BLOG DI BRUNO VERGANI

Radiografie appese a un filo, condivisione di un percorso artistico

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Domenica, 07 Luglio 2019 11:07

Ricircoli

Consideravo che la teoria filosofica dell’eterno ritorno dell'uguale[1] di Nietzsche che attinge dai classici, può essere vista come uno stratagemma narrativo che concilia il libero arbitrio personale con la necessità. Sintesi tra l'assoluta responsabilità personale (perché ciò che scegliamo sarà sempiterno) e la totale necessità (visto che ciò che faremo sarà il suo meccanico ripetersi).

Francamente non so se quello che adesso intendo, voglio e scelgo, lo stia eseguendo liberamente per la prima volta -come Nietzsche sembra affermare-, o se già ottempero il ciclico funzionamento ripetitivo, ma si sa: Nietzsche è come la Bibbia, mica si interpreta letteralmente.

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1 «Questa vita, come tu ora la vivi e l’hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro, e ogni indicibilmente piccola e grande cosa della tua vita dovrà fare ritorno a te, e tutte nella stessa sequenza e successione - e così pure questo ragno e questo lume di luna tra i rami e così pure questo attimo e io stesso. L’eterna clessidra dell’esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello della polvere!» (Friedrich Nietzsche, La gaia scienza e Idilli di Messina, Adelphi 1977).

Pubblicato in Filosofia di strada
Domenica, 07 Luglio 2019 10:27

Reazione & subordinazione

Dopo decenni di sdegno procurato dagli atti di chi fa l’ovvio mestiere di essere semplicemente se stesso, forse meglio non insistere ed escogitare tutt’altro[1] smettendola di disperdere energia[2].

Non abbiamo garanzia che deposto il nostro reagire nuove e insospettate strategie potranno dirimere il penoso presente e neppure che spiazzeremo gli artefici, ma perlomeno ci ritroveremo meno banali di loro.

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1 Ad esempio se avessimo dato una metà dell’energia dispersa nelle beghe di cortile su olgettine e dintorni, in quel lustro avremmo potuto leggere tutte Le Upaniṣad e forse anche ruminare la prima sezione del "Capitale".

2 «Oggi avere potere significa sapere cosa ignorare.» (Yuval Noah Harari, “Homo Deus, breve storia del futuro").

Pubblicato in Attualità
Sabato, 06 Luglio 2019 21:27

Test

Avvertire noi e gli altri sprovvisti di libero arbitrio e mossi solo da necessità è probabilmente un delirio, eppure se si prova a farlo le relazioni si semplificano e gli atti, anche se non tutti diventano accettabili, si fanno perlomeno più perspicui.

Forse segno di una possibile attendibilità di quel percepire.

Pubblicato in Pensieri Improvvisi
Domenica, 30 Giugno 2019 17:20

Trasmutazione demiurgica

Il pensiero che produce concetti inediti utilizzando necessariamente quelli conosciuti, assomiglia al processo della chimica di sintesi che dalle sostanze esistenti ne fa di nuove.

In entrambi i casi si parte da ciò che c’é ottenendo ciò che non c'era, nuovo esistente col quale possiamo realizzare un ulteriore inedito.

Esagerato definirla creazione, nondimeno ingeneroso giudicarla trasformazione: “nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”, qualcosa si trasmuta.

Pubblicato in Filosofia di strada
Giovedì, 27 Giugno 2019 19:30

Prodezze

Ci sono cose, sia materiali, sia spirituali, che erigiamo con impegno, altre che cerchiamo o incontriamo nel loro accadere. Talvolta ci piacciono così come sono, talora le modifichiamo, a volte le rifiutiamo o combattiamo. Nel movimento esistenziale che combina la personale volontà con l’accadere del mondo molto possiamo costruire, plasmare e ordinare, ma quote di inevitabile, di irrisolvibile e di impossibile permarranno gloriose. Queste percentuali immodificabili che incontriamo qua e là tenderanno ad espandersi fino diventare un tutto, visto l’inesorabile epilogo che determina i mortali.

Eppure non è detta l’ultima parola, permane ancora una possibilità nell’impossibilità: possiamo accettare. Dopotutto la pacata, consapevole, accettazione dell’irrisolvibile è forse tra gli atti umani più attivi e coraggiosi, mentre l’arrabattarsi a oltranza per resistervi è forse tra i più statici, sicuramente tra i più umoristici.

Pubblicato in Filosofia di strada
Sabato, 22 Giugno 2019 14:35

Percezione

Un credente può vivere la sua esistenza percependo di essere costantemente visto da Dio e l’ateo no, vivranno sullo stesso pianeta ma in mondi differenti. Gli innamorati si guardano negli occhi, l’oculista lo fa con maggior precisione ma vede tutt’altro. Il processo del percepire è cruciale perché meeting point di me e mondo.

Anche se si può benissimo vivere senza investigare il personale atto percettivo, una sua accurata indagine potrebbe evitarci appuntamenti al buio con tutti i rischi del caso. Possiamo indagare da soli ma non è male attingere stimoli e dritte dalle discipline filosofiche, Kant al riguardo è stato tra i pensatori più puntuali stimolando la ricerca di tanti altri. Portanti anche le discipline psicologiche a iniziare dalla Gestaltpsychologie, psicologia della forma e della rappresentazione. Percepiamo oggetti materiali, corpi umani a iniziare dal nostro, oggetti mentali e spirituali e anche un mix di tutto questo che produce campi con dentro più della somma dei singoli fattori.

Il problema è che l’atto elementare che afferma: ecco la cosa, è adesso qui data esattamente così, potrebbe rivelarsi un approccio ingenuo perché percependo scegliamo le forme del percepito (delineamento), afferrandone alcune ed escludendone altre; giudichiamo il dato arbitrariamente percepito attribuendogli personali gradi di importanza, realtà e valore; con forbici e martello lo collochiamo in un sistema che abbiamo già costituito e lo interpretiamo attraverso la memoria di quanto già percepito, credenze incluse. Basta un momento di distrazione per equivocare la percezione -per Kant “rappresentazione con coscienza”, processo a priori insito in noi- con la sensazione e anche con l’emozione che a differenza del processo percettivo che cerca di vedere la cosa, modificano noi stessi stimolati da ciò che percepiamo per come lo percepiamo, distorsioni comprese. Insomma rappresentiamo il mondo (Schopenhauer) e rappresentarlo -oltreché nel significato di interpretarlo anche in quello di messinscena- è un po' rifarlo

Pubblicato in Filosofia di strada
Mercoledì, 19 Giugno 2019 09:47

Vecchio sestante

La percezione dello stesso oggetto in questo preciso momento -oggetto Mondo incluso- non è uguale per tutti.

Il concetto del “Qui e Ora” che l’io escogita nell’ingenua credenza di porre coordinate che fissino un punto spazio temporale stabile e univoco nel quale accadono le medesime precise cose, apre invece all'esatto opposto.

Pubblicato in Pensieri Improvvisi
Lunedì, 17 Giugno 2019 08:55

Tutti fratelli?

Ci sono persone che immediatamente vediamo e sentiamo nell’istantanea percezione che afferma: sì è proprio lui. Un Tu inconfondibile e indubitabile che s’impone. 

Ci sono altre persone che sono meno percepibili, si scorge la silhouette ma anche se palpiamo i loro corpi in tutte le parti permangono entità generiche. Se gli guardiamo dentro gli occhi riteniamo plausibile che ci sia dentro qualcuno, ma quel quid permane nebuloso, un noumeno irraggiungibile.

A me talvolta accade questo azzeramento ontologico dell’altro e non so perché. So però che dipende da me, non da lui.

Pubblicato in Pensieri Improvvisi
Lunedì, 17 Giugno 2019 08:20

La via stretta

Abbiamo in noi mondi d’incontenibile magma incandescente con paradisi che sono inferni e inferni che sono paradisi, territori dove male e bene sono un tutt’uno. Universi di fuoco, acqua e vapori esplosivi dove passato e presente sono la stessa sempiterna cosa.

Niente di pericoloso, basta un istante per uscire da quel fluttuare caotico e tornare in questo mondo in compagnia degli altri, qui dove c’è casa, dove c’è ieri, oggi e domani, qui dove una logica regolatrice condivisa da il nome alle cose. Ma a ben vedere in questo più rassicurante mondo della storia, sotto, sotto, siamo mossi dalla brace di quell’altro mondo di fuoco e se ne perdiamo il contatto il sangue ci si ferma nelle vene.

Occorre l’abilità e il coraggio di camminare sullo stretto crinale che da una parte percepisce l’universo di fuoco e dall’altra il mondo degli uomini, così da non impazzire aspirati da quel fuoco, così da non farci appiattire da questo mondo.

Pubblicato in Pensieri Improvvisi
Venerdì, 07 Giugno 2019 15:28

Prove generali di rifidanzamento

Dopo mesi che insistevo sulla problematica stavo realizzando d’essermi compulsivamente fissato sulla cosa, specialmente dopo qualche occhiata tra il perplesso e l’indifferente di chi vive con me, ma leggendo Löwith che affronta Nietzsche[1] vengo informato che il problema è «infinitamente importante», sorta di laico nulla osta a non mollare l’osso.

La problematica -a chi piacciono queste cose- è nota: la natura è causa di sé e insieme inconsapevole di sé, indicibilmente prima e oltre ogni umano aggettivo -"consapevole"/"inconsapevole" inclusi- che proiettiamo arbitrariamente addosso a una natura che si muove autonoma in tutt’altri paradigmi e regni. Sprovvista di coscienza, intendimento e volontà, la natura funziona obbedendo a necessarie leggi autodeterminanti e cicliche, mentre noi provvisti di autocoscienza, intendimento e volontà, sembra possiamo muoverci più liberamente sporgendoci dal ciclico meccanicismo naturale.

Nella storia della filosofia qualcuno, di quelli bravi, afferma che anche noi siamo natura e non possiamo sporgerci per niente da essa e, dunque, il libero arbitrio è un’ingenua credenza. Altri, non meno bravi anche se forse un poco esaltati, sostengono all’opposto che possiamo sporgerci del tutto al punto da determinare finanche ontologicamente la realtà naturale. Numerosi altri filosofi, per nulla brocchi, dicono che possiamo sporgerci giusto un po’. La problematica mi sembra importante perché se siamo liberi -anche solo un po’- senza che esista un libero Creatore che ci ha fatto a Lui somiglianti, occorre indagare da dove proviene questa nostra libertà che la natura non contempla.

Del sovrannaturale diffido e che ci sia un Creatore non lo so, so però che l’umana libertà, se c’è, è un indizio in tal senso, a meno che questa libertà sia in qualche modo già presente nella natura stessa e da essa la ereditiamo. Se così fosse dovrebbe essere possibile superare la separazione necessità/libertà, ma se provo a unificare i due regni l’esperimento mi funziona solo per cinque minuti mentre curo piante officinale dimenticandomi di me, o quando digerisco spontaneo le orecchiette con le rape senza che conosca l'ABC della gastroenterologia. Per tutto il resto del vivere reale in questo mondo: relazioni, morale, storia, società, diritto, politica, lavoro, ecc., poggio tutto su quell’umano artefatto che chiamiamo cultura (linguaggio espresso dalle parole in primis) e i regni dell’umana libertà e della naturale necessità permangono perlopiù separati. C’è qualcuno che ha provato a unificarli completamente e stabilmente senza tirare in ballo Dio? Tale unificazione sarebbe prova convincente della sua inesistenza. Löwith ci illustra che Nietzsche ci ha provato: «Il suo “Ego” [libertà] diventa per lui il “fato”[necessità] nel senso cosmico (equazione di "Io" e “Natura”, Schelling). Per la sua natura e la sua origine, l’uomo non è una creatura extramondana, bensì un fanciullo cosmico eracliteo, che in quanto tale partecipa, sia distruggendo che costruendo, al gioco creativo del mondo».

E’ la mistica dell’ “Io Sono” nella quale Nietzsche proclama la danzante, caotica, potenza dionisiaca, mentre Löwith coglie la potenza ordinata: anche la danza più sfrenata, se è danza, ha le sue regole e misure. Prospettiva affascinante quella di Nietzsche, ma mi sembra che un punto, non da poco, rimanga in sospeso ed è questo: il fanciullo cosmico eracliteo, tutto sommato entità determinata da primitività, potrebbe vivere in questo nostro mondo presente? Potrebbe relazionarsi con gli altri? Potrebbe interagire con le numerose e differenti identità e ruoli che di volta in volta costruiamo e abbracciamo per vivere in questo mondo complesso (identità sociale, professionale, ecc.)? Potrebbe essere sì una sorta di sostrato primario identitario che un qualche eremita immerso nella natura vive in presa diretta in un «rifidanzamento col mondo» grazie alla morte di Dio, vale a dire ritornando a, e ripartendo da, prima della sua invenzione implementata da Homo sapiens, ma inadeguato a diventare protagonista in questo mondo attuale che sarà poca cosa, ma è quello che abbiamo. Plausibile che lo rinchiuderebbero, e con buone ragioni non perché è nudo ma perché non sa quello che fa, il fanciullo cosmico eracliteo se si aggirasse per le nostre piazze. E se non si aggira nelle nostre strade perché è un dio, sarebbe davvero fragile l’operazione di Nietzsche che accoppa Iddio per metterne un altro riciclando un Gesù bambino un po' più scavezzacollo. Così la separazione fra Io e Natura permane, la possibilità di un Dio creatore (che sanerebbe la separazione) anche.

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1 Karl Löwith, “Dio, uomo e mondo nella metafisica da Cartesio a Nietzsche”, VIII. Il tentativo d Nietzsche di riguadagnare il mondo, Curatore Orlando Franceschelli, Donzelli. 

Pubblicato in Filosofia di strada

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