BLOG DI BRUNO VERGANI

Radiografie appese a un filo, condivisione di un percorso artistico

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Bruno Vergani

Bruno Vergani

Radiografie appese a un filo. Condivisione di un percorso artistico, davanti al baratro con angoscia parzialmente controllata.

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Sabato, 12 Novembre 2011 17:46

Teologia tribale, psichiatria esistenziale

Don Giussani, certo della condizione creaturale dell’uomo, sosteneva che la dipendenza ontologica dal “Mistero” che ci ha fatti fosse l'unica possibilità di emancipazione dal nulla che ci incombe addosso.

“Ontologico”, Giussani, non lo utilizzava filosoficamente ma empiricamente, come aggettivo o avverbio della parola “essere”, come “ciò che è in realtà”. Anche Mistero - rigorosamente con la M maiuscola - non lo diceva per l’occulto che significa, ma come la forma specifica che il Creatore avrebbe scelto per incontrare gli uomini: la Chiesa cattolica, posto in cui il Dio misterioso si farebbe presente.

Da qui sentenziava che più l’uomo si sottrae a questo disegno divino misterioso e carnale insieme, tanto più scivola verso il nulla.  Il singolo uomo, elemento insignificante, nulla assoluto, per poter essere dovrebbe, dunque, percepirsi come cellula appartenente alla corporazione ecclesiastica: un'anima collettiva, di gruppo, come le api e le formiche, anzi di più: dipendenza ontologica totale come i buchi nel formaggio, che grandi o piccoli, superficiali o profondi, devono comunque il fondamento del loro essere nell’appartenere all’oggetto che li ospita, fuori si dissolvono.

Siccome il Mistero si è incarnato, è diventato corpo, corporazione, la dipendenza ontologica giussaniana che ci consentirebbe di “essere”, si attuerebbe appartenendo a quella comunione di uomini che, in quanto prescelti dal destino, rappresenterebbero il Mistero che ha fatto tutte le cose, nella fattispecie le autorità della istituzione ecclesiastica; onnipotenti che guidano dipendenti.

La psichiatria più che la teologia chiarisce la faccenda. Lo scozzese R. D. Laing, psichiatra e filosofo, nella sua opera più importante “L’io diviso” dedica un intero capitolo, il terzo, all’insicurezza ontologica e alle conseguenti dipendenze esistenziali. Descrive con lucidità  la visione ontologica di Giussani - che mai aveva conosciuto -  in modo antitetico: diagnostica la dipendenza ontologica psicotica e giudica, invece, l’uomo sano quello che libero da appartenenze e dipendenze  è capace di pensiero autonomo.  

Laing precisa: “La capacità di sentirsi autonomo significa che si è riusciti a rendersi conto di sé come persona separata da tutti gli altri. Per quanto profondamente io sia legato, nella gioia o nel dolore, a un’altra persona, questa non è me, né io sono lei.

Evidente? Elementare? Ovvio? Non per tutti.

Mercoledì, 09 Novembre 2011 18:35

Autarchia: autosufficienza del saggio

Iniziata la lettura de “L'io diviso” di Ronald Laing, psichiatra e filosofo scozzese; scappato qualche ora dal lavoro per raccogliere olive, un buon modo per risposarmi;

tornato al lavoro ho commesso un errore: un giro su Google news per aggiornarmi della crisi di governo. Immediata sensazione di prosciugamento e nausea, se la priorità della mia esistenza fosse quella roba lì morirei a breve. Dicono che siano cose importanti ma sto avendo severi indizi che non lo siano, anche se i più sono lì su Twitter ad aggiornarsi.

Forse più ci si aggiorna meno si pensa e più ci si prosciuga.

Ho appreso dal dizionario Garzanti che “pirla” viene da pirlare, variante di prillare: girare su sé stesso, l’ossessione d’aggiornamento è qualcosa che gli assomiglia.

Charles Bukowski giudicava urgenti altre faccende:  "Un uomo o è un artista, o una mezzasega, e non deve rispondere a nient'altro, direi, se non alla propria energia creativa."

Lunedì, 07 Novembre 2011 16:22

Fuoco rigeneratore

Pulito il ripostiglio dopo dieci anni, nel trovare una chiave inglese arrugginita mi è tornato alla mente un amico ingegnere meccanico che progettava motori. S’impegnava per farli semplici, diceva che i pezzi che non si rompono mai sono quelli che non ci sono.
Così quando ho trovato gli  occhiali di mio padre defunto li ho buttati nella spazzatura. Coroncina del rosario di quand’ero ragazzo, con grani di nocciolo d’ ulivo garantito di Gerusalemme, dentro il camino acceso. Statuine del presepe salvate dalla spazzatura dalla mia compagna, soggetto romantico.

So che i consigli dell’ingegnere applicati agli uomini invece che ai motori aprono la strada al nichilismo, però mi è piaciuto.

Mercoledì, 02 Novembre 2011 18:41

Trova il pirla in 5 secondi

Trova il pirla* in 5 secondi

*pirla da pirlare variante di prillare: girare su sé stesso 

 

Venerdì, 28 Ottobre 2011 09:28

Diobo'

Tutti in chiesa per il funerale. Dentro il carrozzone religioso istituzionale ognuno per quello che è in intima e collettiva armonia, indifferenti ai ruoli sociali, emancipati da personali opinioni, reciprocamente noncuranti del sapere e del reddito personale. Rito collettivo autentico dove i partecipanti sperimentano fisicamente di appartenere a un popolo, all’umanità tutta e forse a qualcosa di più grande ancora.

La fragranza d’incenso si mischia all’odore ricinato degli scarichi delle moto da corsa messe lì davanti all’altare, liturgie di caschi e stole, pneumatici racing e turibuli.
Diaconi con ceri accesi insieme a piloti ragazzi così abili da fondersi con la moto, apparati psicomeccanici capace di sfidare il destino. Velocità: mix di morte e resurrezione, i suoi sacerdoti nell’affrontare le curve invece di frenare accelerano e piuttosto di seguire la traiettoria della curva controsterzano dalla parte opposta. Nel fare il contrario di quello che la logica suggerisce accade un derapare controllato che regala salvezza.

Veicoli a due ruote, che senza alcun motivo e con molto rumore girano con la manetta del gas al massimo dentro un cerchio, nel rito cristiano si trasformano in palloni aerostatici che conducono alle alte sfere, traghetti che trasportano da quaggiù a lassù e quel là misterioso dicono che sia il posto vero, quello giusto, quello bello. Riferiscono che lassù ci sono gli angeli e gli lanciano palloncini mentre la voce di Vasco Rossi copre sciatte canzoncine da oratorio. Diobo’! Ma è un sogno? No è l’Italia e milioni di italiani  hanno assistito ai funerali in diretta trasmessi su due reti nazionali.

Primo Levi già spiegava: “Una singola Anne Frank detta più commozione delle miriadi che soffrirono come lei, la cui immagine è rimasta nell’ombra. Forse è necessario che sia così; se dovessimo e potessimo soffrire le sofferenze di tutti, non potremmo vivere.”

Claudio Costa un esponente del circo motociclistico GP alla fine della celebrazione ha detto ai presenti in piazza:

"Marco oggi ha fatto un miracolo, tornare a casa con tutti voi che lo avrete sempre nel cuore…

E’ proprio vero chi (ed io con loro) ha sofferto per la morte di una persona cara nel tempo ha sentito che era un po’ presente dentro di lui, percezione intima inequivocabile. Difficile farne esperienza se si mette in piazza, si spettacolarizza, se si eccede nell’ostentare, nel beatificare, se si entra nel tritacarne del luna park mediatico dove tutto inevitabilmente si conforma, banalizza. Così hanno desiderato i genitori o così hanno voluto i direttori televisivi?
E quando il palco della messa in scena è la chiesa cattolica, quella che nega i funerali a Piergiorgio Welby e fa funzioni solenni per Pinochet lo spettacolo assume connotazioni amare.



Giovedì, 27 Ottobre 2011 00:00

Sii te stesso?

“L’onestà fu il suo ideale, il lavoro, la sua vita, la famiglia, il suo affetto” .

Così recita l’incipit di un di necrologio prefabbricato, come un template di WordPress, che le agenzie funebri, quelle professionali, mettono a disposizione dei parenti a corto di idee che intendono sintetizzare vita e opere del caro estinto.

E pensare che da vivo, proprio chi da morto l’ha incorniciato in due righe standard, gli suggeriva di essere sempre sé stesso, di non indossare personalità a seconda del luogo e delle circostanze per tirar fuori quell’ ‘Io’ unico irripetibile, inequivocabile, che era.

Invece lui da vivo si percepiva in costante divenire e senza sentirsi impostore esprimeva pluralità complesse, dinamiche sempre differenti. Il suo io mutava velocemente con i suoi pensieri e talvolta coi suoi sentimenti e non sapendo chi era, invece d’essere chiunque, era proprio lui.

 

Mercoledì, 26 Ottobre 2011 23:14

Essere o divenire?

Nel Tetragramma biblico è rivelato il nome proprio di Dio: Yahweh "Io sono ciò che sono"; così, l’individuo fatto a immagine e somiglianza di quel Dio può affermare il “dato” che gli regala inequivocabile e stabile identità: “Io”.

Eppure, pur accorgendoci di essere noi stessi per deduzione immediata come suggerisce la Bibbia, osserviamo che la struttura dell’Io e le dinamiche che creano l’identità personale risultano complesse. Constatiamo che l’io è mutevole, inafferrabile, proteiforme, più vicino ad una costruzione narrativa, ad un processo in svolgimento, che a un dato oggettivo immodificabile ed inequivocabile.

La dialettica tra i due approcci ha caratterizzato la storia del pensiero e il rapporto conflittuale tra visioni religiose integraliste e umanesimo laico, fino a quando Yahweh - nome che nella tradizione ebraica è giudicato troppo sacro per essere pronunciato - è diventato, nella versione inglese "I Am What I Am", il motto della campagna pubblicitaria dell’azienda leader mondiale di scarpe da ginnastica. Il messaggio della multinazionale invita i giovani a riscoprire ed abbracciare la propria individualità unica e irripetibile perché test di laboratorio certificano che indossando le loro scarpe “... si genera un'attivazione dei glutei fino al 28% maggiore rispetto a una comune scarpa da ginnastica grazie ad un sistema di capsule di bilanciamento all’interno della suola della scarpa che crea una naturale instabilità ad ogni passo”.

Un 28% per cento in più di tono al culo che permette finalmente di affermare: "Io sono io". Potevano dirlo prima.

Mercoledì, 26 Ottobre 2011 23:14

Volontà di potenza

Nel maggio del 1922 veniva pubblicato “Il banchiere anarchico” racconto di Fernando Pessoa.

Intervista immaginaria ad un anarchico che aveva realizzato i suoi ideali di libertà spezzando le catene delle regole sociali che ostacolavano la personale “realtà naturale” diventando banchiere. Racconto che dimostra come la retorica e i sofismi riescano a giustificare contraddizioni insostenibili.

Non sfugge l’attualità del racconto per la somiglianza antropologica tra chi, su versanti opposti, per liberarsi dall’onnipotenza dello Stato distrugge a capocchia quello che incontra sulla via e chi, per raggiungere il medesimo obbiettivo, ha fatto di tutto per diventare tanto ricco e potente da non subire condizionamenti.

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