Stufi del proprio Io artisti dadaisti e musicisti d’avanguardia un po’ Zen, tendono a realizzare opere non autorali. Siccome nel fare qualcosa non è facile omettersi, per neutralizzare ragione e sentimento personale si affidano a processi automatici e aleatori, tipo abbinare note o movimenti del corpo con il risultato del lancio dei dadi e diavolerie simili. Un agire senza intenzione, ciò che vien viene come se fatto da nessuno invece che da qualcuno.
Però il volere annientare l’intenzione personale è anch’essa un’intenzione, così più l’autore si impegna ad architettare stratagemmi per omettersi più diventa centrale, e come un fiume carsico l’io riemerge inestinguibile. Io o non io il dato empirico è che da questi processi artistici (da non equivocare con l'improvvisazione che è tutt'altra cosa), escono cose inascoltabili e inguardabili, di una bruttezza così chirurgica da apparire intenzionale e autorale.
La cosa singolare è che invece la natura -al netto di qualche atrocità e della circostanza che, nel mondo naturale, prima o poi bisognerà pur morire- la percepiamo bella e attraente come sorretta da una misteriosa regia amica, fatta da qualcuno invece che nessuno. Non è escluso che il regista sia così perfido e astuto da far credere a noi post moderni d’essere morto per ridere di noi, oppure è entità che emerge dalla potenzialità del puro vuoto, quel vuoto inattingibile a noi tutti, artisti dadaisti e musicisti d’avanguardia un po’ Zen inclusi.