BLOG DI BRUNO VERGANI

Radiografie appese a un filo, condivisione di un percorso artistico

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Giovedì, 29 Ottobre 2020 00:04

“Sì, sì”, “no, no”

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Ci sono decine di migliaia di piante che si potrebbero utilizzare a scopi terapeutici, e più se ne scoprono e studiano e più aumenta il potenziale numero delle specie utilizzabili, anche se poi alla fine se ne usano di fatto poche centinaia. Il punto è che si sono, via, via, affermate le piante che funzionano meglio a scapito di quelle che, pur esplicando una certa azione terapeutica, risultano meno performanti.

Talvolta è un po’ così è anche per le parole, più se ne sanno meglio è, anche se poi di tutte quelle coniate hanno successo quelle che davvero (ci) servono. Prendiamo ad esempio la parola “panenteismo”, che è una variante del più utilizzato termine panteismo. Panteismo significa immanenza, dunque la coincidenza e l'equivalenza, di Dio (o del dio) con l’Universo e la Natura: Dio è la natura, la natura è Dio. C’è un panteismo dove l’equivalenza di Dio e Natura è immediata e panteismi dove, invece, la coincidenza è mediata, in quanto pur permanendo una certa equipollenza tra Dio e Natura, Dio è visto cosciente e la Natura no. Con il termine panenteismo si intende una forma di panteismo che vede Dio immanente nell’universo e nella Natura, ma nel contempo anche trascendente; un tentativo di sintesi tra teismo e panteismo, che da una parte conserva il panteismo facendo coincidere Dio e Natura, dall’altra salva il teismo che afferma un Dio cosciente e personale distinto dalla sua creazione. All’interno di tale significato possiamo incontrare accenti diversi, se nel panenteismo si vuol sottolineare che Iddio è dentro tutte le cose, si mette un trattino così: "pan-enteismo", se invece si vuole far risaltare il primato di Dio, che pur albergando nelle cose le precede e trascende, si mette un trattino cosà: “panen-teismo".

Però nel dizionario di filosofia Abbagnano, il migliore, quello grosso, alla voce Panenteismo c’è scritto che il termine designa “una sintesi tra teismo e panteismo che consisterebbe nell’ammettere che tutto ciò che è, è in Dio e esiste come rivelazione o realizzazione di Dio. In realtà questo punto di vista è proprio quello del panteismo classico e pertanto non si vede l’utilità del termine”.

Se il dizionario dice il vero, oltre al constatare che abbiamo scritto fin qui per dire niente, si potrebbe anche riscrivere la sentenza di Wittgenstein integrandola così: “I limiti e gli eccessi del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo”. Forse non aveva poi torto Gesù di Nazareth: “Sia invece il vostro parlare: “sì, sì”, “no, no”; il di più viene dal Maligno.”

Ultima modifica il Giovedì, 29 Ottobre 2020 18:42

4 commenti

  • Link al commento Augusto Cavadi Lunedì, 02 Novembre 2020 06:12 inviato da Augusto Cavadi

    Bruno carissimo, il dizionario che citi dà anche il riferimento a qualche luogo in cui 'panenteismo' è adoperato nell'accezione che poi viene criticata? Negli ultimi libri diVito Mancuso ("Dio e il suo destino") si propone una distinzione fra 'panteismo' e 'panenteismo' che mi convince.

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  • Link al commento Bruno Vergani Lunedì, 02 Novembre 2020 11:25 inviato da Bruno Vergani

    Caro Augusto, nel dizionario c'è la sentenza -a firma di Nicola Abbagnano, dunque forse un po' datata- che interpreta il termine "panenteismo" inutile doppione di panteismo, senza riferimenti o esempi specifici di un suo inutile o superfluo utilizzo. Mi interesserebbe la spiegazione di Mancuso, senza però leggere tutto il libro...

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  • Link al commento germano federici Lunedì, 02 Novembre 2020 12:37 inviato da germano federici

    "Tutto è in Dio" è ben diverso da "Dio è in tutte le cose". C'è una dimensione irriducibile all'esistente noto. Non so che ne pensi Mancuso, ma il biblico "io sono ciò che sono", traducibile anche al futuro "io sarò ciò che sarò" implica un'indeterminazione definitiva (?), finché vivremo. Mettiamoci il cuore in pace. Del resto, è solo quell'indeterminazione che nutre la nostra speranza.

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  • Link al commento Bruno Vergani Lunedì, 02 Novembre 2020 17:20 inviato da Bruno Vergani

    Caro Germano,
    in effetti “Dio è in tutte le cose” è una concezione un po’ attinente a un laboratorio di chimica analitica, dove Dio è ridotto a una sorta di essenza onnipervadente della realtà, se oltre a limitarsi ad essere rintanato dappertutto, lo stia per fargli girare gli elettroni dentro così da far essere le cose, sarebbe ancora peggio (acosmismo). "Tutto è in Dio" è tutt’altra e migliore definizione. Mi hai fatto considerare che "indeterminazione" è un modo migliore di dire “mistero”, che è un termine a volte insidioso perché ambiguo, mentre il termine indeterminazione suggerisce un continuo operare, necessariamente inafferrabile perché moto vivo mai fermo -“Il Padre mio opera sempre e anch'io opero”- ed evita, a differenza del lemma mistero (specialmente se con la maiuscola), l’equivoco di cadere in spiritualismi magico-misterici.

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