BLOG DI BRUNO VERGANI

Radiografie appese a un filo, condivisione di un percorso artistico

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Lunedì, 31 Gennaio 2022 19:14

Due

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Al cospetto del totalmente ignoto, del non controllabile, di ciò che inesorabilmente invecchia e finisce, di ciò che è causa di sofferenza, come non essere presi da angoscia e mestizia?

Eppure proprio in mezzo a tutto questo può irrompere un misterioso distacco da noi stessi e dalle circostanze. Un improvviso sorgere di un altro noi che osserva, come dall’alto, il nostro piccolo esistere in questo mondo provvisorio. E’ come se in noi albergassero due nature, una identificata con se stessa che vive gioendo e soffrendo delle circostanze e un’altra oltre, che libera da tutto ciò la osserva.

Roberto Calasso nel saggio «L'ardore» ben illustrava la dinamica: "Dal Ṛgveda alla Bhagavad Gītā si elabora un pensiero che non riconosce mai un soggetto singolo, ma presuppone al contrario un soggetto duale. Così è perché duale è la costituzione della mente: fatta di uno sguardo che percepisce (mangia) il mondo e di uno sguardo che contempla lo sguardo rivolto al mondo. La prima enunciazione di questo pensiero si ha con i due uccelli dell'inno 1, 164 del Ṛgveda:

«Due uccelli, una coppia di amici[1], sono aggrappati allo stesso albero. Uno di loro mangia la dolce bacca del pippala; l'altro, senza mangiare, guarda[2]».

Non c'è rivelazione che vada oltre questa, nella sua elementarità. E il Ṛgveda la presenta con la limpidezza del suo linguaggio enigmatico. La costituzione duale della mente implica che in ciascuno di noi abitino e vivano perennemente i due uccelli: il Sé, ātman, e l'Io, aham."

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1  Indispensabili entrambi e alleati.

2 Se l'uccello che mangia è bulimico e ipertrofico sarà difficile percepire quello che, senza mangiare, guarda.

Ultima modifica il Martedì, 01 Febbraio 2022 10:47

1 commento

  • Link al commento Maria Martedì, 08 Febbraio 2022 07:44 inviato da Maria

    Grazie di questa illuminante citazione esemplificativa.

    Rapporto

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