Monta e smonta
Appena dopo nati iniziamo a costruirci l’io, così da individuarci e funzionare con gli altri, e grazie agli altri, in questo mondo, ma, via, via, che si avvicina il momento di morire realizziamo che quell'entità tanto indispensabile che abbiamo costruito, denominandola io, risulta incompatibile coi funzionamenti universali che ci attendono dopo la morte del corpo, così per ben morire occorre smantellarla o perlomeno depotenziarla.
Non mancano strategie che ci risparmiano tutto questo costruire per poi distruggere, a oriente incontriamo narrazioni che non contemplano la costruzione dell’io, giudicato una illusione superflua, all'opposto a occidente incontriamo narrazioni di anime personali eterne che, dunque, non prevedono alcuno "smontaggio" dell'io che anche sfornito di corpo vivrà, sotto forma di anima, in eterno. Le prime non ci spiegano come sia possibile esistere in questo mondo impersonalmente, sprovvisti di identificazione e non differenziati, le seconde nel consolarci promettendoci un'anima individuale eterna entrano in collisione con le leggi di natura universali.
Forse più serio questo estemporaneo monta e smonta, anche se un po' tragicomico.
Dribbling
Nelle tossicodipendenze è proprio ciò che risolve l'astinenza a causarla, un po' allo stesso modo non ci è possibile affrancarci dall’io attraverso lo sforzo personale. In effetti l’ascesi fondata sullo sforzo di volontà si è spesso mostrata inefficace e anche controproducente.
Per emanciparci dall'ego non ci resta che dribblarlo con improvvise mosse impersonali.
Due
Al cospetto del totalmente ignoto, del non controllabile, di ciò che inesorabilmente invecchia e finisce, di ciò che è causa di sofferenza, come non essere presi da angoscia e mestizia?
Eppure proprio in mezzo a tutto questo può irrompere un misterioso distacco da noi stessi e dalle circostanze. Un improvviso sorgere di un altro noi che osserva, come dall’alto, il nostro piccolo esistere in questo mondo provvisorio. E’ come se in noi albergassero due nature, una identificata con se stessa che vive gioendo e soffrendo delle circostanze e un’altra oltre, che libera da tutto ciò la osserva.
Roberto Calasso nel saggio «L'ardore» ben illustrava la dinamica: "Dal Ṛgveda alla Bhagavad Gītā si elabora un pensiero che non riconosce mai un soggetto singolo, ma presuppone al contrario un soggetto duale. Così è perché duale è la costituzione della mente: fatta di uno sguardo che percepisce (mangia) il mondo e di uno sguardo che contempla lo sguardo rivolto al mondo. La prima enunciazione di questo pensiero si ha con i due uccelli dell'inno 1, 164 del Ṛgveda:
«Due uccelli, una coppia di amici[1], sono aggrappati allo stesso albero. Uno di loro mangia la dolce bacca del pippala; l'altro, senza mangiare, guarda[2]».
Non c'è rivelazione che vada oltre questa, nella sua elementarità. E il Ṛgveda la presenta con la limpidezza del suo linguaggio enigmatico. La costituzione duale della mente implica che in ciascuno di noi abitino e vivano perennemente i due uccelli: il Sé, ātman, e l'Io, aham."
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1 Indispensabili entrambi e alleati.
2 Se l'uccello che mangia è bulimico e ipertrofico sarà difficile percepire quello che, senza mangiare, guarda.
Regni e statuti
In questo nostro ambiente, diciamo così “mediano”, vigono specifiche leggi fisiche, ma nel molto più piccolo e nel molto più grande ne vigono altre e le nostre non funzionano più. Un po’ la stessa cosa accade esistenzialmente, dove nel nostro vivere pratico grazie al pensiero logico razionale produciamo inferenze performanti che ci evitano di andare a sbattere, ma non appena vogliamo andare oltre la nostra circoscritta praticità necessitiamo di visioni poetiche, approcci simbolici o percorsi mistici, senza i quali una più vasta indagine ci rimarrebbe preclusa; il riduzionismo materialistico meccanicistico ci mostra esempi di tale preclusione. Ma vale anche all’inverso perché se nel pratico vivere quotidiano applichiamo visioni poetiche spinte, percorsi simbolici o approcci mistici, rischiamo di sbattere; la New Age ci fornisce non pochi esempi.
Come anfibi viviamo in ambienti differenti fluttuando di regno in regno ognuno col suo statuto altro, mica è facile non equivocare.
Effimeri, ma non nulla
«Questo ordine universale che è lo stesso per tutti, nessuno degli dei o degli uomini lo ha fatto ma sempre era, è, sarà fuoco sempre vivente che si accende e si spegne secondo giusta misura.» (Eraclito, 535-475 a.C., frammento 30)
L’umano porsi-opporsi nei confronti del funzionamento naturale produce un arrabattarsi tra insensate pretese di eternalismo e sprofondamenti nel nichilismo, che Eraclito accettando di appartenere al funzionamento naturale supera. In quel “si accende e si spegne secondo giusta misura” risolve l’eternalismo e nell’affermare che l’ordine universale “sempre era, è, sarà” non lascia spazio al nichilismo.
Eccola occhieggiare
Ecco le palme illuminate dal sole invernale che tramonta [un click sull’immagine per ingrandirla],
statuto fenomenico che sembra contenere un oltre glorioso, trascendenza che ci è preclusa eppure eccola occhieggiare suggerita dall’immanenza del fenomeno.
Sprazzi d’impersonale consapevolezza
All’interno del modello soggetto-oggetto tanto radicato in noi, le tradizioni sapienziali che indicano di realizzarci distaccandoci da noi stessi provocano un cortocircuito: se mi ometto chi mai si realizza? Per uscire dal paradosso è necessario superare la concezione di soggetto per fonderci nel sostrato universale che ci precede, nel Sé, nell’Essere, nella Vita, in Dio, o comunque lo si chiami, e in questo fonderci non essere in nessun luogo e ovunque, un essere tutto in quanto nessuno.
Se non usciamo dal modello tipicamente ottocentesco del soggetto sovrano, l’invito a staccarsi da sé risulta incomprensibile, e quando comprensibile interpretato come invito a anestetizzarci, a un abbassare l’asticella della percezione personale così da diventare sempre più simili all’ameba e poi all’inorganico, un morire esistendo per non soffrire della vita, insomma una assurdità. Ma non è la proposta ad essere sbagliata ma il paradigma nel quale la interpretiamo.
Stato naturale
Non so se ci sia un modo per raggiungere uno stato naturale imperturbabile e definitivamente libero, ma so che possiamo seriamente iniziare a rigettare ciò che si frappone al suo raggiungimento, in primis la credenza nell’io e nelle sue pompe.
Seriamente irrazionale altra e oltre
Individuare una specifica causa che produce un preciso effetto è logica che va bene per miriadi di situazioni, perfetta per aggiustare la lavatrice che non va più. Ma l’evento dell’universo che è, invece di non essere, quello del nostro personale esserci, o più semplicemente la circostanza che questa mattina ci siamo svegliati dal sonno profondo, poco o niente hanno a che fare col modello del come e del perché, tant’è che come e perché questa mattina ci siamo svegliati mica lo sappiamo, visto che, nella sua totalità, è evento altro che sfugge la dinamica di causa-effetto.
Indagare l’essere all’interno di causa effetto genera angoscia perché utilizziamo una logica circoscritta e periferica, sì indispensabile per capire tantissime cose che succedono dalle nostre parti, ma inadatta per indagare l'essere. Non è semplice venirne fuori sia perché la logica di causa-effetto è inferenza primigenia che abbiamo dentro a priori, sia perché è dogma che imperversa per spiegare come funzionano natura e mondo e che i monoteismi utilizzano per spiegare perché sono. Ma per penetrare l’essere urge una indagine seriamente irrazionale altra e oltre.
Animismo e panteismo
Apparteniamo a una realtà multiforme ma unica e interconnessa, nel reciproco rimando tra noi e la natura il panteismo può essere interpretato come una forma evoluta del primitivo animismo, emancipato da ingenuità e magismi, ma a ben vedere il panteismo è forse concezione e sensibilità opposta all'animismo più che susseguente.
Mentre nell’animismo ci connettiamo alla natura proiettandoci dappertutto, nel panteismo consapevoli di appartenere alla natura ci dissolviamo in essa.