali (con un prima e con un dopo), un conscio allorquando necessariamente mortale, lavoro sporco che lascia fare a noi.

 

 

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