A capienza trascendente
«Come se la “verità” fosse una persona così indifesa e goffa, da aver bisogno di difensori» (Nietzsche), da sempre le tradizioni religiose hanno istituito comandamenti e precetti per preservare e difendere l’ortodossia delle dottrine proclamate e raddrizzare ciò che si discosta da esse. Quelle dei pacchetti precettistici che pretendono di raddrizzare l’umanità sono ortoprassi sempre meno accettate. Dal primato di presunte verità oggettive stiamo passando al primato del soggettivo, e forse la religione universale del futuro sarà costituita da miliardi di spiritualità differenti, una per ogni abitante del pianeta.
Va da sé che con il ridimensionarsi delle religioni tradizionali con i loro standard condivisi di ortodossia e l’incrementarsi di fluttuanti spiritualità individuali, l’esercizio di un fattivo pluralismo, che stimoli e protegga il processo, sarà sempre più importante. Con miliardi di spiritualità eterogenee, si innescherebbe un bel vespaio se solo un due per cento iniziasse a sostenere che la propria spiritualità è superiore alle altre.
Il problema è che il pluralismo se diventa comandamento imposto, se lo si esalta a dogma correlato da rigorosi precetti obbligatori, se non accetta il paradosso di accogliere chi lo combatte, non è più pluralismo. Non è relativismo che accetta qualsiasi cosa, ma neppure spara a vista all’eretico come fa un certo pluralismo politicamente corretto, deriva confessionale che fa rientrare dalla finestra i dogmatismi religiosi che erano usciti dalla porta.
“La mia libertà finisce dove comincia la vostra”, ma quel dove non è definibile o misurabile, non è equidistanza, omeostasi, alternanza, non è qui o là, non è fin qui o fin là, probabilmente è un dove trascendente non ubicabile e non istituibile con dimensione e capienza non circoscrivibili.
Dadaismo New Age
Nel dadaismo new age, nuova forma di spiritualità sempre più di moda, iI guru di turno può sparare a ruota libera cose che non stanno né in cielo né in terra, del tutto disinteressato al rapporto delle parole coi fatti. Sa bene che qualsiasi cosa dirà sarà percepita saggia, vera e santa, dai suoi proseliti, non per ciò che dice ma perché è lui a dirlo, o a tacerlo: l'esprimersi a monosillabi del maestro dadaista new age e a maggior ragione i suoi silenzi, sono qualcosa di potentissimo per i devoti, che invece di realizzare che il guru non sa proprio cosa dire, o non ha niente da dire, caricano inconsapevolmente quell'afasia di sacro mistero, per poi farcirla di sfolgoranti contenuti attinti dalla profondità del loro cuore e della loro mente.
Queste presupposte autorevoli e indiscutibili verità non sono, dunque, prodotte dal guru ma dai suoi devoti nel loro considerare la figura del maestro il non plus ultra, a prescindere. Più il maestro sarà deficiente e più gli ignari discepoli lo colmeranno con sublimi farine del loro sacco, fino a farlo traboccare. Processo il più delle volte emotivo, ma anche proiezione del proprio confuso pensiero dove “tutto sembra essere compreso, afferrato ed espresso con purezza, e invece non lo è, [equivoco] che offre alla curiosità ciò di cui va in cerca e alla chiacchiera l’illusione che tutto venga in essa deciso” (Heidegger). Filosofia e psicoanalisi possono aiutare a fare un minimo di chiarezza e ordine, non a caso il dadaismo new age, altezzoso, le esilia entrambe.
Come con la coda dell’occhio
Che cos'è l’essere? Come è? Perché è? Sono le domande ontologiche e metafisiche che chiedono ragione dell’essere, della verità (assoluta), del senso (ultimo). Dato che siamo (esistiamo) percependo noi stessi e il mondo, ci troviamo in una situazione per nulla semplice, sotto certi aspetti tragica: da una parte, facciamo esperienza di ciò che è per la semplice immediata esperienza che c’è (ci sono io, c’è il mondo, ci sono gli altri), ma dall'altra ci resta preclusa la conoscenza completa e assoluta di tutto questo (cos'è questo essere, come è, perché è?), visto che il percepire e il conoscere di noi mortali permane, per legge naturale, circoscritto all’interno del nostro parziale orizzonte mentale e percettivo.
Per dirla biblicamente: “Ma tu non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo” che il Signore disse a Mosè, o il “Dov'eri tu quand'io ponevo [l’essere]?” che domandò a Giobbe che si lamentava di pecore rubate e di ingiuste piaghe sul suo corpo.
E’ la classica opposizione kantiana fra fenomeno (ovvero come appare a noi la realtà) e noumeno (vale a dire ciò che la realtà è davvero in senso assoluto). Il problema è che se si pretende di veder questo assoluto faccia a faccia, nell’aut aut: se non vedo tutto e subito non mi schiodo, o ci infognamo in puerili equivoci prendendo lucciole per lanterne come accade in non poche confessioni religiose, o precipitiamo in una impasse paralizzante, in un cul-de-sac.
Forse meglio cambiare strategia, considerando che questo cuore della realtà possiamo comunque pensarlo e narrarlo, anche se permarrà uno scarto perenne tra la pensabilità dell’assoluto e ciò che realmente è. Per avvicinarci a questo cuore che fa tutte le cose non ci resta che girarci intorno a distanza di sicurezza così da percepirlo, attraverso la pensabilità e la narrazione, come con la coda dell’occhio.
Teorico irraggiungibile zero assoluto
Si possono formulare certezze assolute e definitive solo a cose ferme visto che se si muovono, e basta la danza di un elettrone, mutano.
Ma esistono cose tanto ferme?
Sadismo celeste
Non possiamo escludere che L’Essere, l’Assoluto, la Verità, il senso ultimo, la cosa in sé, ci permangano preclusi e irraggiungibili non perché abitino in dimensioni tanto alte, smisuratamente in progress e troppo oltre le nostre umane possibilità, ma all’opposto perché sono concetti che esistono solo nel nostro pensiero e linguaggio, non nell’essere, non nella natura né nella cosa.
Equivoco davvero micidiale, forse architettato da un demiurgo sadico che, annoiato delle troppo ripetitive meccaniche celesti, ha voluto spassarsela nel vederci sbattere la testa contro la nostra stessa testa convinti che la picchiassimo contro l'universo.
Prove tecniche di salto mortale
Stamattina ci ho anche provato a diventare ateo, ma non ho avuto abbastanza fede per fare il salto.
Tutta colpa di quattro farfalle danzanti che ho visto sulla lavanda mosse da una regia tutta da indagare.
Suggerimenti improvvisi
Procedere di chirurgica osservazione, ragionamento, inferenza, e se sei Spinoza o Kant giungi a sfolgoranti conclusioni. Per molti altri le conclusioni migliori arrivano invece piuttosto improvvise, come suggerite da una misteriosa entità.
Si potrebbe considerare che tale suggeritore sia nient’altro che l’eruttare improvviso di cose che abbiamo visto, pensato ed elaborato (anche remotamente) che ci albergano dentro, portate alla coscienza da qualche stimolo esterno, o dalla casuale stimolazione di qualche link come quando si schiaccia la serpe nel campo senza farlo apposta, ma non è escluso che il suggerimento ci arrivi da un angelo briccone o da un vecchio demone di passaggio.
Non “gira”
Anche questa primavera è fiorito l’elicriso più preciso di un carillon, ma a differenza di quest’ultimo, o di una sedia, o di un computer che "gira" più o meno bene, non è costituito dalla sua funzione ma si regge e giustifica in ciò che è.
Coerenze fluttuanti
“Per ogni cosa c'è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo.” (Qoèlet)
Navigare nell’esistenza, quel mutevole oceano personale e interpersonale di ambiente e circostanze non di rado incoerenti, è impresa complessa. Un modo per rimanere a galla potrebbe essere quello di fluttuare attingendo da tutto il repertorio sapienziale disponibile, così da essere epicurei quando il vento soffia in poppa, abbracciare veloci lo stoicismo se all'improvviso ci viene contro e virare di brutto al buddhismo se la barca affonda. Un po' come fa il rametto di rosmarino che se ricoperto di terra invece di soffocare nel buio trasforma le sue foglie in radici.
Dicono sia più virtuosa una coerenza ostinata ad un ideale, però è anche il modo più sicuro per rompersi le corna.
Vanitas vanitatum
Chissà che piega prenderebbe la seduta psicoanalitica se, semisdraiato sul divano, ci fosse il figlio di Davide, re a Gerusalemme in persona, a sciorinare il Qoèlet?
« Del riso ho detto: “Follia!” e della gioia: “A che giova?” […] Tutto è vanità e un correre dietro al vento. Non c’è alcun guadagno sotto il sole […] tutti i suoi giorni [dell’uomo] non sono che dolori e fastidi penosi; neppure di notte il suo cuore riposa. Anche questo è vanità! »