BLOG DI BRUNO VERGANI

Radiografie appese a un filo, condivisione di un percorso artistico

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Venerdì, 01 Novembre 2013 18:23

Nicea-Palermo

Scritto da 

Serata di autunno, Palermo. Ingurgito una polpetta al pesce spada affumicato e l’amico filosofo e teologo mi chiede:

«Quante nature in Cristo secondo la dottrina cattolica?”  
E io - considerando la natura divina e nel contempo umana di Gesù Cristo -  rispondo: «Due» e bevo un sorso di vino per inghiottire un pezzo di polpetta rimasta a metà esofago.

L’amico a raffica: « E quante persone? Non per te e neanche per me, ma secondo la cristologia cattolica».
In difficoltà pensavo cosa si dovesse mai intendere per “persona”. L’amico perplesso dall’impasse (visti i miei trascorsi cattolici) chiarisce: «Persona come ipostasi, insomma l’Io.»
E io equivocando natura e persona rispondo ancora: «Due! » al pari di un ibrido Toyota. Errore!

Pensando alla Trinità mi correggo rapido: «Tre». Errore!

Per esclusione affermo: «Una». Risposta esatta. Per la dottrina cristologia cattolica l’Io di Cristo è proprio e solo divino.

A Taranto quando una ragazza apprezza il neomelodico napoletano dicono che è cozza dentro; la dottrina Cattolica che Gesù è Dio dentro. Se l’avessi saputo prima non mi sarei attardato più dello stretto necessario (qualche minuto) in ambienti cattolici: mica mi piace essere amico di uno che ha Dio invece dell'Io.
Inaspettatamente utile la teologia.

Ultima modifica il Lunedì, 22 Febbraio 2016 18:35

2 commenti

  • Link al commento Augusto Cavadi Sabato, 02 Novembre 2013 07:57 inviato da Augusto Cavadi

    Caro Bruno, ho voluto verificare se ti avevo trasmesso delle informazioni corrette. Il Catechismo attuale della Chiesa cattolica ha sfumato molte asserzioni dogmatiche e, per questo, Ratzinger si è preoccupato di precisare più volte che esso non correggeva, ma confermava, il precedente catechismo di Pio X (quello, per intenderci, su cui ci siamo preparati alla prima comunione noi ragazzini degli anni Cinquanta del secolo scorso). In quel catechismo si andava giù con precisione chirurgica:
    "20. Come si chiamano le tre Persone della santissima Trinità?
    Le tre Persone della santissima Trinità si chiamano Padre, Fi­gliuolo e Spirito Santo.

    21. Delle tre Persone della santissima Trinità si è incarnata e fatta uomo alcuna?
    Delle tre Persone della santissima Trinità si è incarnata e fatta uomo la seconda, cioè il Figliuolo".
    Comunque, anche oggi, se si passa dal catechismo in uso ai libri di teologia 'ufficiale', si apprende con la medesima inequivoca chiarezza ciò che si può leggere anche su Wikipedia alla voce Gesù Cristo:
    "La cristologia cattolica riconosce in Gesù tanto la natura umana quanto quella divina così come definito dogmaticamente nel simbolo niceno-costantinopolitano e frutto dell'elaborazione dei primi Concili Ecumenici, in particolare il Concilio di Calcedonia.
    Tale cristologia attualmente è ritenuta per vera dalla Chiesa cattolica, dalla Chiesa ortodossa e dalla maggior parte delle chiese protestanti luterane. Alcune chiese protestanti anglicane se ne discostano non riconoscendo in Gesù la natura divina piena. La totalità delle chiese evangeliche riformate e battiste, basandosi sulla Sola Scrittura crede nella cristologia di Calcedonia, ed anche la maggioranza delle chiese evangeliche pentecostali.
    La cristologia cattolica sostiene che in Gesù vi sono due nature, quella umana e quella divina, unite ma non confuse fra di loro. Così afferma il dettato dogmatico del concilio di Calcedonia (451): “Insegniamo a confessare un solo e medesimo Figlio: il Signore nostro Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, uno e medesimo Cristo Signore unigenito; da riconoscersi in due nature, senza confusione, immutabili, indivise, inseparabili, essendo stata salvaguardata la proprietà di ciascuna natura, e concorrendo a formare una sola persona e ipostasi; Egli non è diviso o separato in due persone, ma è un unico e medesimo Figlio, Verbo e Signore Gesù Cristo”. Già il concilio di Nicea (325) aveva proclamato Gesù consustanziale con il Padre ("homousios to Patrì"), generato prima del tempo e a lui coeterno e coeguale, contro le dottrine di Ario che lo interpretavano solamente come un'eminente creatura. Secondo la medesima dottrina ortodossa, dalla vergine Maria Gesù ha veramente assunto la natura umana al momento dell'incarnazione. Così che l'incarnazione, la morte in croce, la risurrezione e l'effusione dello Spirito Santo costituiscono come i cardini della soteriologia cristiana".
    Aggiungo soltanto che, quando ero cattolico, lo ero proprio perché avevo capito la proposta cristologica: aderivo all'unica religione in cui non mi dovevo fidare di un uomo che parlava di Dio (Mosé, Maometto etc.), ma di Dio stesso. Quando, studiando teologia, sono arrivato alla conclusione che questa identità divina di Gesù NON era stata rivendicata e proclamata da Gesù stesso, bensì dai suoi seguaci (e neppure da quelli della prima generazione, bensì via via lungo i primi secoli), ho ritenuto più rispettoso del Mistero divino passare alle posizioni "oltre-cristiane" che tu conosci dal mio libro "In verità ci disse altro". Non sarebbe saggio né onesto, infatti, essere più realisti del re e più cristiani di Cristo!

    Rapporto
  • Link al commento Bruno Vergani Sabato, 02 Novembre 2013 12:44 inviato da Bruno Vergani

    Caro Augusto in effetti abbiamo avuto percorsi differenti. Ricordo che don Giussani non curante della teologia e neppure della filosofia poggiava tutta la sua pedagogia «non su una sintesi di idee ma su una certezza di vita»: sull’ “avvenimento” della compagnia ecclesiale, nel caso di specie Comunione e Liberazione, gruppo di uomini segno sacramentale di Dio stesso. Non a caso, indifferenti alla teologia, studiavamo storia della Chiesa. Quel partire dall’uomo e dalla storia (dalla ecclesiologia), invece che da Dio, era - per me ragazzo - affascinante. Tutto sommato Dio, seppur concettualmente vero e perfetto, non lo vedevo a differenza della “compagnia sacramentale” che vedevo e toccavo. Avvertivo, in quel mio approccio esistenziale, Dio sinistramente fisso nella sua perfezione nebulosa e preferivo il movimento di una umana tangibile compagnia segno del divino.
    A pensarci oggi un approccio meno esistenzialistico e più di pensiero con approfondimento teologico - invece di glissarci sopra, alla Giussani - dei concili di Nicea e seguenti e non solo, avrebbe forse aiutato a circoscrivere velleità giovanilistiche e fascini connessi per andare al punto della questione: una dottrina che afferma un Cristo che al posto dell’Io ha Dio nell'apparirmi inconciliabile coi Vangeli (almeno quelli li approfondivo quotidianamente) avrebbe stimolato, per sillogistico rimando, precise perplessità sulla “compagnia sacramentale” stessa. Ci sono arrivato per altre tortuose e faticose vie.

    la tematica meriterebbe approfondimento a iniziare dagli ambienti cattolici: quanti conoscono con precisione la cristologia del Magistero? A quali conseguenze porterebbe una conoscenza precisa? Sono piuttosto convinto che per soggetti pensanti condurrebbe, non di rado, alla miscredenza (non di Cristo ma della dottrina della Chiesa).
    Non così pensava Giovanni Paolo II nell’Udienza Generale, 13 Aprile 1988 dove affermava chirurgico - contestando catechesi che "sfumano molte asserzioni dogmatiche" - l’importanza delle definizioni cristologiche dei Concili nella Chiesa d’oggi. Il richiamo preoccupato del papa- che riporto a seguire - dimostra quanto la posizione del Magistero non sia chiara sia in ambienti cattolici che fuori:

    «1. Riassumendo la dottrina cristologica dei Concili ecumenici e dei Padri, nelle ultime catechesi abbiamo potuto renderci conto dello sforzo compiuto dalla mente umana per penetrare nel mistero dell'uomo-Dio, e leggervi la verità della natura umana e della natura divina, della loro dualità e della loro unione nella persona del Verbo, delle proprietà e facoltà della natura umana e della loro perfetta armonizzazione e subordinazione alla egemonia dell'io divino. La traduzione di quella lettura approfondita è avvenuta nei Concili con concetti e termini assunti dal linguaggio corrente, che era la naturale espressione del modo comune di conoscere e di ragionare, anteriore alla concettualizzazione operata da qualsiasi scuola filosofica o teologica. La ricerca, la riflessione e il tentativo di perfezionare la forma espressiva non mancarono nei Padri e non sarebbero mancate nei successivi secoli della Chiesa, nei quali i concetti e i termini impiegati nella cristologia - specialmente quello di «persona» - avrebbero avuto approfondimenti e precisazioni di valore incalcolabile anche per il progresso del pensiero umano. Ma il loro significato nell'applicazione alla verità rivelata da esprimere non era legato o condizionato da autori o scuole particolari: era quello che si poteva cogliere nell'ordinario linguaggio dei dotti e anche dei non dotti di ogni tempo, come si può rilevare dall'analisi delle definizioni in essi pronunciate.
    2. E comprensibile che nei tempi più recenti, volendo tradurre i dati rivelati in un linguaggio rispondente a nuove concezioni filosofiche o scientifiche, alcuni abbiano provato un senso di difficoltà a impiegare e ad accettare quell'antica terminologia, e specialmente la distinzione tra natura e persona che è fondamentale nella tradizionale cristologia come pure nella teologia della Trinità. Particolarmente chi si voglia ispirare alle posizioni delle varie scuole moderne, che insistono su una filosofia del linguaggio e su un'ermeneutica dipendenti dai presupposti del relativismo, soggettivismo, esistenzialismo, strutturalismo ecc., è portato a svalutare o addirittura a rigettare gli antichi concetti e termini, come affetti da scolasticismo, da formalismo, staticismo, astoricità ecc., così da essere inadatti ad esprimere e comunicare oggi il mistero del Cristo vivente.
    3. Ma che cosa è poi avvenuto? Prima di tutto che alcuni sono diventati prigionieri di una nuova forma di scolasticismo, indotto da nozioni e terminologie legate alle nuove correnti del pensiero filosofico e scientifico, senza preoccuparsi di un vero confronto con la forma espressiva del senso comune e, si può dire, dell'intelligenza universale, che permane anche oggi indispensabile per comunicare gli uni con gli altri nel pensiero e nella vita. In secondo luogo, vi è stato un passaggio, com'era prevedibile, dalla crisi aperta sulla questione del linguaggio, alla relativizzazione del dogma niceno e calcedoniano, considerato come un semplice tentativo di lettura storica, datato, superato e non più proponibile all'intelligenza moderna. Questo passaggio è stato ed è molto rischioso e può condurre a esiti difficilmente conciliabili con i dati della rivelazione.
    4. Nel nuovo linguaggio, infatti, si è arrivati a parlare dell'esistenza di una «persona umana» in Gesù Cristo, in base alla concezione fenomenologica della personalità, data da un insieme di momenti espressivi della coscienza e della libertà, senza sufficiente considerazione per il soggetto ontologico che ne è all'origine. Oppure si è ridotta la personalità divina all'autocoscienza che Gesù ha del «divino» che è in lui, senza intendere l'incarnazione come l'assunzione della natura umana da parte di un io divino trascendente e preesistente. Queste concezioni, che si riflettono anche sul dogma mariano e in modo particolare sulla maternità divina di Maria, così legata nei Concili al dogma cristologico, includono quasi sempre la negazione della distinzione tra natura e persona, che invece i Concili avevano preso dal linguaggio comune ed elaborato teologicamente come chiave di interpretazione del mistero di Cristo.
    5. Questi fatti, qui ovviamente appena accennati, ci fanno capire quanto sia delicato il problema del nuovo linguaggio sia per la teologia sia per la catechesi, soprattutto quando, partendo dal rifiuto pregiudiziale di categorie antiche (per esempio, di quelle presentate come «elleniche»), si finisce per subire una tale sudditanza a nuove categorie - o a nuove parole - da manipolare, in nome di esse, anche la sostanza della verità rivelata.
    Ciò non significa che non si possa e non si debba continuare a investigare il mistero del Verbo incarnato, e a «cercare modi più adatti di comunicare la dottrina cristiana», secondo le norme e lo spirito del Concilio Vaticano II, che ha ben ribadito, con Giovanni XXIII, che «altro è il deposito o le verità della fede, altro è il modo con cui vengono enunciate, rimanendo pur sempre lo stesso il significato e il senso profondo» .
    La mentalità dell'uomo moderno, formata secondo i criteri e i metodi della conoscenza scientifica, dev'essere accostata tenendo conto delle sue tendenze alla ricerca nei vari campi del sapere, ma anche della sua più profonda aspirazione a un «di là» che supera qualitativamente tutti i confini dello sperimentabile e del calcolabile, come pure delle sue frequenti manifestazioni del bisogno di una sapienza ben più appagante e stimolante della scienza; in tal modo questa mentalità odierna risulta tutt'altro che impenetrabile al discorso sulle «ragioni supreme» della vita e sul loro fondamento in Dio. Di qui la possibilità anche di un discorso fondato e leale sul Cristo dei Vangeli e della storia, formulato nella consapevolezza del mistero, e quindi quasi balbettando, ma non senza la chiarezza di concetti elaborati con l'aiuto dello Spirito dai Concili e dai Padri e a noi tramandati dalla Chiesa.
    6. A questo «deposito» rivelato e trasmesso dovrà essere fedele la catechesi cristologica, la quale, studiando e presentando la figura, la parola, l'opera del Cristo dei Vangeli, potrà benissimo far rilevare proprio in questo contenuto di verità e di vita l'affermazione della preesistenza eterna del Verbo, il mistero della sua «kenosi» (cf. Fil 2,7), la sua predestinazione ed esaltazione che è il fine vero di tutta l'economia della salvezza e che congloba con e nel Cristo uomo-Dio tutta l'umanità e in certo modo tutto il creato.
    Tale catechesi dovrà presentare l'integrale verità del Cristo come Figlio e Verbo di Dio nelle altezze della Trinità (altro fondamentale dogma cristiano), che si incarna per la nostra salvezza ed attua così la massima unione pensabile e possibile tra la creatura e il Creatore, nell'essere umano e in tutto l'universo.
    Essa non potrà inoltre trascurare la verità del Cristo che ha una sua realtà ontologica di umanità appartenente alla Persona divina, ma anche un'intima coscienza della sua divinità, dell'unità tra la sua umanità e la sua divinità e della missione salvifica che, come uomo, gli è assegnata.
    Apparirà così la verità per cui in Gesù di Nazaret, nella sua esperienza e conoscenza interiore, si ha la più alta realizzazione della «personalità» anche nel suo valore di «sensus sui», di autocoscienza come fondamento e centro vitale di tutta l'attività interiore ed esteriore, ma attuata nella sfera infinitamente superiore della persona divina del Figlio.
    Apparirà altresì la verità del Cristo che appartiene alla storia come un personaggio e un fatto particolare («factum ex muliere, natum sub lege») (Gal 4,4), ma che concretizza in sé valore universale dell'umanità pensata e creata nell'«eterno consiglio» di Dio; la verità del Cristo come realizzazione totale dell'eterno progetto che si traduce nell'«alleanza» e nel «regno» - di Dio e dell'uomo - che conosciamo dalla profezia e dalla storia biblica; la verità del Cristo eterno Logos, luce e ragione di tutte le cose (cf. Gv 1,4.9ss), che si incarna e si fa presente in mezzo alle cose, nel cuore della storia, per essere - secondo il disegno del Dio-Padre - il capo ontologico dell'universo, il redentore e salvatore di tutti gli uomini, il restauratore che ricapitola tutte le cose del cielo e della terra (cf. Ef 1,10).
    7. Ben lungi dalle tentazioni di ogni forma di monismo materialistico o panlogico, una nuova riflessione su questo mistero del Dio che assume l'umanità per integrarla, salvarla e glorificarla nella conclusiva comunione della sua gloria, non perde niente del suo fascino e lascia assaporare la sua profonda verità e bellezza, se, sviluppata e spiegata nell'ambito della cristologia dei Concili e della Chiesa, viene portata anche a nuove espressioni teologiche, filosofiche e artistiche , nelle quali lo spirito umano possa acquisire sempre meglio ciò che emerge dall'abisso infinito della rivelazione divina.»

    Rapporto

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