BLOG DI BRUNO VERGANI

Radiografie appese a un filo, condivisione di un percorso artistico

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Venerdì, 20 Marzo 2020 21:44

Momento entusiasmante

Gli stoici vivevano ogni disgrazia come espressione dell’ordine provvidenziale dell'universo; i cinici valutavano proficua qualsiasi avversità; Gesù diceva beati gli afflitti e Boezio proclamava che agli uomini giovi molto più la sorte avversa di quella prospera.

Insomma momento entusiasmante, il nostro.

 

Pubblicato in Frammenti Autobiografici
Mercoledì, 18 Marzo 2020 00:04

Per un flashmob filosofico

Nel vivere in campagna non è cambiata (letteralmente) una virgola del mio consueto vivere, ad eccezione di quella mezz’ora, ogni tre giorni, che mi vede in paese a fare spesa; organizzandomi con qualche gallina ovaiola e un orto più grande eviterei anche quello. Eppure tutto è stravolto nel costatare come una minuscola forma di vita primitiva basti e avanzi per smantellare l’imperversante, quanto presupposta, onnipotenza antropocentrica. La sofferenza degli altri mi preoccupa, sarebbe ben stolto un eremitaggio rurale insensibile alle urgenze della storia, nondimeno questa mia possibilità di permanere indenne ai drammatici eventi odierni, qualcosa significherà. Mi piace almanaccare che l’evangelico: “Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” Corrisponda all’inopinato “ritorno” di madre natura, e lì saremo noi stessi a giudicarci. Forse sarò pessimista ma sovente i cambiamenti dettati da emergenza sono fuochi di paglia. Ricordo che da ragazzo ero andato volontario per il terremoto in Friuli, a caldo eravamo tutti stravolti e solidali ma passato qualche mese siamo ridiventati come prima. Ci sarà una qualche misteriosa legge che ci fa ri-gravitare verso le solite abitudini mentali. Gli “uomini viventi” lo sono prima e dopo, a prescindere delle catastrofi che gli piombano tra capo e collo. Probabilmente sto esagerando nella mia poca fiducia col genere umano, me incluso, più speranzoso e propositivo il caro amico filosofo Orlando Franceschelli che, in questi difficili giorni, propone un valoroso flashmob filosofico. Dove? Ovunque. Con chi? Con tutti. Quando? A oltranza.

 

Virus, madre natura e stoltezza umana: che significa vincere la guerra contro l’attuale pandemia?

Per un flashmob filosofico

Che l’umanità sappia affrontare con coraggio, determinazione e solidarietà anche le prove più impegnative della vita e della storia, è noto. E lo confermano anche i flashmob con cui gli italiani manifestano la propria reazione contro l’attuale epidemia e la loro gratitudine per ricercatori, medici, infermieri, volontari che in questa lotta comune si trovano in prima linea. Di questa nostra capacità di re-agire –o resilienza- specialmente in questi giorni e del tutto comprensibilmente si sente parlare anche con accenti bellici: siamo in guerra contro un nemico invisibile e nessuno deve disertare. Come invece fanno sempre coloro che, con maggiore o minore cinismo, persino delle più gravi calamità cercano soltanto di capire come sfruttarle al meglio per i propri fini egoistici: economici, politici, di vanitosa notorietà. Ma lasciamo pure al loro mestiere i parassiti della sofferenza. E’ a coloro che sono solidali con quanti sono maggiormente provati da questa epidemia che vorrei fare una modestissima proposta, nella speranza che non suoni eccessivamente strana.

L’auspicio che spesso e giustamente si sente in questi giorni è che dalla ‘guerra’ contro l’attuale pandemia si possa uscire non solo quanto prima, ma anche migliorati. E proprio qui è il punto: cosa significa vincere la guerra contro il virus e migliorare noi stessi? Indubbiamente significa contenere e alla fine sconfiggere la pandemia. Ma non dovrebbe significare anche accrescere la nostra critica consapevolezza di come dovremo comportarci in futuro per non ritrovarci di nuovo in simili situazioni? Dobbiamo vincere per poter ricominciare tutto come prima?

Ecco: vorrei proporre una sorta di flashmob filosofico che ci stimoli a dedicare qualche riflessione anche a questo problema: se proprio siamo in guerra, contro cosa dobbiamo lottare per vincerla effettivamente? Soltanto contro i virus che sulla faccia della terra ci sono da prima di noi esseri umani? O anche contro le concezioni e i comportamenti di noi “sapiens” che la terra la stiamo trasformando da ambiente-dimora in ambiente-incubo per un numero sempre crescente di esseri viventi? A cominciare ovviamente dagli esseri umani e dagli animali-non-umani più deboli e più poveri.

E’ facile e del tutto ragionevole pensare che a queste domande ogni donna e ogni uomo risponderà con gli accenti (filosofici, etico-politici, religiosi) che maggiormente sente nelle proprie corde. Ma azzardo una previsione: da questi flashmob filosofici ognuno di noi, come persona e come cittadino, uscirebbe migliorato. E forse più di qualcuno potrebbe fare o rifare –mirabile a dirsi- anche la più interessante delle scoperte. Quella più intimamente collegata alla nascita e allo sviluppo della stessa filosofia, ossia –alla lettera- della ricerca del sapere-saggezza a cui anche noi esseri umani possiamo legittimamente aspirare: la scoperta che esiste una realtà naturale e che di essa siamo parte anche noi esseri umani, con le nostre storie individuali e con tutta la storia della nostra specie. Parte appunto. Anzi: «piccola parte», come ammoniva già Spinoza, non proprietari, dominatori, predatori e chi più ne ha più ne metta.

Se dunque la vittoria che ci interessa riportare sul coronavirus effettivamente non è tornare quanto prima alle concezioni e ai comportamenti ante-pandemia, allora anche qualche modesto flashmob filosofico può aiutarci a capire che proprio da questa pandemia usciremo migliorati se –e solo se- sapremo confrontarci criticamente con la scoperta o ri-scoprta appena richiamata: col dato di fatto che «possiamo scacciare la natura col forcone, essa tuttavia ritornerà sempre/ e furtivamente si insinuerà tra gli ostacoli che le si frappongono» (Orazio, Epistole, I, 10, 24-25). Vale a dire: tu essere umano puoi anche trascurare il dato di fatto di essere parte della natura. Di più: nei confronti della natura puoi essere persino arrogante. Ma in realtà la tua appartenenza a madre natura (antropologia dell’eco- appartenenza) prima o poi torna sempre a farsi sentire. Prima o poi madre natura ritorna –ma quando se n’era andata?- con tutta la sua indifferenza al nostro destino, al nostro bene e al nostro male, con tutta la sua potenza sovrumana dell’infinitamente piccolo e dell’infinitamente grande: come virus, come terremoto, come acqua ed aria inquinata, come desertificazione, estinzione di specie, crisi ecologica che non è esagerato definire epocale.

E perché no: può tornare anche come opportunità di migliorare noi stessi. Come nostra resilienza alle crisi. E’ innegabile infatti che della realtà naturale facciamo parte anche noi esseri umani, col nostro impegno a migliorare concezioni, comportamenti, tentativi di essere felici, per quanto è possibile, e solidali verso ogni forma di sofferenza. Questo è il sapere-saggezza che siamo sollecitati a ricercare –e praticare- dalla filosofia, nata appunto come «indagine sulla natura». E dei cui cultori –mi si conceda quest’ultima precisazione- un eminente rappresentante della Grecia classica sentì di parlare in questi termini: «Beato chi ha tratto sapere da questa indagine. Costui non provoca né sofferenze ai concittadini né azioni ingiuste, ma indaga l’ordine eterno dell’immortale natura e domanda: a che scopo è sorto, in che modo, quando? Uno così non cade mai preda di pensieri e di azioni malvagie e di cui dovrebbe vergognarsi» (Euripide, Frammenti, n. 910). Proprio un simile elogio di un’autentica ricerca filosofica mi è riaffiorato alla mente leggendo la risposta di David Quammen -studioso e divulgatore che da anni mette in guardia contro i rischi del passaggio dei virus da una specie all’altra- alla domanda se il coronavirus possa essere definito una vendetta della natura sull’uomo: «Non credo nella metafora della “vendetta della natura” che tende a personificare la Natura come un’entità saggia, con un suo fine e una sua volontà. Non sono così romantico. Concepisco la natura come la concepiva Darwin. [...] Quella che gli altri vedono come una vendetta della natura, io la descriverei in questo modo: gli ecosistemi complessi ospitano animali, piante, funghi, batteri e altri organismi cellulari; e tutti questi organismi cellulari ospitano dei virus. Se decidiamo di comprometterli lo facciamo a nostro rischio e pericolo» (“Huffpost”, 9 marzo 2020, intervista a cura di S. Baldolini). Appunto, aveva ragione Orazio, da buon saggio epicureo: veramente faremmo bene a non sorprenderci mai dei “ritorni” di madre natura. E tanto più oggi che disponiamo di conoscenze scientifiche che solo gli stolti possono sottovalutare.

L’ultima intenzione di queste considerazioni è tradire lo spirito di spontanea agilità che anima sempre ogni autentico flashmob. Spirito col quale mi è parso possibile, interessante e opportuno rivolgermi a quanti, specie di fronte all’attuale pandemia, sentono il peso e il fascino di una resilienza anche educativa. Nella convinzione che trovare qualche minuto per riattivare anche la nostra riflessione filosofica su come uscire migliorati da questa guerra ‘contro’ il coronavirus, non è diserzione dal fronte comune. E ancor meno è gusto per le polemiche che dividono. O per i vanitosi sproloqui dei dotti.

Più semplicemente e ben sapendo che letture e occasioni per i necessari approfondimenti indiviuali e collettivi certo non mancheranno: è un invito a rendere esplicita la componente riflessiva che mi sembra animare i flashmob contro questa pandemia. Essi ci ricordano che proprio alle attuali, planetarie «urgenze della storia» (K. Löwith) dobbiamo imparare a reagire anche migliorando noi stessi e le nostre società.

Non è questo messaggio di saggia resilienza anche filosofica che, in definitiva, stiamo cercando di trasmettere anche in questi giorni? Non è nella possibilità di migliorarci che viene alla luce il senso più autentico e apprezzabile di ogni esortazione a capire sempre meglio le cose –le opportunità e i limiti- che ci riguardano come esseri umani e co-abitanti di questo fragile pianeta? Di ogni esortazione a essere più consapevoli e mai dimentichi – come in modo davvero toccante ed esemplare Gramsci ha saputo raccomandare al figlio dal chiuso di un carcere- che nella storia, e persino tra le sue sfide più impegnative e brutture più atroci, hanno sempre agito, agiscono e agiranno anche «gli uomini viventi [...], tutti gli uomini del mondo in quanto si uniscono tra loro in società e lavorano e lottano e migliorano se stessi»?

Gramsci chiudeva la breve lettera al piccolo Delio con un paterno: questo modo di guardare alla storia «non può non piacerti più di ogni altra cosa. Ma è così?».

A noi può bastare il semplice augurio di un buon flashmob anche filosofico a tutti.

Orlando Franceschelli, 16 marzo 2020

Pubblicato in Filosofia di strada
Venerdì, 13 Marzo 2020 18:05

Trasferimento

“L’inferno sono gli altri” (Jean Paul Sartre) è una spacconata esistenzialistica senza capo né coda, però se trasferita dalla filosofia a particolarissimi contesti della clinica, consapevoli che appena si è in due ognuno è necessariamente l’altro, potrebbe forse acquistare senso.

Pubblicato in Pensieri Improvvisi
Giovedì, 12 Marzo 2020 18:17

Analfabeta

Dopo che, piuttosto imbranato, ho potato una decina di ulivi secolari, sono così stanco che se apro un libro mi scopro analfabeta funzionale. Così è, ed è stato, per miliardi di persone che esausti non hanno avuto tempo e neppure benzina per nobilitarsi. Eppure ho appreso tanto in cima alla scala e l’incapacità di concettualizzarlo non sottrae quel sapere.

Concludo osservando che l'affermazione “i limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo” (Wittgenstein), è nient’altro che una (bella) boutade.

Pubblicato in Frammenti Autobiografici
Giovedì, 12 Marzo 2020 17:21

Handicap

In compagnia coatta con sé stessi per decreto; convivenza forzata 24 ore su 24, 7 giorni su 7.

Ogni tribolazione nell'ottemperare è tutta meritata, così ogni piacere.

Pubblicato in Pensieri Improvvisi
Giovedì, 05 Marzo 2020 19:46

Femminismo

Una delle tre compagne militanti del Sessantotto aveva continuato, nei decenni a seguire, ad impegarsi politicamente per l’emancipazione delle donne e un mondo più equo. L’altra era andata in India abbracciando la spiritualità orientale, la terza era diventata psicologa. Ricordo che ormai settantenni si erano ritrovate per scrivere un libro a tre mani, che testimoniasse come quei loro differenti percorsi erano, tutti, espressione dello stesso nucleo rivoluzionario vissuto in gioventù. Il progetto editoriale saltò dopo pochi giorni, avevano litigato così tanto da togliersi il saluto. Nessuno pretende l’avverarsi di quell’utopia che voleva uniti tutti gli abitanti del mondo, ci saremmo accontentati di loro tre.

Pubblicato in Frammenti Autobiografici
Martedì, 03 Marzo 2020 23:19

Paradosso

Più si entra e si dice con precisione il dettaglio circoscritto di luoghi geografici e psichici e più si entra e si dice uno spazio universale, planetario, cosmico.

Per certe cose ci dev’essere una qualche strana legge che fa sì che più stringi e più allarghi.

Pubblicato in Pensieri Improvvisi
Lunedì, 02 Marzo 2020 19:06

Breve invito all’incoerenza

Bella cosa la coerenza tra ciò che ci si propone e ciò che si fa davvero, a patto che un po' di scostamento permanga, arte complessa di cui le macchine sono incapaci.

Pubblicato in Pensieri Improvvisi
Giovedì, 27 Febbraio 2020 00:01

Olea europaea

L'olivo allo stato naturale è uno sporadico cespuglio piuttosto intricato, con qualche minuscola drupa sopra. Quello diffusissimo nel bacino del Mediterraneo con bella estetica e stracarico di olive è un artefatto umano.

Interessante osservare che più l’olivo viene, da noi, coartato e più si afferma sulle altre specie; ci impegniamo noi, in cambio del suo frutto, a favorire le condizioni migliori per il suo sviluppo. Orchestrando la selezione naturale decidiamo e scegliamo la sopravvivenza dell’olivo e la sua conservazione, plasmandolo nelle condizioni date come la specie più adatta rispetto ad altre.

Visto il suo successo difficile determinare se è l’uomo che coarti l’olivo o è l’olivo che coarta l’uomo, comunque stiano le cose la conseguenza è un reciproco vantaggio. In queste cose il confine fra natura e cultura si fa labile.

Pubblicato in Erbario
Martedì, 18 Febbraio 2020 18:29

Pregiudiziali preclusioni

Si è portati pregiudizialmente a pensare che Darwin e Einstein considerassero il teismo nient’altro che una superstizione infondata e che dopo di loro non abbia più senso[1], ma le cose non stanno proprio così. Darwin non accettava, ma neppure escludeva, la possibilità di Dio[2]; Einstein affermava, seppure con taglio più scientifico-eleatico che teista, la possibilità di una vita personale dopo la morte in quanto la realtà sarebbe un eterno-infinito-presente[3].

Con il loro entrare in scena mi sembra che un bello scossone l’abbiano preso più alcuni passi dei corpi dottrinali delle Chiese che il teismo in sé, a quest’ultimo ci ha pensato Freud.

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1 L’altro giorno ho letto un libro di un americano vescovo in pensione della Chiesa episcopale, che glissando sull'autentico pensiero di Darwin e di Einstein affermava, poggiando su di loro in stile UARR, la fine definitiva del teismo. Probabilmente il nostro vescovo ha equivocato l'indubitabile collassare di quattro assurdi precetti della sua Chiesa con tutto il teismo, che è invece cosa differente da una specifica confessione seppur sovente contigua.

2 Riporto a riguardo una lettera di Darwin ad Asa Gray, altre sulla stessa tematica si possono leggere qui.

 Lettera 2814 – C.R. Darwin ad Asa Gray, 22 Maggio 1860

Mio caro Gray,
[…] In merito all’aspetto teologico della domanda; è sempre doloroso per me.— sono sconcertato— non avevo alcun’intenzione di dare un’impronta atea al mio scritto. Ma confesso che non riesco a vedere, chiaramente come altri e come desidererei, prove di un progetto e di benevolenza tutto attorno a noi. Mi sembra ci sia troppa miseria nel mondo. Non riesco a convincermi che un Dio benevolo e onnipotente avrebbe creato di proposito le Ichneumonidæ con l’espressa intenzione che si alimentassero all’interno dei corpi vivi dei vermi, o che un gatto dovesse giocare con i topi. Non credendoci, non vedo alcuna necessità nel credere che l’ideazione dell’occhio sia stata mirata. D’altra parte, non riesco comunque ad accontentarmi di guardare questo meraviglioso universo e specialmente la natura dell’uomo, e di concludere che tutto sia l’esito della forza bruta. Sono incline a guardare tutto come risultante da leggi mirate, con i dettagli, vuoi buoni vuoi cattivi, lasciati all’elaborazione di quello che noi potremmo chiamare caso. Non che questa concezione mi soddisfi affatto. Nel più intimo di me stesso, sento che l’intera materia è troppo profonda per l’intelletto umano. Un cane potrebbe ugualmente speculare sulla mente di Newton. — Lasciamo che ogni uomo speri e creda quel che può. —Concordo certamente con Lei che le mie vedute non sono affatto necessariamente atee. Il fulmine uccide un uomo, che sia un buono o un cattivo, a causa dell’azione esageratamente complessa delle leggi naturali - un bimbo (che potrebbe risultare un idiota) nasce per effetto di leggi ancor più complesse; e non riesco a concepire alcun ragione per cui un uomo, o altro animale, non potrebbe essere stato prodotto ab origine da altre leggi e che tutte queste leggi potrebbero essere state ideate da un Creatore onnisciente, che prevedesse ogni evento e conseguenza futuri. Ma più penso più mi sento sconcertato; come in effetti ho probabilmente palesato in questa lettera. 

Sono profondamente colpito dalla Sua gentilezza e dal Suo interesse.— Sinceramente e cordialmente Suo,

Charles Darwin

3 Albert Einstein così conclude la celebre lettera di condoglianze alla famiglia di Michele Besso, suo fraterno amico: “Ora ha lasciato questo strano mondo un po’ prima di me. Non significa niente. Per noi fisici credenti [credenti nella fisica], la distinzione tra presente, passato e futuro non è che un'illusione cocciuta e persistente."

Pubblicato in Sacro&Profano

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