Bruno Vergani
Radiografie appese a un filo. Condivisione di un percorso artistico, davanti al baratro con angoscia parzialmente controllata.
Quota fissa
Nel fare l’erborista mi è capitato che qualche naturopata mi abbia tolto il saluto, perché sostenevo che è saggio far riferimento alla comunità scientifica, o per il fatto che non trovavo differenza qualitativa fra due farmaci con molecola identica, una prodotta artificialmente in laboratorio l’altra estratta da una pianta, giacché il naturopata valutava spazzatura quella sintetica e miracolosa la naturale. Ho anche conosciuto persone, e non poche, che sono morte perché, diffidenti verso la scienza, hanno optato per cure alternative. Per arrivare a tanto deve esserci sotto qualcosa di importante. Constatando le tante persone con concezioni ideologiche esaltate su tematiche non cruciali, mi è venuto d'azzardare una teoria:
quando in massa si andava a messa la domenica mattina, certe posizioni erano rare, ma più Dio moriva più si attivavano concezioni moralistiche e manichee su tematiche minori. Verosimile che siamo costituiti da una quota intrinseca e persistente di sacro, che necessita di continuo alimento e espressione. Se lo scenario disponibile non ci offre circostanze congrue allo svolgersi assoluto e totalizzante che il sacro reclama, le si pompa di valenze simboliche, di sovrappiù di significato, dimodoché affermandole e difendendole l'irriducibile quota di sacro che ci abita possa trovare alimento e espressione.
Nel frattempo
Più sono gli anni che osserviamo ciò che ci accade intorno più abbiamo prova dell’impermanenza di tutte le cose, Buddha aveva ragione.
Visto che questa consapevolezza di complessiva provvisorietà ci preclude qualsiasi meta, demotivandoci e finanche paralizzandoci, tendiamo per legittima difesa a rimuoverla eternando noi e il mondo, dimodoché da quando nasciamo a quando moriamo possiamo, nel frattempo, muoverci combinando qualcosa. Il problema è che questo rimosso, per sua intrinseca natura, torna e tornando ci rode dentro instillando nichilistiche mestizie, che anestetizziamo con distrazioni ad hoc.
Può essere che funzioni meglio vivere appieno il momento presente insieme alla consapevolezza che niente dura, percepita come dimensione di fondo del nostro esistere. Sfondo che ci libera dal mondo e da noi stessi, dalla ventura del mondo pur avendola a cuore; dagli esiti del nostro vivere pur cercando di vivere al meglio.
Forse esiste una giusta misura fra essere e non essere e si ottiene emulsionandoli.
Panteismi
I concetti di Deus sive Natura, "Dio ossia la Natura" e della Causa sui, (la Natura) "causa di sé", ci potrebbero far concludere che Dio è niente di più della natura e si azzera in essa. Il punto è che il Deus sive Natura è concetto più complesso e la causa sui questione più problematica[1]. Differenti interpretazioni dei due concetti generano differenti panteismi.
Dio ossia la Natura potrebbe, in effetti, significare che la natura è costituita e mossa da una intrinseca ulteriorità. In fondo un po’ tutta la storia dell’arte rendiconta questa ulteriorità misteriosa, permeante la prossimità, che le arti tentano di scovare e oggettivare. Così anche la religiosità popolare che, da sempre e a ogni latitudine, di fronte al vivere e al morire intercetta istintivamente un oltre.
Si può discutere se questa ulteriorità, questa trascendenza intrinseca all’immanente, sia funzionamento necessario e impersonale o derivi da una libera volontà superiore, l’importante è coglierla.
Se le cose stanno così Deus sive Natura e causa sui più che conclusioni di indagine ne sono l’inizio.
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1 Una causa preesiste all’effetto che produce e l’effetto viene a esistere a seguito della causa, ma nella causa sui causa ed effetto vanno invece a coincidere, con la spiazzante, controintuitiva, conseguenza che l’effetto in sé inesistente (in quanto effetto) è nel contempo preesistente (in quanto causa, di sé). Se fossimo in piena Scolastica medievale questa contraddizione logica ci porterebbe a concludere che la natura non potendo essere causa di sé è creata da una soprannaturale causa altra. Visto che non siamo nel medioevo possiamo invece ipotizzare che la legge lineare di causa effetto, sia inadeguata per comprendere la causa sui. Causa di sé che segue moti circolari non cronologici e neppure spaziali, dimensioni atemporali e non locali che evocano dimensioni quantistiche.
Metafisica della facciata
Contemplare la facciata della cattedrale di Ruvo, l’erotico aggrovigliarci a un bel corpo, partecipare a un concerto di Vasco, occasioni per scorgere l’infinito nel finito, strategie per stabilire una relazione tra il sensibile e il sovrasensibile, ognuno a modo suo. Capita di intuire che c’è un misterioso di più di ciò che comunemente percepiamo nelle cose, e che ci sono cose che questo di più ce lo svelano un po’.
Dio l’ho visto imbattendomi in un airone, non è difficile vedere Dio se ti accade senza intenzione. Il problema è che desiderio e volontà rafforzano la personalità precludendoci quell’estasi che, staccandoci da noi stessi, ci fa scorgere l’infinito nel finito. La volontà innesca processi, sequenze di considerazioni in successione temporale, in rapporto a un determinato fine, invece Dio appare dalle cose all’improvviso senza motivo, però la faccia non te la fa vedere, non so perché, forse non ce l’ha.
Onnipervadente ulteriorità immanente, inattingibile eppure presente, “ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va”.
Pluralismo psicologico
C’è chi nasce col demone filosofico e constatando che esiste senza essersi fatto, si chiede perché c’è qualcosa invece che nulla, chi il demone non ce l’ha e dà per scontato che lui e il mondo esistono, senza farsi troppe domande. Non c’è concezione migliore o peggiore, il punto è che non potrebbero fare altrimenti. Pluralismo che va rispettato.
Non pochi filosofi considerano l’io e il mondo che percepiamo entità dubbie, ingiustificabili, mere costruzioni e rappresentazioni senza sussistenza propria, vale a dire l’inguaribile frattura individuata da Kant tra la realtà e la sua conoscenza. Sennonché un po’ per istinto, un po’ per abitudine, all’io e al mondo alla fine ci crediamo un po’ tutti, dandoli per scontati. Questo vale non solo per i più che, come me, si conformano al senso comune, ma anche per gli stessi scettici. Hume, filosofo che preciso e determinato affermava l’insussistenza dell’Io e del correlato mondo, viveva una vita intraprendente, ricca di relazioni coprendo ruoli di responsabilità sociale. Negava l’io e mondo connesso ma vivendo un’esistenza da protagonista tutta io e mondo.
Sembra una contraddizione ma tutto sommato la coerenza e l’incoerenza fra il pensare e il fare, è anche data dal carattere di ogni individuo, dal tipo psicologico al quale appartiene come sosteneva Jung. C’è chi estroverso come Hume si coinvolge nella società, mentre altri filosofi sono sempre impegnati a pensare e il massimo del loro relazionarsi pratico con il mondo è portare a passeggio il cane. Altri sono ancora più introversi, riservati e gelosi della loro solitudine, qualcuno un po’ misantropo si mantiene sistematicamente in disparte dalla storia, mentre altri fanno di tutto per mettersi al centro. Difficile valutare se e quanto le loro biografie siano determinate dalla propria filosofia o dal tipo psicologico di appartenenza, e viceversa.
Possiamo anche ipotizzare che Hume metteva semplicemente in pratica la filosofia del “come se”. La chiamano finzionalismo - c’è pure su Wikipedia. Si tratta di finzioni utili a vivere: posso sì concludere che l’io e il mondo per come lo vediamo siano realtà insussistenti, ma se tiro dritto facendo finta che sono vere e reali vivo meglio, anzi di più: tale credenza mi permette, letteralmente, di vivere: si rimarrebbe pietrificati se dubitassimo di continuo della realtà del nostro esistere e di ciò che ci circonda. Così è un po’ anche per il libero arbitrio, non esiste ma credendoci salvaguardiamo responsabilità e imputabilità personali, quindi il buon funzionamento sociale.
Delirio? Sotterfugio? Menzogna nei confronti di noi stessi? Nulla di tutto questo perché il “come se” sarebbe un vero e proprio atto creativo. In effetti dobbiamo riconoscere che questa nostra abitudine a raccontarci storie è davvero performante, visto che grazie a essa mandiamo razzi sulla luna e li facciamo tornare indietro, anche se non abbiamo certezza filosofica del reale esistere, nostro, dei razzi e della luna per come la percepiamo.
Il punto è che la realtà è evento davvero complesso, con leggi relative che cambiano col mutare dei differenti livelli e stati, sia fuori di noi che in noi. Cambi punto di vista e muta il mondo. In questo continuo e complesso divenire possono configurarsi realtà insussistenti in termini assoluti, ma reali a livello relativo.
Opzioni orientali
Metafisica controintuitiva
“Non devi farti nessuna immagine né simbolo” (Es 20,4), perché il nucleo originario che fa il mondo è come un gatto selvatico, sempre più in là delle sue impronte.
Se capita di scorgerle meglio far finta di niente perché più lo insegui più s’allontana, più lo definisci più lo occulti.
Questo è quanto, suppergiù
Mi sembra che la situazione sia più o meno questa:
nasciamo e moriremo, nel frattempo avvertiamo le cose con i sensi, ma disponendo di sensi limitati ci è precluso percepire il nucleo che fa e glorifica il mondo.
Ma a ben vedere questo quid, questo nucleo vivificante, non è nulla di trascendente, ma la semplice e onnipervadente volontà naturale insita nelle cose. Va, dunque, da sé che nel funzionamento naturale che fa il mondo, il massimo dell’immanenza coincida col massimo della trascendenza.
Il punto è che questa trascendenza immanente è come criptata nelle cose, così il senso, e il bello, dell’umano esistere è scorgerla e decifrarla[1].
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1 Stimolato e aiutato da amici mi sono riferito a Hume, Kant, Schopenhauer e Jaspers.
Eiaculatori di chilotoni
Piante e animali tendono a vivere e perpetuarsi[1] per farlo si accoppiano, lottano, si aiutano. Funzionano più o meno così anche gli umani, ad eccezione di quello stranissimo impulso a dominare dato dalla Volontà di Potenza[2].
Pulsione stranissima perché pur contigua alla volontà di vivere espressa dalla lotta per la sopravvivenza[3], la Volontà di Potenza può anche manifestarsi in forme che trascendono il funzionamento naturale e la vita stessa. In effetti la Volontà di Potenza, oltre ad attuarsi designando ben riusciti che per presupposta legge naturale annientano malriusciti, di fatto non ottempera alcuna legge naturale che la precede, non serve a niente se non a esprimere la sua potenza. Nella sua forma più pura trascende l’essere al punto che nel suo deflagrare può, all’opposto della naturale volontà di vivere, spezzare la vita proprio di chi la veicola ed esprime, così, per il semplice gusto di eiaculare chilotoni.
Visioni tipo “Meglio vivere un giorno da leone che cent'anni da pecora” sono parodie provinciali di eroismi che attingono da questa Volontà di Potenza. Leoni e pecore permangono indenni al fascino di tali visioni mentre a noi, per cause tutte da indagare, ci si sono incistate dentro.
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1 Schopenhauer afferma questo tipo di Volontà universale.
2 Volontà di Potenza che Nietzsche vedeva in ogni vivente.
3 Anche se non tutta la natura funziona sempre lottando, basta fare un giro nel bosco per rendersene conto.
Cul-de-sac
Senza nomi non potremmo comunicare e neppure concettualizzare, non ci sarebbe più scienza e finirebbe la civiltà, però nel piccolo orto botanico che sto allestendo eviterò di mettere il cartellino col nome davanti alle piante, com’è d’uso. Basterà guardarle e odorarle, ognuno a modo suo, e ciò che accadrà accadrà, perché l’orto botanico non l’ho approntato per sapere i nomi delle piante ma per vedere Dio.
Il problema è che in questa parte di universo ci troviamo in circoscrizioni anguste rispetto all’Essere, posti dove ci è preclusa la piena conoscenza di noi stessi[1] e del mondo. Nell’impossibilità di comprendere l’inattingibile origine e ignorandone il senso sistematizziamo gli enti per afferrarli. Siamo abili classificatori di cose e insuperabili fabbricanti di tecnologia, ma ipodotati di sensi e congegni di pensiero congrui alla percezione dell’Essere che fa tutte le cose, per di più abbiamo lo svantaggio di durare poco in una realtà che si modifica di continuo.
Per uscire dal cul-de-sac che ci preclude l’esperienza dell’Essere, potremmo provare ad evitare contenimenti e programmazioni abbandonandoci al darsi altro delle cose, come di volta, in volta, si configurano a noi. Forse il fonderci in questa continua, incontenibile, imprevedibilità potrebbe svelarci Dio.
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1 “Che cosa sa propriamente l’uomo di sé? Davvero sarebbe capace, anche solo una volta, di avere di sé una percezione completa, come se si trovasse in una vetrina illuminata? Non gli tace la natura quasi tutto, anche riguardo al suo stesso corpo, per confinarlo e imprigionarlo in una orgogliosa e illusoria coscienza, lontano dal viluppo delle interiora, dal rapido flusso del sangue, dai nascosti brividi delle fibre? Essa ha gettato via la chiave”. (F. Nietzsche, Su verità e menzogna in senso extramorale)