BLOG DI BRUNO VERGANI

Radiografie appese a un filo, condivisione di un percorso artistico

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Mercoledì, 14 Aprile 2010 12:15

Solidarietà

Scritto da  Bruno Vergani

 

Un conoscente mi ha esposto convinto una teoria: oggi nessun italiano avverte il problema della sopravvivenza in quanto c'è sempre un genitore, un fratello o un parente che lo possono aiutare. Siccome un piatto di minestra lo si trova sempre possiamo scegliere, senza urgenza e indifferenti alla retribuzione, un lavoro che ci piaccia e ci soddisfi. Il problema della alienazione da lavoro o del dramma di chi lo ha perso sono quindi falsi problemi.La teoria dell’amico (progressista di sinistra) mantenuto da agiati genitori (conservatori di destra) seppur bislacca è tuttavia utile perché ci consente di comprendere quanto sia arduo penetrare e condividere la drammatica condizione di chi si trova in difficoltà.La scostamento tra l’interpretazione che diamo della sofferenza altrui rispetto alla realtà di chi la sperimenta risulta evidente. Conduttori televisivi noti che, ben retribuiti, intervistano un padre di famiglia che ha perso il lavoro cosa sanno, cosa sentono nel loro intimo, cosa comprendono per davvero di quella condizione? Ho sentito dire di un sindacalista che parlava di giustizia alle masse, poi quando tornava a casa picchiava la moglie. Ma è allora possibile comprendere per davvero la sofferenza dell’altro? E’ fattibile una empatia onesta, assoluta e disinteressata, se non si vive in prima persona la condizione di chi è svantaggio? Qualche decennio fa i preti operai, proprio nel tentativo di emanciparsi da una empatia astratta e nella ricerca di una vicinanza e solidarietà radicale, sono andati, per libera scelta, a lavorare in fabbrica gomito a gomito con gli operai alla catena di montaggio. L'esperimento ha funzionato a metà: non bastava vivere la medesima esperienza per condividere appieno la condizione dell’altro, occorreva anche il trovarsi in quella condizione non per scelta ma per costrizione e occorreva anche permanere il quella prigione detestandola, con il desiderio costante e urgente, ma non realizzabile, di venirne fuori; non come i loro compagni preti che quella condizione l’avevano invece intenzionalmente cercata e liberamente scelta.In ogni caso i cristiani sostengono di essere avvantaggiati rispetto ai non credenti nell’essere solidali con i bisognosi, grazie al seguire un Dio fatto uomo, sprofondato per obbedienza al padre nella condizione umana a tal punto da perdere ogni vantaggio divino. I non credenti rivendicato una solidarietà che in quanto mediata dallo Stato risulta più equa e razionale in quanto libera da pietismi, preferenze e credenze. Con Kant obiettano poi che un’azione è etica solo se non reca beneficio a chi la compie: e il credente la compirebbe, in questo caso, per ottenere benefici divini. Alla fine la distanza reale non è tra religiosi e non credenti ma fra avvantaggiati e svantaggiati. Distanza forse incolmabile, che tuttavia possiamo in qualche modo ridurre con l’insidiosa, incongrua e contraddittoria solidarietà di cui siamo capaci.Bruno Vergani

Ultima modifica il Venerdì, 28 Ottobre 2011 23:54

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