BLOG DI BRUNO VERGANI

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Sabato, 05 Giugno 2021 19:51

Le ignote sorgenti del valore

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In un’ottica teistica l’origine dei valori è chiara e semplice, ingenua e semplicistica per chi preferisce, infatti i valori sono per così dire promulgati da una verità razionale superiore che ce li rivela, di solito a mezzo libro. Ipotesi indimostrabile e altamente rischiosa quella di individuare la sorgente del valore in un assoluto sovrannaturale, conosciamo bene le derive assiologiche che questa narrazione ha prodotto nella storia. In fondo i valori scesi dal cielo sono niente di più che valori culturali che ipostatizzati, vale a dire gonfiati di una sussistenza che di per sé non possiedono, sono fatti ascendere al cielo e lì assunti ridiscendono dagli umani creatori, temprati in una fucina celeste che li ha resi assoluti e immodificabili, quindi incontestabili.

Se escludiamo l’origine sovrannaturale dei valori dobbiamo concludere che i valori non possono che provenire dalla cultura o sorgere dalla natura, ma accettando queste genealogie incontriamo altri problemi. Se i valori sono culturali significa affermare che sono delle invenzioni umane, più o meno condivise, che mutano con i tempi e i luoghi. Insomma ci troviamo costretti a riconoscere un relativismo dei valori, un rendere il valore relativo alle preferenze del soggetto, o alle preferenze di gruppi. In effetti la storia ci conferma che ciò che era considerato valore in un certo periodo e posto, può rivelarsi disvalore in altri tempi e in differenti luoghi.

Se i valori sono invece naturali?  Qui le cose si complicano ulteriormente. Esistono valori naturali? Si può affermare che la natura sia retta, giusta, nobile, onesta o cortese? Operazione impossibile visto che l’amorale natura (prescinde da morale) rigetta[1] qualsiasi giudizio e aggettivazione che gli appiccichiamo addosso (fallacia patetica), quindi i valori non possono scaturire da una sorgente che ne è priva.

Eppure a parte qualche serial killer e mafioso incallito tutti noi perlopiù sentiamo, pur senza sapere da dove provenga e poggi questo percepire, che ci sono pensieri, parole e azioni giuste e altre meno giuste, una sorta di percezione valoriale istantanea, a priori, stabile, universale, aurea, di ciò che è bene. Indizio, questo, che il valore poggia sull’essere e deriva dall’essere, in un istantaneo sentire contemplativo dove valore e essere[2], se preferiamo moralità e verità, sono un tutt'uno. Anche se l'essere (quello con l'articolo determinativo) è termine non scevro da ambiguità, se lo intediamo come l'esserci di un soggetto in relazione con l'esserci di altri soggetti in questo mondo, la coincidenza valore-essere è forse l’ipotesi più solida, anche se un po’ misteriosa, per spiegare l’origine del valore. A partire da qui il valore va, di volta, in volta, declinato in valori relati alla particolare situazione storica e contesto specifico, operazione che non ha nulla da spartire con l’arbitrario relativizzarlo o ipostatizzarlo.

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1 Si potrebbe osservare che anche noi apparteniamo alla natura e siamo natura, pertanto la cultura che produciamo è anch’essa natura o cumunque proviene dalla natura (sinechismo). Partendo dall’assunto si potrebbe proseguire con una imprudente fiammata di esaltazione antropocentrica, concludendo che i giudizi e gli aggettivi che Homo sapiens esprime sulla natura non sarebbero delle avulse e non richieste proiezioni che le appiccichiamo addosso, ma il traguardo di un processo evolutivo dove la natura prende coscienza di sé.

2 Nell’induismo il termine sanscrito Satya esprime nel contempo significato di verità e di realtà.

Ultima modifica il Lunedì, 28 Giugno 2021 22:38

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