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Venerdì, 02 Novembre 2012 09:13

Analogia, che carogna

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Il processo analogico in teologia permette ampia discrezionalità di interpretazione e giudizio, se un termometro a mercurio dalla fisica passasse alla teologia potrebbe venire interpretato diverso ma nel contempo anche uguale (rappresentante, vicario, un po’ della stessa sostanza) alla temperatura con la quale è in relazione. In questo “un po’ uguale anche se un po’ diverso, assolutamente uguale anche se assolutamente differente”, si esprime la lingua biforcuta del processo analogico teologico.

Diceva un filosofo arabo che l’analogia «è come una carogna: quando non vi è nient’altro, la si deve mangiare». Non si riferiva a bilance, orologi e termometri analogici che misurano i corrispettivi enti di peso, tempo e temperatura infischiandosene di rappresentarli. Non considerava neppure l’utilizzo del procedimento analogico nel diritto e nella filosofia, metafisica compresa. E’ la teologia, o meglio una certa teologia, che aveva in mente. E’ proprio nel tentativo di rapportare Dio all’uomo, e viceversa, che l’analogia può diventare carogna, con conseguenze peggiori da quelle derivanti dal linguaggio politichese capace d’inventarsi “convergenze parallele” e simili paradossi che pretendono dire qualsiasi cosa, su qualsiasi cosa, senza mai dire niente.

E’ una lunga storia quella dell’analogia in teologia. Non era iniziata male. Nel secolo XI, all'inizio della scolastica, il Dio trascendente era percepito inesprimibile, ineffabile. S. Tommaso preoccupato da tanta lontananza costruì ponti, cogliendo tra causa (Iddio creatore) ed effetto (l’uomo) un preciso nesso di somiglianza. Il Creatore pur trascendendo il creato si rispecchiava così nel suo prodotto e la creatura era, finalmente, autorizzata a dire la sua sul, e del, Creatore. Mica di Lui poteva dire proprio tutto, senza deragliare doveva percorrere due vie precise: affermare come attributi di Dio le cose buone e perfette che la creatura scorgeva in sé; e/o negare al Creatore ogni imperfezione e malvagità che si fosse ritrovata dentro, giudicandola - nel caso -  solo e sempre suo personalissimo prodotto. Somiglianza, dunque, tra Creatore e creatura non univoca ma approssimativa, quindi analogica.

Nella storia della Chiesa l’ambiguità del procedimento analogico ha raggiunto l’acme quando adottato a sostegno e giustificazione del Magistero ecclesiale cattolico come espressione della presenza di Dio nella storia al quale di deve obbedienza assoluta.
Come giustificare il nesso Dio-Magistero?
Il Papà è Dio? Non esageriamo. Detta così sarebbe un antropomorfismo del sommo Ente comica per la stessa teologia;
il Papa non è Dio? Roba da agnostici e miscredenti,
ma la dottrina cristiana dell'analogia riesce a sistemare per bene la faccenda. Il Papa e con lui ogni autorità ecclesiastica, diventano per i subalterni figure non univoche, ma neppure equivoche con l’ineffabile Altissimo. Marassi palustri, forse salamandre, anfibi terro-celesti con una zampa nella finitudine e l’altra nell’eterno, che consentono al Creatore atemporale e ineffabile di manifestarsi nel mondo e parlare alla storia, connettendosi ai mortali attraverso i su esposti intermediari.
Che fatica per il Magistero e ogni autorità della Chiesa cattolica. Potrebbero anche fare a meno dei miracoli dell’analogia proponendosi per gli uomini che sono, come faceva quello là di Nazareth. Perché complicarsi l’esistenza? Meglio uomo che anfibio.

Ultima modifica il Venerdì, 02 Novembre 2012 12:00
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