BLOG DI BRUNO VERGANI

Radiografie appese a un filo, condivisione di un percorso artistico

NOTA! Questo sito utilizza i cookie e tecnologie simili.

Se non si modificano le impostazioni del browser, l'utente accetta. Per saperne di piu'

Approvo
Venerdì, 25 Settembre 2020 21:56

Helgoland

Scritto da 

Helgoland è una strana isoletta senza alberi nel Mare del Nord, proprio là nel 1925 il giovane fisico Werner Heisenberg ebbe le prime rivoluzionarie intuizioni sulla costituzione della materia, che hanno portato alla teoria della fisica quantistica. Su questa isola inizia la storia (vera) che il fisico Carlo Rovelli ci racconta, più che un resoconto tecnico-scientifico il libro è una sorta di meditazione personale condivisa, talvolta gli scienziati meditano, se buoni scienziati.

L’Autore ci informa che le cose che vediamo esistere sono, prima che oggetti, manifestazioni di relazioni continue; oggetti che sussistono interagendo e senza incessante interazione con altri oggetti non esisterebbero. Se osservassimo per davvero gli enti senza pre-giudizi -operazione che ai fisici muniti di attrezzature sofisticate e competenze specifiche viene un po' più facile che a noi- non apprezzeremmo nessuna fissa sussistenza di forma e materia con correlati specifici immodificabili attributi, ma una sorta di universale rete creatrice fluttuante e interconnessa.

Nel resoconto di Rovelli emerge che il più delle volte queste intuizioni sull’universo sono scaturite negli scienziati, non mentre si spremevano le meningi in un laboratorio dell’università, piuttosto ruminandole passeggiando nella natura, rendiconta che anche il rimuginarle mentre si frequentano amanti segrete può favorire scoperte cruciali su come funziona l’universo. La teoria dei quanti non indaga dimensioni profonde e occulte, ma le cose che ci sono proprio così come sono, in fin dei conti in ciò che chiamiamo profondità sovente occhieggiano delle nostre credenze acquisite, mentre la realtà alberga nell’evidenza delle cose, se sappiamo vederle per quello che davvero sono. Anche se le infinite variabili che le fanno essere ci sono nascoste il loro effetto è constatabile.

Rovelli ci spiega che le particelle non sono monadi compatte e immobili, ma si spargono continuamente ovunque. Anche noi, umani osservatori della natura, siamo costituiti dalle stesse particelle della natura, e così nel nostro osservare la natura, la natura si mostra a se stessa in una reciproca interazione. Una danza caleidoscopica a tre: due (o più) oggetti che interagiscono e noi che osserviamo. Le cose in sé vacue accadono e sussistono, dunque, nella relazione, tutto è evento istantaneo nel fluttuare dell’universo, dinamica che macroscopicamente ci procura l’impressione di permanenza, ma per la fisica quantistica un oggetto è nel contempo uno, nessuno, centomila. Cadono così i concetti di soggetto e oggetto dell’idealismo filosofico e il primato del soggetto cosciente sull’oggetto incosciente, ma crolla anche il materialismo meccanicistico che per Rovelli sarebbe nient’altro che una ingenua fissità mitologica.

Necessariamente ci muoviamo in questo mondo con mappe mentali costruite attraverso l’esperienza, mappe che vedono il mondo costituito da sostanze fisse con specifici attributi, ma la mappa non è la realtà e l’esperienza personale genera sovente pregiudizio. Rovelli si sente vicino ad alcune speculazioni filosofiche orientali, che vedono nel cuore delle cose vacuità. Nel leggerlo torna alla mente anche Kant -non mancano filosofi che collocano il pensiero degli esponenti della teoria quantistica nel neokantismo- con la differenza che per Kant ci è preclusa la cosa in sé per un noumeno irraggiungibile che fa sussistere le cose, mentre per la teoria dei quanti le cose sussistono grazie a infinite interazioni fluttuanti che ci sfuggono perché sempre in progress.

Il libro è carente nel rendicontare conferme sperimentali della teoria quantistica e va bene così, nonostante l’abilità di Rovelli nel volgarizzare concetti specialistici dubito che le capiremmo, chi le esigesse ha sbagliato libro. L’Autore difende ad ogni pagina la teoria quantistica, ma è anche capace di sobrietà: "Per imparare come funziona un motore è meglio ignorare le forze nucleari fra le sue particelle elementari”. L’autonomia dei saperi è, dunque, giustificata. Si spinge anche più in là per affermare in un impeto di umiltà: “La fisica nucleare è molto più inutile di quanto ami pensare un fisico”.

Nell’ultima parte del libro viene affrontato il rapporto della fisica quantistica con il pensiero e l’umana coscienza e con il concetto di ciò che chiamiamo significato, visto nella prospettiva della fisica quantistica. Atto ammirevole visto che i fisici teorici glissano su queste cose, perlopiù. Qui l’Autore, a differenza di suoi libri precedenti, assume un taglio quasi religioso -Helgoland significa letteralmente "terra sacra”. Negli ultimi capitoli non mancano  momenti dove Rovelli tralascia la sobrietà dimostrata per cedere a qualche momento di entusiasmo, abbinamento da evitare quello del sacro con l’entusiasmo visto che non ha mai portato nulla di buono, ma forse se al posto di Dio ci mettiamo i quanti può finire meglio.

In quest’ultima parte del libro si affrontano natura e significato della coscienza e del pensiero umano in un universo quantistico, attraverso varie definizioni di filosofi. Una di queste mi è particolarmente piaciuta, si tratta di una sorta di panpsichismo, l’argomento è che siccome noi siamo coscienti anche la natura potrebbe contenere una specie di proto-coscienza. Se escludiamo la possibilità di un creatore che ci ha munito di coscienza la cosa sarebbe anche da considerare, ma Rovelli sega l’ipotesi: “E’ come dire che, siccome una bicicletta è fatta di atomi, allora ciascun atomo deve essere proto-ciclistico”. A caldo gli avevo risposto: “Una bicicletta sarai tu”. Però è davvero un bel libro, lo finisci e vedi meglio il mondo.


Carlo Rovelli
Helgoland
Adelphi

Ultima modifica il Sabato, 26 Settembre 2020 08:43

Lascia un commento

Copyright ©2012 brunovergani.it • Tutti i diritti riservati