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Sabato, 11 Ottobre 2014 09:51

La macchina del tempo: tu

Scritto da 

Paul Valéry, Quaderni III, Adelphi. A pagina 490 il frammento autobiografico «Colpi di martello». Era il 3 agosto 1920, l’autore cinquantenne viveva a Parigi e nel percepire, in sottofondo, colpi ritmici di un martello si era ritrovato a Sète, città natia, quando aveva nove anni e a ferragosto i martelli piantavano chiodi per costruire baracche per la fiera del paese. Così Valéry esprime l’esperienza di quell’onnipervadente presente «L’urto di oggi [a Parigi] percuote il legno di 40 anni fa [a Sète ]», in quanto: «La sensazione pura e monda di aggiunte non ha età.» A questo punto l’Autore analizza il fenomeno ipotizzando la presenza di «Atomi sensoriali», mondo esterno «scomponibile in rapporto a noi in elementi qualitativamente invariabili.»

Ignoro, e tutto sommato poco mi interessa, quanto la coscienza personale sia costituita da Gestalten oppure dalla capacità di percepire atomi sensoriali, o da un mix delle due cose, quel che mi interessa è sperimentare questo universale continuo-infinito-presente. Valéry indica la strada:
«A tal fine bisogna essere distratti- Lasciarsi fare […] Ma se io lo desiderassi , sarebbe uno sforzo, e generalmente inutile. E’ bastato un ritmo [di martello] semplicissimo. Quel che io non pensavo affatto, quel che io non possedevo più, quello che era svanito, e che avrebbe potuto esserlo per sempre, è resuscitato. Redivivus. Se questo fenomeno accadesse all’essere intero, esso ringiovanirebbe. Esso avrebbe a ogni istante l’età della prima volta in cui percepì la sensazione attuale [...] avrei potuto rispondere a quei colpi di martello, soltanto con la riflessione che si trattava di colpi di martello, che essi mi disturbavano - ecc. Ho risposto in modo inesatto, globalmente, all’incirca; questo circa, questo superfiale al posto di un punto, questo campo non infinitamente piccolo, conteneva delle immagini di cui ho percepito in seguito, l’età e il luogo.»

Superflua la macchina del tempo, indispensabile una percezione fluttuante. Tutto sommato l’esperienza di un continuo-infinito-presente accade a molti, in qualche modo a tutti.
L’anno scorso, a riguardo, avevo scritto il breve racconto “Il Portoncino”, non avevo ancora letto Valéry, però a «Colpi di martello» un po’ gli assomiglia.

IL PORTONCINO
Puglia centrale, Ceglie Messapica, centro storico. Alle 15 e 45 ero pacatamente concentrato: per rinnovare il vecchio portoncino in ferro del monolocale lo smalto grigio metallico, color canna di fucile, andava tinteggiato con cura altrimenti rimaneva solcato. Alla fine del vicolo, da dietro l’angolo, un gruppo di ragazzi allestivano una festa di piazza. Ascoltavo passivo il sottofondo di cantilene, battute, urletti di ragazze e quelle voci mi avevano trasportato indietro di quarant’anni quando ragazzo frequentavo il gruppetto di amici: stessi suoni, giochi, medesimo desiderio nascosto di sessualità.
Il pennello scorreva chirurgico mentre una dimensione universale mi fagocitava, le voci di quei giovani venivano da vicino e insieme da lontano, dal passato e dal futuro: erano le stesse dei ragazzi medievali che giocavano in piazza a Siena, degli adolescenti degli anni Sessanta in una festa a Boston e le stesse che si sentiranno tra novanta anni in un ritrovo di giovani a Tokio che, inconsapevoli, obbediscono al canovaccio decretato dalla natura.
Il portoncino era diventato come nuovo e passavo a salutarli ma, concentrato su di loro, erano tornati ragazzi ordinari. Chissà com’è che per vedere l’universale devi fluttuare di sbieco omettendoti un po’.

Ultima modifica il Domenica, 12 Ottobre 2014 07:20
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