BLOG DI BRUNO VERGANI

Radiografie appese a un filo, condivisione di un percorso artistico

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Martedì, 04 Giugno 2019 09:59

Pompe

Quattro ossa nel mausoleo tali rimangono e più la scatola è maestosa e imponente più dice, suo malgrado e non senza humour, la pochezza del suo contenuto effettivo.

Van messe nella terra perché si trasformino in nuove strutture e costituzioni. Da vivi, intendo.

Pubblicato in Pensieri Improvvisi
Sabato, 01 Giugno 2019 20:27

Il Verbo si fece carne

Può apparire strano ma non poche religioni e tradizioni spirituali giudicano la circostanza di essere persona di questo mondo un incidente di percorso, una caduta procurata da precedenti malefatte personali (karma), o da misteriose ancestrali colpe geneticamente trasmesse (peccato originale). Per numerose concezioni, sia nostrane, sia orientali, l’essere nati, albergare in un corpo, disporre di individualità (handicap perlopiù rilevato dalle religioni e dalle filosofie orientali), è un ruzzolone dove l’unico vantaggio del momentaneo soggiornare in questa valle di lacrime che chiamiamo mondo, è quello di voler liberamente rinunciarvi con ferma volontà, così da ascendere più rapidamente possibile nel posto dal quale eravamo venuti («Attendo una tal alta vita, che muoio perché non muoio», Santa Teresa D’Avila). Nel cristianesimo in un paradiso o in nuove terre e cieli, con l’io integro e pimpante; nelle religioni orientali in un nirvana dove l’io scompare fondendosi con l’Assoluto.

Il punto è che entrambe le concezioni sentenziano che non conviene essere uomo in questo mondo, ma il cristianesimo chiede un discorso a parte per il colpo di scena di una divinità che sceglie, invece, di esserlo. Da una parte, anche nel cristianesimo, l’avvenimento dell’incarnazione di Dio conferma il suesposto svantaggio d'essere uomo, visto che Dio nella sua infinita misericordia raggiunge le creature svuotandosi della propria divinità -kenosis dicono i teologi- per entrare corporalmente nel mondo, così da salvare i disperati che ci vivono sopra. Dall’altra, però, -e qui sta la differenza tra il cristianesimo e le altre religioni- l’incarnazione di Dio eleva all’istante l’individualità di ogni uomo e dunque della storia e della civiltà. Per certi versi il cristianesimo è l’unica religione che afferma la convenienza, finanche il privilegio, di essere uomini, per l’evidenza che Dio ha voluto esserlo venendo al mondo. Non a caso la visione cristiana a differenza delle altre ha stimolato un antropocentrismo spinto, con tutte le problematiche storiche, ma anche i vantaggi, che questa elevazione di homo sapiens ha comportato. Le radici di questa esaltazione dell’uomo e della sua civiltà attivate dal cristianesimo le troviamo in Agostino, ma Hegel si è spinto forse oltre. L’idealismo filosofico che ha esaltato l’umano pensiero fino a negare l’esistenza autonoma della realtà, è germinato e ha attecchito nel milieu religioso della tradizione cristiana. Karl Löwith, lucidissimo al riguardo, così illustra ed elabora la tematica:

«Nella filosofia della religione di Hegel, in realtà, si tratta innanzitutto di concepire la dottrina dell’incarnazione di Dio, poiché questo dogma si tocca direttamente con la metafisica hegeliana dello spirito finito e infinito. Dio è spirito e solo nello spirito può essere concepita la sua verità; per essenza l’uomo è parimenti spirito e perciò si trova in una relazione essenziale con Dio. Dio e uomo sono in relazione l’uno con l’altro, laddove la natura non ha un proprio rapporto con lo Spirito concepito come Assoluto. […] Ad una simile visione dello spirito quale “vertice” della soggettività, ad un simile far culminare l’universale, infinito Spirito divino in un unico soggetto, è giunto, però, solamente il cristianesimo. […] Il “rovesciamento” rivoluzionario operato dal cristianesimo consiste nel fatto che l’uomo non è considerato più come un essere che fa parte del cosmo e che, a differenza degli dèi immortali, è un essere mortale, piuttosto: è proprio il divino ad essere collocato al vertice della soggettività e Dio stesso ad assumere una natura umana». […] Dal momento che Dio si è rivelato in un singolo uomo storico, è diventato palese l’immane paradosso che non solo Gesù Cristo, ma l’uomo in generale ha una natura divina, che natura divina e natura umana nella loro essenza sono identiche: una identità dialettica, in cui Dio trova nell’uomo la propria autocoscienza»[1].

Potente (forse troppo) anabolizzante dell’io umano, roba pericolosa che potrebbe fare male. Ma, sul punto, la singolarità del cristianesimo rispetto alle altre religioni e spiritualità mi sembra, nel bene[2] e nel male[3], inoppugnabile.

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1 Karl Löwith, “Dio, uomo e mondo nella metafisica da Cartesio a Nietzsche”, Curatore Orlando Franceschelli, Donzelli, pagg. 93-94.
2 Ci sarebbe scienza senza una quota di antropocentrismo?
3 Lasciamo il giudizio a Löwith: "Palese immane paradosso".

Pubblicato in Sacro&Profano
Giovedì, 30 Maggio 2019 19:04

Proposta di abrogazione

Non sempre le parole fanno bene il loro mestiere, consideriamo gli aggettivi Credente, Devoto, Religioso, Miscredente, Ateo, Irreligioso.

Ogni volta che si utilizzano poco determinano e molto scombinano di ciò che vogliamo dire, se non accompagnati, di volta, in volta, da una minuziosa spiegazione e precisa contestualizzazione. Visto che il compito loro lo dobbiamo svolgere noi, a questo punto abroghiamoli.

Pubblicato in Sacro&Profano
Mercoledì, 29 Maggio 2019 15:24

Strada di campagna, con albero. È sera.

Volevo piantare il Camedrio ma è spuntato spontaneo come il nostro esserci. Possiamo contemplare l’evento o restarne indifferenti, complicarlo o rifiutarlo, ma non possiamo negarlo.

Che confuta il nichilismo è la ragione obiettiva dell’esserci delle cose stesse, persino all’albero tutto nero e scheletrito messo in scena da Beckett, perfetto per impiccarsi nella vana attesa di Godot, spuntano le foglie. Così, d’un tratto.

Pubblicato in Erbario
Martedì, 21 Maggio 2019 16:50

Principio d'indeterminazione

Nel curare il giardino in solitudine dopo una mezz’ora iniziamo a smetterla di pensare aggettivi, avverbi, attributi e anche verbi e sostantivi tendono ad affievolirsi.

Sospendiamo il giudizio e il confine fra noi e la natura si fa incerto. Lì subentra al consueto pensare la percezione, un po’ impersonale, di una grande esattezza che fa tutte le cose.

Forse quando moriremo sarà un po’ così.

Pubblicato in Erbario
Domenica, 19 Maggio 2019 11:04

Ieri Oggi

Io alla loro età esprimevo davvero di peggio, ma il video degli studenti di Palermo è tanto naif nel mostrare un’implicita analogia tra il decreto Salvini su immigrazione e sicurezza e l’ideologia che aveva prodotto le leggi razziali da non dimostrarla, riuscendo però ad anestetizzare il tragico passato.

C’era la loro professoressa per stimolarli allo studio ragionato della storia, era lì proprio per quello e quello faceva, ma sospettandola di essere stata lei ad aver imbeccato gli studenti sui contenuti del video la sospendono[1]. La punizione sancisce che c'è del vero in quel video e che il naif sono io.

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1 Sarebbe interessante sapere quanti docenti e per cosa sono stati sanzionati dal provveditore di Palermo nel corso del suo incarico. Visti lo zelo e la severità mostrata la statistica suggerisce una possibile strage.

 

Pubblicato in Attualità
Venerdì, 17 Maggio 2019 18:38

Il salto della fede

 

Non serve molto coraggio per saltare con fede verso Dio se si sta già precipitando.

Pubblicato in Pensieri Improvvisi
Mercoledì, 15 Maggio 2019 10:55

Archè e Physis

Per rifuggire miti e religioni e immergersi nel potente pensiero presocratico dell’onnipervadente Natura che tutto origina e fa, non ci resta che andare a messa la domenica mattina, così da ascoltare:

«Un uomo […] getta il seme nella terra; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce; come, egli stesso non lo sa. Poiché la terra produce spontaneamente, prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga». (Marco 4, 26-28).

Pubblicato in Sacro&Profano
Martedì, 14 Maggio 2019 17:58

Corpo-mente esistente in atto

Da Spinoza[1] alle neuroscienze è ormai appurato che l'aver ritenuto corpo e mente irrelati (Cartesio), sia stato un errore perché sono tutt’uno.

In questa unitarietà resta però da chiarire l’inversamente proporzionale tra corpo e mente dato dallo scostamento qualitativo fra i concetti che estrudeva il cervello di un balilla mentre il suo apollineo corpo si dimenava gagliardo ai saggi ginnici, e quelli costruiti da Leopardi che febbricitante e con doppia gobba produceva immobile alla sua scrivania.

 

 

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1 ‘La Mente umana è atta a percepire moltissime cose, e tanto più è adatta quanto più il suo Corpo può essere disposto in molti modi’.
‘La Mente non conosce se stessa, se non in quanto percepisce le idee delle affezioni del Corpo’.
‘La Mente umana non percepisce alcun corpo esterno come esistente in atto se non mediante le idee delle affezioni del suo Corpo’. (Proposizioni 14, 23, 27, Parte Seconda, Etica, Spinoza).

Silvano Tagliagambe così sintetizza le tre proposizioni: “ Le idee della mente sono rappresentazioni degli eventi che hanno luogo nel corpo”

Pubblicato in Pensieri Improvvisi
Venerdì, 10 Maggio 2019 18:00

Il ginepraio dell’imputabilità

Nell’ammettere un Dio creatore trascendente e unico (teismo), il libero arbitrio dell’uomo è un’ovvia verità, perché siamo creati liberi di scegliere a immagine e somiglianza del Creatore, e così con tavole di pietra scritte da Dio o appiccicando al muro dell’aula del tribunale un crocefisso è agevole tracciare una mappa morale, fatwa che faccia da riferimento narrativo giudicante.

Nell’ateismo il libero arbitrio è, invece, evento più nebuloso e problematico visto che nella natura, causa di sé medesima, ogni evento poggia e muove obbedendo a leggi determinate da necessità -“necessario” «è  ciò che non può non essere; o che non può essere.» (Dizionario di Filosofia, Abbagnano)- . Ne consegue che di fronte a qualsiasi atto umano, da quelli operati da Sant'Antonio di Padova a Pol Pot, si dovrà prenderne semplicemente atto, appurato che nel funzionamento naturale, che include anche la mente umana, ogni moto scaturisce da un impulso necessario che non intende e vuole, quindi annientante qualsivoglia imputabilità, amorale come quello che muove il grave o produce la reazione chimica dove non ci attardiamo in giudizi di valore.

L’ipotesi di tale meccanicismo (tecnicamente: prepotenza) è in parte confermata dalla sociologia che certifica l’importanza dei condizionamenti sociali, dalla psicoanalisi che spiega quelli inconsci, dalla genetica che illustra quelli ereditati e anche dalla fisiologia che afferma (vedi Libet) che ciò che ci sembra di decidere nei movimenti corporei è già accaduto anticipatamente nel cervello. Dopotutto appare meno dogmatico il darwinismo che evitando forzature di salti ontologici e di singolari umane sporgenze rispetto alla natura, offre ancora ipotesi di lavoro sul libero arbitrio: non possiamo escludere che come l’evoluzione naturale ha prodotto la mente, abbia formato con essa ciò che chiamiamo Io, coscienza, intendimento e volontà e dunque la possibilità e il potere, seppur condizionato, di scegliere.

Ma com’è possibile che dalla necessità sia prodotta libertà? Libero funzionamento è un ossimoro. Un bel nodo e non solo per il naturalismo filosofico ma anche per il teismo: mica è facile affermare senza contraddirsi una divina Potentia absoluta che si manifesta come Potentia ordinata se non gli ficchi dentro, di tanto in tanto, qua e là, il racconto di un qualche miracolo che se ne impipa delle leggi naturali.

O si afferma la realtà del funzionamento negando in toto l’imputabilità personale con tutte le conseguenze morali del caso, oppure se la ammettiamo occorrerà, in un mondo sprovvisto di creatore e anime -sotto certi aspetti dire anima è un modo antiquato di dire Io-, spiegare cos'è l'imputabilità, come è e perché è. Insomma una sua metafisica, ricordando che la metafisica non indaga solo Dio, l’aldilà o un ipotetico soprannaturale, ma l’universale fondamento (cause prime) dell’al di qua (intrafisica), senza per questo equivocarla con l'ontologia che si limita ad inventariare l'esistente. Leibniz ci aveva provato ad uscire dal ginepraio necessità/libero arbitrio che alberga nel meccanicismo di Cartesio e nel monismo panteistico dello spinozismo, attraverso la dottrina delle monadi, sorta di atomi spirituali, di nuclei con vita propria; circoscritti potentati e signorie che spiegherebbero il complesso e problematico rapporto del particolare nell'universale. Non so se le monadi ci siano davvero o se siano solo un’invenzione per far tornare le cose.

Nella storia moderna la problematica dell’imputabilità individuale, in un mondo senza Dio e senza la dea Iustitia della mitologia romana, è stata risolta pragmaticamente separando la problematica in due regni distinti. Il regno scientifico e parte di quello filosofico dove le tesi che il libero arbitrio sia nient’altro che una credenza -vedi Spinoza, Schopenhauer e Voltaire- permangono piuttosto solide anche se in giro se ne parla poco, e il regno del diritto dove invece siamo tutti imputabili, così, per convenzione condivisa. Qualcosa non torna e non sarebbe male che sull’imputabilità si compisse il come in cielo così in terra, il problema è che il cielo stellato sopra di me se sprovvisto di Padre non è imputabile (libero), tanto glaciale e inorganico che non so fino a che punto sia conveniente collegarlo a ciò che è in me visti i possibili rischi di assideramento. Compito della filosofia del diritto unificare i due regni raccordando natura e cultura, amoralità (della natura) e etica. Può farlo?

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Nell’immagine sopra il dipinto ottocentesco di Jean-Paul Laurens raffigura il «Sinodo del cadavere» o «Concilio cadaverico». Processo post mortem a carico di papa Formoso (891-896), con tanto di riesumazione dell'imputato presente in carne (poca) e ossa (tutte). La storia della Chiesa non si è fatta mancare proprio nulla.

Pubblicato in Filosofia di strada

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