Anche ignorando la metafilosofia di Pascal - «Il supremo passo della ragione sta nel riconoscere che c’è un’infinità di cose che la sorpassano» - per cogliere i limiti di una certa filosofia basta e avanza la cronaca paesana con quello al bar che spesi 5 euro ne vince 159 mila azzeccando numeri a caso e all’incrocio, poco più avanti, la ragazza morta sul colpo schiacciata da un idiota che, proprio lì in quel preciso istante, passava col rosso. A capocchia il primo. A capocchia la seconda.
La filosofia, nel suo frequente porre tautologie, arranca di fronte all’accadere del caso, ti dirà che le cause ci sono ma non le sai, o che le sai ma le confondi perché incapace di coglierne il mescolarsi e l'intersecarsi dettato da necessità[1]. Ti dirà di cause note, plurime e distinte e che, dunque, ciò che reputi accidentale e fortuito è procurato dalla tua insufficienza nel prevederle. Ti farà pedanti paternali sulla nozione di probabilità e che, pertanto, ti meravigli dell’accidente perché poggi su credenze che pre-assemblano la vita in un dato, tuo, modo (che sarebbe l'illogico arbitrio del preferire vincere i 159 mila euro invece che schiattare investiti da un pirla). I filosofi d'avanguardia ti parleranno di entropia differenziando il caso dal caos, equipollenza di probabilità senza necessità cosicché il determinismo si concili con l’instabilità mentre il nostro graziato al bar e la nostra disgraziata riversa sull’asfalto permarranno a capocchia nei rispettivi stati.
Aridatece i poeti[2], i miti e un qualche Dio.
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1 Nel linguaggio filosofico necessario è ciò che non può non essere.
2 In subordine a Rilke van bene anche Vasco Rossi, Fantozzi e pure Checco Zalone.