Hortus botanicus
Stavo lì, lì, per collocare davanti alle foglie lineari che uscivano dal bel bulbo che avevo piantumato un cartello con scritto sopra Asphodelus ramosus, così che gli amici sapessero cosa fosse, ma il vento mi ha gridato: « Asphodelus sarai tu ! »
In effetti l’osceno, profanante e asfittico cartello produceva un effetto zoo e museale insieme. Proficua è la scienza quanto precludente.
Astyanax mexicanus
C’è un pesce del Messico che ha perso gli occhi perché nelle buie grotte dove abita non c’è niente da vedere.
E cosa rimarrebbe dell’essere se sprovvisto delle cose che ci sono? E della coscienza senza ciò che percepisce?
Eppure senza L’Essere nessuna cosa ci sarebbe e senza un qualche punto della natura consapevole degli enti questi, sforniti di individuazione e ignoranti del proprio sussistere, non avrebbero significato. Forse indizio che essere, coscienza e materia sono un tutt’uno.
Maestrale
Io, Il Mondo, in mezzo una linea di demarcazione talvolta refrattaria talora più permeabile dove si avvicendano gradi di primato di un regno sull’altro, ma intanto il maestrale corrobora entrambi abbattendo quell’immaginaria demarcazione, soffia dove vuole e ne sento la voce, ma non so da dove viene e dove va.
Salamandre
Siamo costituiti da una quota di elementi governati da leggi fisse, predeterminate e immutabili, che scoperte e analizzate ci consentono di misurare e prevedere -al netto di accidenti esterni- il nostro vivere. Nondimeno siamo anche costituiti da una cifra incommensurabile, imponderabile e spiazzante, nucleo che invece di funzionare obbedendo a decreti biologici ha lo strano potere di scegliere tutt’altro.
Anfibi con una zampa nella materia e l’altra nello spirito. Per semplificare le cose si è provato a subordinare, ciclicamente, un regno all’altro, affermando lo spirito sopra la materia o la materia sopra lo spirito, ma in quell’avvicendamento di primato non è uscito niente di buono. Anfibi siamo, anfibi rimaniamo.
Natale
Scorporando i genitori, il luogo di nascita, il DNA ereditato, l’inesorabile passare del tempo, l’umana condizione mortale e le inevitabili fortune e iatture che l’esistenza ci elargisce orba, la precisa situazione che abbiamo è proprio quella -e nient’altro di quella- che abbiamo liberamente scelto e voluto tra innumerevoli e differenti possibilità altre.
Ma il mistero che spiazza le scientifiche analisi della varianza è un altro: anche al lordo di specifici genitori, del preciso luogo di nascita, di un particolare DNA, dell’inesorabile passare del tempo, dell’umana condizione mortale e delle inevitabili fortune e iatture che l’esistenza ci elargisce orba, permane un margine di scelta, tant’è che a parità di condizioni non siamo tutti uguali. Per questo ogni bambino è un avvenimento.
Non ne perdere tempo?
Nel leggere alcuni testi di autori portanti del materialismo e del marxismo -Feuerbach, Marx, Engels, Labriola- ho osservato che a differenza della pianta dell’idealismo tedesco che li aveva prodotti -Fichte, Schelling, Hegel-, avevano in parte abdicato dal perseguire una puntuale indagine metafisica, disinteresse confermato dal, successivo, positivismo europeo connesso al darwinismo.
E’ un po’ come se abbiano giudicato inutile, talora fuorviante, indagare sul perché della realtà, preferendo elaborare quello che c’è per ciò che è.
In fin dei conti misura legittima e sana, a patto che permanga un’elaborazione costantemente dialettica senza la pretesa di fondare, su tali basi, una nuova e definitiva metafisica subordinando le altre, sia perché non conosciamo ancora tutto quello che c’è, sia perché di ciò che sappiamo esserci conosciamo ciò che è per noi, non quello che realmente è.
In principio Dio…
Su quella pagina bianca voleva scrivere Il Tutto, ma malmostoso procrastinava: per scriverlo doveva cominciare da una qualche parte.
Dio è morto 2.0
La materia è costituita da atomi e così le cose hanno massa, peso, dimensione, forma e temperatura. Caratteristiche e proprietà della materia che indaghiamo con sempre maggiore precisione.
Andrebbe bene così se non fosse che, in questo affinarsi della tecnologia, ci si allontana dai prerequisiti logici per potere formulare la basilare domanda: “Perché le cose sono invece di non esserci?” Domanda che ne ha dentro un’altra: “L’essere sussisterebbe senza gli enti?”
Quesito antiscientificamente accoppato e così a fare gli scienziati sono rimasti i poeti.
Libertà nel mondo
Il bel libretto “Libertà nel mondo” di Hans Küng illustra vita e opere di Tommaso Moro (1478-1535), santo al pari del celibe e obbediente “poverello d'Assisi" anche se con moglie, figli, possedimenti e grandissimo potere.
L’Autore non intende riproporre un’agiografia, la descrizione della vita del santo è occasione per dipanare la complessa dinamica del rapporto del cristiano col mondo secolare[1]. Provo a dire in due righe il libro a modo mio: ingenuo e fuorviante ridurre la problematica del cristiano nel mondo ad un aut aut fra cenci di patarini medioevali o casse di champagne del formigonismo di avantieri. Nel solco di san Paolo è invece necessario che il cristiano viva con completa dedizione il suo tempo nel mondo (responsabilità) e insieme- e qui sta il punto- con totale distacco. Così ha fatto Tommaso Moro dedito e responsabile alle faccende di corte e insieme tanto distaccato da preferire il patibolo, quando tali faccende sono entrate in conflitto con la sua coscienza. Le implicazioni logiche arrancano: il cristiano sa che passa la scena di questo mondo, di questo provvisorio tempo, ma nel contempo è consapevole che qui e adesso si gioca la partita.
Non so cosa vincano i cristiani dopo morti, ma so che questa singolare dinamica di dedizione-distacco, ovvero libertà, riguarda tutti. Si chiama vocazione ma Dio non sempre c’entra, assomiglia al mandala di sabbia colorata dei monaci buddisti costruito con estrema cura per essere smantellato. E’ quella strada che se percorsa ci soddisfa, attraversa il mondo ma non è di questo mondo. Se la si perde basta chiedere indicazioni al bambino che eravamo.
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1 Sappiamo che la cultura occidentale è caratterizzata, e in gran parte strutturata, da una miscela di sacro e profano, una mescola di paganesimo, illuminismo, tecnica, tradizione giudaico-cristiana, ecc. ecc. . Il libro di Hans Küng su Moro mi ha riportato alla mente l’analisi del cardinale e teologo francese Yves Marie-Joseph Congar (1904 –1995), espressa nel terzo capitolo del saggio teologico ecclesiologico «Per una teologia del laicato» scritto nel 1956, edito in Italia da Morcelliana. Capitolo che provo a condensare, Congar, fedele al credo cattolico, analizza il piano di Dio dettato nella rivelazione, dal «facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza» all’ultimo capitolo dell’Apocalisse, dove Dio «assumendo lui stesso la carne della nostra umanità» vuole costruire il suo tempio di comunione attraverso Gesù Cristo «capo della Chiesa, ma anche di tutta la creazione»; Regno di Dio universale nel quale Congar dettaglia differenti e complessi aspetti, tra questi quello escatologico dell’ultimo giorno e quello «dinamico o progressivo» del tempo della Chiesa, tempo intermedio del già, dove «Gesù stesso è, in un certo senso, il Regno di Dio» e il non ancora della Parusia, dove Cristo alla fine del piano salvifico ritornerà sulla terra.
Dunque due tappe e in mezzo un tempo intermedio. A che scopo tale tempo? Iddio onnipotente senza indugiare avrebbe potuto terminare il suo piano con l’Ascensione concludendo con la Pentecoste. Congar vede in tale indugio uno scopo preciso: Dio o il Cristo o la Chiesa non sono i soli artefici di tale piano, per giungere a meta è necessario il libero agire degli uomini nella storia perché senza tale cooperazione il Regno di Dio rimarrebbe incompiuto. In tale interpretazione «La regalità di Cristo resta, di diritto, universale» mentre la Chiesa sarebbe un regno spirituale della fede distinto dal «mondo naturale degli uomini e della storia», entrambi differenti coprotagonisti della realizzazione del Regno, «Rendete a Cesare quel che è di Cesare…».
Nel piano unitario di Dio la Chiesa e il mondo sono entrambi finalisticamente ordinati al Regno di Dio, «ma per vie e titoli differenti», così «la regalità universale di Cristo non corrisponde a quella di una regalità ugualmente universale della Chiesa». Ne consegue per il cristiano che il profano sviluppo umano storico non è un processo antagonista e nemico, o nella più misericordiosa interpretazione mero accadimento subalterno da tollerare, ma in quanto forza indispensabile all’accadimento del Regno evento da valorizzare e col quale allearsi. Sacro non contrapposto al profano, quindi non «Resistenza del Mondo ma Resistenza nel Mondo». Tralasciando il possibile effluvio di concezioni hegeliane, riguardo un supremo Principio regolatore della storia avvertibile in Congar, quello che mi sembra puntuale è l’intelligente sintesi, dal punto di vista cattolico, della complessa realtà in una concezione aperta che ricapitola e unifica universalmente.
Fenomenologia di Salvia officinalis
Tra un paio d’ore dovrebbero consegnarmi le cento piante di Salvia officinalis ordinate avantieri. Anche questa volta il lavoro di analizzare e decidere come e dove piantumarle, nel paio d’ettari a disposizione. A filare? A gruppetti di tre? A ruota in gruppo di cinque o di dieci? E perché? In quali punti del fondo? Vicino a quali piante? A quale distanza dai muretti a secco?
Problematica estetica e botanica ma non solo: occorre una sintesi tra il naturale (le salvie) e l’artefatto (la mia scelta nel piantumarle); tra fenomenologia (oggetto) e idealismo (soggetto). Di solito programmo l’operazione razionalmente ma poi con i piedi per terra e la pianta in mano non di rado una strana forza me le fa piantare d’impeto con una precisione millimetrica da tutt’altra parte. Forza ignota efficace nel raggiungere una discreta unificazione del molteplice, come se accordasse il mio punto di vista a quello della salvia.
Forse è la forza che muove gli artisti, ma non escludo che tale interpretazione sia un mio delirio. Sentenzieranno le salvie.