Strane faccende biochimiche
Dall’interazione di sostanze chimiche e moderate correnti elettriche il cervello emette coscienza e pensiero. A differenza di una ghiandola che secerne sostanze delle quali è possibile rendicontare andata e ritorno dei passaggi trasformativi, la biochimica del cervello estrude un quid totalmente alieno dal materiale di partenza.
L’emergere dell’evento della coscienza e del pensiero è tanto carico di autonomia ontologica e anarchia biologica da evocare il Fiat creatore, l’irrompere del soprannaturale, la trasmutazione alchemica, la transustanziazione e robe del genere, ma bastano pochi grammi di una pianta psicotropa o di un anestetico generale per modificare o azzerare il miracolo, ricollocandolo nel suo paradigma biochimico.
La cosa convince ma non del tutto, è un po’ come interrompere il campo del telefonino e sostenere che non senti più voce e pensiero dell’amico che ti stava parlando perché è sparito.
Quesito
Neuroscienziati ipotizzano che la coscienza che ci rende consapevoli di noi stessi e del mondo sia una allucinazione controllata[1] e, a partire da Kant, chiamiamo fenomeni le cose che i sensi percepiscono per distinguerli dalla realtà delle cose in sé, che per i sensi limitati di cui disponiamo non ci è data conoscere.
Ma com’è che tentando di percepire, per mezzo di una allucinazione, una realtà che ci è preclusa, riusciamo a portare qualcuno sulla luna e riportarlo indietro senza sbattere?
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1 Anil Seth, Come il cervello crea la nostra coscienza; Raffaello Cortina Editore.
Without control
L’imperativo naturale “sii” pervade la biosfera, impregna piante e animali. Con meccanismi ancora da chiarire stimola la coscienza individuale che procura, in gradi differenti nelle varie specie, la sensazione di essere qualcuno invece di nessuno, di essere quello lì non quell’altro. Non è escluso che la percezione d’essere qualcuno sia risultata vincente perché, nel processo evolutivo, ci rende più idonei alla vita e più abili nell’adattarci all’ambiente. Uno che si percepisce qualcuno tenderà a conservarsi e autoperpetuarsi meglio rispetto a qualcosa che, seppure viva, si percepisce nessuno. In Homo sapiens la percezione di essere qualcuno è tanto forte da dargli l'impressione di protendere dal funzionamento naturale, così costruisce universi di valori e fonda sensi, non gli basta essere vuole essere significativo.
Qui le ipotesi sono due, o siamo stati creati da Dio o al funzionamento naturale la cosa è un po' sfuggita di mano.
Surrogati
Di norma pesci e insetti appena nati già mangiano in totale autonomia ciò che si trovano intorno, noi siamo un po’ meno precoci e molto più inetti, se nel nostro iniziare non incontriamo tempestivamente il volto di un altro che, stringendoci con cura, ci nutra comunicandoci: “Ti vedo, sei importante”, periamo.
Nel caso riuscissimo a sopravvivere saremmo condannati a fotografarci il culo per metterlo su Tik Tok, così che qualcun altro ci dica: “Ti vedo. Hai un bel culo. Esisti.”
La commedia degli equivoci
Di solito la gente che passeggia per la via vede il mondo come una evidenza oggettiva, senza accorgersi che questa percezione empirica non è attivata soltanto dall’evento del mondo, ma dall’interazione fra il mondo e la coscienza personale che ci rende consapevoli di noi stessi e dell'ambiente configurandolo.
Da tempo la ricerca filosofica prova a gettare un po’ di luce sua questa interazione cruciale, un minimo di interesse per la problematica non guasterebbe, visto che quando si va a sbattere di solito si sbatte per un fraintendimento, per uno scarto fra pensiero e realtà.
Sollazzi
Ne aveva di ragione Schopenhauer (1788-1860) nel vederci zimbelli della specie, perché nel piacere sessuale, dopo tutte le laboriose liturgie messe in atto per ottenerlo, lì all’acme del godimento individuale siamo nient’altro che funzionari della specie che ottemperano decreti biologici finalizzati alla sua autoperpetuazione,
anche se oggi dalla nostre parti questo giudizio risulta piuttosto datato, basta una rapida occhiata ai dati relativi a quanti con pieno successo utilizzano metodi per evitare una gravidanza, per renderci conto di quanto stia diventando la specie zimbello dell’individuo.
Equivoci
Una strategia per tollerare le avversità potrebbe essere quella di interpretarle come espressioni dell’ordine provvidenziale dell'universo, a mo’ degli stoici[1]. Fede corroborata dal funzionamento ordinato delle meccaniche celesti e delle armoniche sinergie che, perlopiù, caratterizzano il funzionamento della biosfera, ma siccome c’è stato Hitler, ci sono le oncologie pediatriche e la biosfera, indifferente alla felicità di chi ci abita dentro, è tutta presa nel fargli esami di idoneità, la concezione stoica viene falsificata e il suo nucleo esautorato.
Ammesso ma non concesso che si possa falsificare una Weltanschauung al pari di una teoria che ha carattere scientifico, ci sarebbe da considerare che giacché gli Hitler non si incontrano tutti i giorni[2], che oltre alle oncologie pediatriche c’è anche altro sotto il cielo e che la natura non è sempre e solo un orco esaminatore, possiamo nel frattempo abbracciare prospettive di significato e senso se possono aiutarci a vivere, forse parziali, magari provvisorie, anche falsificabili, nondimeno utili.
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1 Teorie che sostengono l’accadere di corrispondenze, anche se non sempre provvidenziali comunque significative, partono già da Platone fino ad arrivare alla sincronicità junghiana.
2 Peraltro, come sostengono Viktor Frankl e Primo levi, chi ha vissuto la tragedia di incontrarlo gli ha resistito meglio se aveva una qualche fede. Da una intervista di Enzo Biagi a Primo Levi: Lei ha scritto che sopravvivevano più facilmente quelli che avevano fede.
Sì, questa è una constatazione che ho fatto e che in molti mi hanno confermato.
Libero arbitrio
Non so se esiste libero arbitrio al momento ho più dubbi che certezze[1], anche perché senza alcun bisogno di sanzioni e perdoni sarebbe un mondo migliore.
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1 Un amminoacido non sceglie obbedisce, ossia funziona ottemperando leggi naturali, mentre a noi sembra di poter scegliere se ottemperare o non ottemperare. Imputabile è solo l’essere umano, tutto il resto no perché funzionamento governato da leggi di necessità. Ammesso e non (del tutto) concesso che siamo liberi - pensatori del calibro di Spinoza, Hume, Schopenhauer e Voltaire, consideravano il libero arbitrio una mera credenza- va da sé che incardinando l’individuo umano nel meccanicistico funzionamento di una natura sprovvista di un libero logos, il libero arbitrio diventa un’anomalia, un intruso, un nodo. Per spiegare il libero arbitrio o affermiamo che non esiste, o ammettiamo un Dio che libero infonde tale libertà nelle sue creature, oppure accettiamo che una sorta di Dio sia l’uomo stesso, ammettendo nell’individuo un nucleo anarchico rispetto al funzionamento della natura, testimoniato dall’incausato, “miracoloso”, potere di scegliere. Potrebbe anche essere che la libertà personale di Homo sapiens sia “emersa” dalla natura, ma per emergere dovrà pur essere stata già presente, come in nuce, da qualche parte. Nell’ammettere un Dio creatore il libero arbitrio umano è un’ovvia verità, perché siamo creati liberi di scegliere a immagine e somiglianza del Creatore, mentre nell’ateismo, variante panteistica inclusa, il libero arbitrio è evento nebuloso e problematico, visto che nella natura, causa di sé medesima, ogni evento poggia e muove obbedendo a leggi fisse determinate da necessità.
“Io sono”
Venuti al mondo la nostra primissima esperienza, che ha preceduto e permesso tutte le altre, è stata verosimilmente la percezione consapevole di essere; non d’essere questo o quello ma la nuda, diretta, immediata, percezione di esistere. In seguito intanto che ogni età procedeva e dentro e fuori di noi si succedevano continui cambiamenti, quella percezione d’essere permaneva immutata come se fosse fuori dal tempo.
L’appercezione (la percezione cosciente di percepire) è spesso la radice della differenziazione e contrapposizione fra il mondo degli uomini e quello della natura[1], forse accade perché la vediamo come una nostra conquista supponendo così di averne l’esclusiva, senza renderci conto che è invece un dato naturale, può darsi universale[2], che è emerso spontaneo come il cuore che batte e l’occhio che vede.
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1 L’estrema dottrina di George Berkeley (1685 -1753), arriva fino al punto di considerare la materia inesistente se sprovvista di un soggetto che ne fa esperienza.
2 Le pietre non lo so, ma non possiamo escludere che calendule e girini a modo loro appercepiscano, senza per questo sentirsi di protendere dal funzionamento naturale.
Gioco dell’oca: torna alla casella 1
Gli antropologi sono abbastanza concordi nel definire le spiritualità dei popoli precolombiani panenteiste, ossia che Dio pur immanente nell’universo non coincide, piatto, piatto, con la natura esaurendosi con essa come nel panteismo, ma la trascende[1]. Panteismo e panenteismo concezioni che nell’occidente cristiano abbiamo raggiunto[2] dopo millenni di ricerca, di conflitti religiosi e di arsi vivi.
Visto il tempo perso e le sofferenze arrecate per poi alla fine ritornare a spiritualità ancestrali, ci sarebbe da chiedersi se avremmo avuto un mondo migliore senza il teismo, i suoi libri e chiese, ma siccome oltre al tempo perso e alla sofferenza arrecata le religioni rivelate hanno anche fatto cose buone è difficile rispondere.
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1 In alcuni panenteismi che Dio è trascendente non significa solo che, seppur immanente, precede e supera l’universo fisico, ma anche che è coscienza alla quale è possibile rivolgersi, piuttosto che un funzionamento impersonale: i nativi americani ci parlano col Grande spirito, che è un qualcuno (non per questo antropomorfo) invece di nessuno.
2 Concezione che abbiamo raggiunto ma alla quale siamo anche tornati, visto che il panenteismo di un nativo americano assomiglia, per certi versi, a quello di un Eraclito.