BLOG DI BRUNO VERGANI

Radiografie appese a un filo, condivisione di un percorso artistico

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Bruno Vergani

Bruno Vergani

Radiografie appese a un filo. Condivisione di un percorso artistico, davanti al baratro con angoscia parzialmente controllata.

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Lunedì, 18 Settembre 2017 12:18

Solitudini

Piacevole la cena in compagnia col bianco fresco peccato che mi fa acidità e nel dormiveglia appaiono caotici flash di mie idiozie giovanili e gesta di qualche pirla indegne di nota, come quando lo zio aveva insistito per provare l’auto nuova di pacca di papà riportandola incidentata di brutto. Però questa notte all’acme d'un reflusso gastrico finalmente una visione meritevole.

Anni ’70 giornata formativa dei novizi dei memores domini, pausa pranzo. Non c’era il ristorante e si mangiava al sacco, mi piazzavo in disparte da tutti e osservavo don Giussani in piedi in mezzo al piazzale che scartava il suo panino. Intorno a lui duecento futuri memores ma nessuno gli si avvicinava, anzi spinti da una misteriosa forza centrifuga si allontanavano sempre più dalla sua persona come galassie che si espandono per appiccicarsi tra loro in amorfe aggregazioni colloidali. Mentre crocchi di novizi sparsi si agglutinavano decentrati mi chiedevo: «Ma perché è rimasto lì solo in mezzo al piazzale col panino in mano? Mica si fa così col padre…» Trascorsi manco cinque minuti intorno a lui si era creato un cerchio completamente vuoto, area inviolabile del diametro di oltre due metri (letteralmente), come se un’invisibile riga gialla a tutela della incolumità dei presenti, a mo’ di quella pittata intorno ai macchinari pericolosi, vietasse di avvicinarlo.

Nella totale incoscienza generale ci eravamo accorti della tragicomica situazione in due, io e - più di me - Giussani. Incrociando una sua occhiata mi ero detto: «Adesso mi avvicino io», ma una sorta di timore tremore paralizzante[1] m'aveva precluso il movimento.

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1 Non quello di Kierkegaard, ma quello dettagliato da Kant: «Dopo averli in un primo tempo istupiditi come fossero animali domestici e aver accuratamente impedito che queste placide creature osassero muovere un passo fuori dal girello da bambini in cui le hanno imprigionate, in un secondo tempo descrivono ad esse il pericolo che le minaccia qualora tentassero di camminare da sole. Ora, tale pericolo non è poi così grande, poiché, a prezzo di qualche caduta, essi alla fine imparerebbero a camminare: ma un esempio di questo tipo provoca comunque spavento e, di solito, distoglie da ogni ulteriore tentativo. E' dunque difficile per il singolo uomo tirarsi fuori dalla minorità, che per lui è diventata come una seconda natura. E' giunto perfino ad amarla, e di fatto è realmente incapace di servirsi della propria intelligenza, non essendogli mai stato consentito di metterla alla prova. Precetti e formule, questi strumenti meccanici di un uso razionale, o piuttosto di un abuso, delle sue disposizioni naturali, sono i ceppi di una permanente minorità. Se pure qualcuno riuscisse a liberarsi, non farebbe che un salto malsicuro anche sopra il fossato più stretto, non essendo allenato a camminare in libertà. Quindi solo pochi sono riusciti, lavorando sul proprio spirito a districarsi dalla minorità camminando, al contempo, con passo sicuro. (Kant, Beantwortung der Frage: Was is Aufklaerung? in "Berlinische Monatsschrift").

Domenica, 17 Settembre 2017 13:29

Materia prima

Nell’indagare le cause del primato, o perlomeno della singolarità, di pensiero, parola, immaginazione, coscienza, appercezione, abilità di narrazione e facoltà di ordinamento, che contraddistinguono l’uomo differenziandolo dal resto della natura, sono ipotizzabili due differenti origini:

che l’evento e conseguente gap Uomo/Natura sia stato inopinatamente inoculato da una intenzione esterna e altra, a cura di una qualche entità soprannaturale e creatrice, altrimenti da un extraterrestre di passaggio elargitore di forze e sostanze inedite nell’universo a noi conosciuto, oppure che senza alcuna causa esterna e intenzionale si sia auto-attivato casualmente.

In questa seconda plausibile possibilità tale accadere casuale per attuarsi ha necessariamente comportato che l’uomo abbia utilizzato, seppur a capocchia, sostanze e forze preesistenti in natura che già contenevano, almeno in nuce, tali potenzialità; cervello umano organo che elabora ed estrude edifici di pensiero e forma costituiti e costruiti con mattoni naturali preesistenti e onnipervadenti già contenenti, in potenza, nuclei di pensiero, parola, immaginazione, narrazione, coscienza, appercezione e ordinamento.

Se così il gap Uomo/Natura e quello supposto di Dio/Natura sono più formali che sostanziali. Tutto qui. Ipotesi insufficiente per concludere l’indagine ma soddisfacente per iniziarla.

Giovedì, 14 Settembre 2017 11:28

Guerra metafisica

La millenaria storia del pensiero si muove poggiando suppergiù su due modelli antagonisti che hanno generato, e generano, conflitti tra uomini e nell’uomo. Ne azzardo una bruta illustrazione.

Da una parte il modello teorico di un sommo Oggetto nel quale dovremmo fonderci per realizzarci, denominato Essere o Dio e similari[1], dove la nascita personale dell'individuo è vista perlopiù sconveniente e l’Io una mera superflua illusione disturbante la realtà di un perfetto, sommo e grande funzionamento. Dall’altra il modello che invece vede l’uomo pensante soggetto reale e sovrano e nebulosa quanto tiranna qualsiasi somma entità a lui superiore.

Possibile tra i due modelli una qualche sinergia o in subordine un armistizio?[2]

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1 Somma entità non necessariamente trascendente, visto che abbondano anche imperativi di ideologie mistiche materialistiche - dove ad esempio Iddio è lo Stato - tendenti alla rarefazione dell’Io soggetto individuale.

2 Considerando le religioni c'è da dire che il cristianesimo, specialmente il cattolicesimo, ci ha provato producendo un ibrido, in quanto la Chiesa nella sua storia si è, via, via, incanalata platonicamente nel modello del sommo ente fagocitante il soggetto umano, mentre Gesù di Nazareth ha asserito la convenienza di essere uomo, come puntualizza lo psicoanalista Giacomo Benedetto Contri.  


Mercoledì, 13 Settembre 2017 08:29

Il referto

Ho ritirato la TAC cerebrale, dice che sono ateo in un emisfero e credente nell’altro.

Martedì, 12 Settembre 2017 12:17

E Dio disse: sia

L’inizio del libro di Genesi (cap. 1 e 2), può essere interpretato come la cronistoria dell’umanità, quando i primi uomini grazie al personale moto di pensiero e d’immaginazione narrativa separarono, proprio come Dio, le cose dall’indistinto magmatico uno nell’atto di nominarle, apprezzando le cose in differente grado e mettendole in ordine normandole. Processo individualmente replicato dai neonati di ogni tempo nel loro crescere nel mondo e anche in ogni nostro momento quando creiamo realtà nominando cose, ammirandole e ordinandole.

Che responsabilità! Nessun problema, nel caso creassimo pastrocchi invece che cosmi si può azzerare tutto e far riferimento all'universo naturale, come in fin dei conti ha fatto anche il Dio di Genesi.


Domenica, 10 Settembre 2017 19:20

Prognosi benigna?

Ero rimasto perplesso incappando nell’estratto di una lettera di Freud alla collega Marie Bonaparte:
«Il momento in cui un uomo si interroga sul significato e sul valore della vita, egli è malato, dato che oggettivamente non esiste nessuna delle due cose; col porre questa domanda uno sta semplicemente ammettendo di avere una riserva di libido insoddisfatta provocata da qualcos'altro, una specie di fermentazione che ha condotto alla tristezza e alla depressione.»

Siccome proprio su questo mi attardo non escludo d’essere malato. C’è però da osservare che la frase è stata estrapolata da una lettera e non da un suo saggio e già questo ne depotenzia in parte l’intento universale a favore del contestuale, inoltre la proposizione va collocata all’interno del paradigma psicoanalitico e non filosofico. Per come la vedo è plausibile che Freud si riferisse ad uno che si alza la mattina e invece di vivere il suo esserci nel mondo si crogiola nel cercare un senso all’esistenza, permanendo paralizzato in attesa di una risposta che gli dia un corrispettivo di valore congruo all’attivarsi che mai troverà, in quanto il senso e il valore dipendono non chissà da quale misterioso arcano, ma semplicemente da lui. Immediatezza che non riesce a cogliere perché fagocitato da forze devianti che gli rodono dentro delle quali non è consapevole.

In effetti m’infogno da quelle parti, ma dura poco.

Domenica, 10 Settembre 2017 09:25

Piattezze

Onoro il progresso scientifico-tecnologico, non escludo che la materia esistente non abbia causa e fine e che l’umanità sia costituita da corpi che funzionano meccanici determinati da cause biochimiche.

Però in me e tutt’intorno vedo anche altro e pure tutt’altro.

Sabato, 09 Settembre 2017 10:35

Human

Basta guardarsi attorno - però si fa prima visionando «Human», documentario del regista Yann Arthus-Bertrand - per osservare le eterogenee casualità che incontra una persona, dal DNA a dove nasce, dalle opportunità alle sfighe nelle quali incappa vivendo, e pertanto il chiedersi perché gli individui sono differenti è domanda risibile.

Eppure, anche senza necessità di tirare in ballo gemelli monozigoti, c’è meno da ridere - e tanto da indagare - quando nel fare l’inventario di persone nate e vissute nel medesimo ambiente e condizioni simili, risultano malriusciti patentati e soggetti valorosi. Prova provata che la persona poggia su un sovrano e attivo nucleo auto-sussistente, quid sostanziale irripetibile e potente.

Il diritto riconosce a tale nucleo dignità insopprimibile e ci sono differenti nomi per definirlo: Io, coscienza, persona, individuo, ecc., tutto sommato termini un po’ ambigui nel loro mischiare tale centro auto-sussistente con le casualità nelle quali la persona incappa. Probabilmente il lemma “Soggetto” è quello che, nel suo parziale distinguere l’individuo dagli eventi casuali che lo condizionano, indica un po’ meglio quel singolare potere originario causale che ci permette (facoltà) di volere e scegliere (libertà, imputabilità), fino al punto che il soggetto può attivarsi non solo a rapportarsi coscientemente con l’ambiente (intraprendenza, resilienza), ma anche - forse caso unico nella natura - nel modificare se medesimo remando contro innate o apprese tendenze. C’è anche il termine “Anima”, nome un po’ nebuloso che nella post modernità arranca nell’individuare con precisione quel particolare motore che permette l’atto intenzionale e volontario, forse meglio utilizzare la convenzione del nome proprio di persona per enucleare quel centro autonomo che sta alla radice dell’individuazione, grazie al quale un individuo è proprio tale.

La tematica è cruciale, perché se questo centro c’è ne conseguono implicazioni cosmiche.

Venerdì, 08 Settembre 2017 08:08

Regola aurea?

Nell’immaginare e narrare redigiamo statuti a raffica perché qualsiasi storia contiene una morale. Tutti autori legiferanti, da san Francesco a Hitler. Un bel problema.

E così per vivere assieme emancipandoci da miriadi di relatività, dove tutto è vero e non è vero niente, ci mettiamo d’accordo scartando arbitrariamente alcune narrazioni - ad esempio statuendo che stuprare in gruppo polacche sulla spiaggia non si fa - così da sceglierne convenzionalmente altre per espanderle e condividerle.

Qualcosa non torna in questo fluttuare assoluto. Ci sarà pure un qualcosa di più stabile, una qualche oggettiva regola aurea che ci precede sulla quale poggiare e procedere, o anche questa è tutta un’invenzione?

Martedì, 05 Settembre 2017 10:47

L’Offerta

Su qualcosa abbiamo potere per altre cose pur volendo che accadano così permangono cosà, ma ecco una strategia cattolica davvero risolutiva:

appurata la personale impotenza invece di reagire scomposti, o procrastinare il problema, o infognarsi in una passiva rassegnazione che obtorto collo accetta l’immodificabile mugugnandoci sopra, lo s’interpreta dinamicamente come assoluta e per noi proficua, seppur misteriosa, volontà divina. Tale processo tecnicamente si chiama “offerta”[1].

Tanta filosofia classica fino a Hegel ha fatto più o meno così. Forse funziona.

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1 Mica l’offerta è il prendere qualcosa per donarla a Dio, visto che Lui ha già tutto.

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