BLOG DI BRUNO VERGANI

Radiografie appese a un filo, condivisione di un percorso artistico

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Mercoledì, 09 Settembre 2009 01:40

L'Omino. Monologo teatrale

Scritto da  Bruno Vergani

L'OMINO

 

di e con Bruno Vergani

drammaturgia e regia Vincenzo Todesco

 

 

Un uomo seduto su una sedia. Giacca scura, camicia, cravatta, pantaloni scuri, scarpe nere.

 

Starei in compagnia se dicessero cose interessanti, ma siccome parlano senza dire nulla preferisco stare solo. Quando sono solo lavoro (Pausa). Indago giorno e notte. Così ho scoperto che il senso non esiste, che la vita è stare in semplicità con qualche amico intimo e volersi bene (Pausa). Che delusione... è tutto lì... niente grandi filosofie, ricerche spirituali... Solo un bisogno d’amore... Una assenza... Adesso anche avere vicino una donna mi farebbe piacere...Una donna un po’ stupida che mi ami in silenzio, sarebbe meglio di mille testi sacri, scalderebbe più di una bandiera. (Pausa) Ma dove sei amata? (Pausa) Dove siete amici? Non mendicherò la vostra presenza, tanto tutti moriremo soli, anche voi. E comunque nessuna donna è in grado di farmi uscire dallo stupore della delusione. Ci vorrebbero quaranta dee con corpo di donna che si ungano con olio di sesamo profumato con fiori di arancio e che preghino per l'eternità respirando incenso, le caviglie colorate di turchese. Che preghino ancora e ancora e ancora. (Pausa) Perché tanta fatica? A che pro? (Chiude gli occhi) La natura segue un suo funzionamento. (Pausa) Tende ad autoperpetuarsi. (Pausa) Gli esseri viventi nascono e muoiono e la natura va avanti. (Pausa) Io faccio parte del funzionamento da sempre e per sempre. L’ho saputo dopo la nascita e lo dimenticherò dopo la morte, ma che io sappia o no alla natura non interessa. (Apre gli occhi) I gatti sono felici, io invece no. (Pausa) So di essere. (Pausa) Una misteriosa malattia. Ma la prognosi è favorevole, perché questa coscienza con la morte cesserà. (Pausa. Poi parla, mentre si toglie la giacca e la appende alla spalliera della sedia. Rimane in camicia e cravatta. Le mani appoggiate sul retro della sedia) Comunque, la teologia mi ha fatto divertire. Il latte della madonna, la resurrezione dei corpi, il purgatorio... Mi fa venire in mente quelle lumachine che si spurgano sulla segatura, per essere cucinate e incamerate nel gran ventre del benefattore. (Pausa) E se un bambino muore non battezzato ma senza avere avuto il tempo di fare un peccato anche piccolo piccolo? Va nel limbo... il limbo... sembra il nome di un ballo sud americano, invece devono rimanere tutti lì fermi ed ammassati, quelli che non hanno ricevuto il battesimo ma si sono comportati bene in vita... Che so, Gandhi, Platone, Aristotele...Centinaia di miliardi... molti di più di quelli che stanno in paradiso. Adesso ho letto che vogliono eliminarlo... Chissà dove andrà a finire Gandhi... e Platone...Non sanno cosa è il limbo... il limbo esiste... è quel posto dove vanno gli amori pensati e non vissuti, i desideri non realizzati, le atrocità non commesse per caso, per coincidenza, per bontà. (Pausa. Si sistema sulla sedia. Le mani sulle ginocchia) L’altro giorno ero stato bene, addirittura felice. Per una notte. Il corpo pieno di peyote e gli amici lì vicino in silenzio. Una famiglia. Andava tutto bene, non bisognava star lì a spiegare. Potevi dormire, parlare, vomitare, e tutto era perfetto. Un amore così forte che dava un po’ di sofferenza. Un mix di amore e sofferenza. La compassione di dio. (Pausa) Forse la sofferenza dell’umanità è il carburante che fa funzionare dio, che così arde ed esiste. Forse dio è un orco, o un demone. La verità è che non c’è motivo. Non c’è dio. Si tratta solo di funzionamento. Di combustione. Era bello stare con gli altri, e se andavi via loro rimanevano con te, però era più bello se c’erano davvero. Vivere e morire era un po’ la stessa cosa. Poi tutto è finito e mi mancava quella cosa. Sempre mi è mancata quella cosa. Anche adesso mi manca quella cosa. Del senso ultimo non mi interessa più nulla, però il cercarlo mi ha fatto passare il tempo... Mi ha illuso che la mancanza di quella cosa fosse più sopportabile, che forse una risposta sarebbe potuta arrivare... Ho indagato a fondo e la risposta non è arrivata, ma intanto mi sono sentito un cercatore di verità. Un buon intrattenimento. (Pausa. Alza un piede, slaccia lentamente una scarpa, parlando) Forse la risposta mi potrebbe arrivare da una donna stupida che mi allatti in silenzio. Non mi fido di lei. Le scritture non danno la risposta, ma almeno non tradiscono. (Toglie la scarpa e la tiene in mano) Ricorda Schopenhauer... l’Avaida Vedanta... Ti manca la cosa? Non cercarla. Ricordati che tu non esisti, sei un agglomerato di cellule che rispondono a decreti biologici, un paciugo di ricordi. Ma tu, tu non ci sei. (Pone la scarpa sul pavimento davanti a lui e ritorna fermo e composto) E se non ci sei, se non esisti, nel buco nero chi ci va? Eh? Chi ci va? Nel buco nero lì sempre presente che genera un mulinello che attira verso il basso verso il nucleo di morte? Se io non esisto, nel buco nero non ci va nessuno. (Slaccia la seconda scarpa) Il buco nero non mi piace, quindi accetto l’ipotesi che non esisto. E’ come prendere l’oppio per lenire il dolore... Il dottore dice che l’oppio non cura la malattia, quindi non serve. Non è vero. Serve. Io ho scelto il dottore che mi ha dato l’oppio. (Pone la seconda scarpa sul pavimento) A me il buco nero non piace. Il buco nero l’ho guardato in faccia. Sono rimasto vivo solo perché non esisto. Il mulinello gira veloce e tira giù. E’ sempre lì. Ma quella notte si era fermato. Almeno mi era sembrato. Per un po’. (Slaccia lentamente la cravatta) E’ semplicemente una questione di biochimica del cervello. In San Pietro il Papa era là, morto, non c’è stato uno capace di andare lì e dirgli alzati e cammina. Sono stati capaci di vestirlo di rosso e di attaccare stendardi sull’altare. Fanno pena. Che provino ad avere il coraggio di resuscitare un morto. Almeno uno ogni dieci anni. Non possono, perché credono che i morti per resuscitare devono alzarsi in piedi invece che sciogliersi nella terra e diventare lombrichi e poi cibo per altri animali nel grande funzionamento. Forse il buco nero lo hanno inventato loro. Non lo so. Ma un morbo antico ha infettato lo sperma e poi il latte materno che io ho bevuto e mi sono contagiato. Solo le sacre prostitute potrebbero guarirmi. I pochi amori di donne moderne non mi hanno lenito la ferita. Meglio il peyote. Meglio il vedanta... (Cincischia con la cravatta slacciata) Ho preso la vita come veniva, mi sono intrattenuto con quello che veniva. Mi diverte pensare che c’è un regista occulto che fa accadere le cose, e prendermela con lui se non mi piace il copione. Primo comandamento: mai prendere iniziative. Mai prendere la paternità dell’azione. Essere fuori dal gioco. Sempre qualche metro più in là per osservare meglio. Qualcuno lo deve pur fare. A me piace. Non faccio male a nessuno, perché volete togliermi l’intrattenimento, non è che i vostri siano meglio. Che devo fare? Lavorare? Già fatto. Procreare? Già fatto. Impegnarmi? Già fatto. Amare? Dove? Quando? Chi? Cosa? Non voglio affaticare quaranta dee, non ne vale la pena. (Appoggia la cravatta sulla spalliera della sedia. Slaccia la camicia, parlando) E se avessi sbagliato tempo e luogo? Dovevo nascere al tempo delle fate, mi sarebbe andato bene anche essere il figlio di una strega, pur di essere lì. Le streghe si ungono con il giusquiamo, il corpo diventa leggero e volano. Da bambino ho incontrato una strega, la “Teresa del bosco”, mi ha preso per mano e mi tirava “ven ki, ven ki”, ero terrorizzato, forse mi ha benedetto. C’era anche la nonna Ida, una vecchina vicina di casa... Di notte la vedevo che entrava dalla finestra della camera e veniva a dormire con me, nella culla... Avevo due, forse tre anni... (Toglie la camicia e la appende alla spalliera della sedia) Da grande sognavo che ero dentro una grande botte, in balìa di un grande fiume che mi portava via. Mia madre mi chiamava amorevolmente dalla sponda per salvarmi. Appena sveglio ho visto mia madre nel corridoio, in carne ed ossa. Non c’entrava nulla con quella del sogno. Era orribile, ottusa. Non è possibile che io sia figlio di quella cosa. Solo il corpo viene da lei. Io sono figlio delle fate, della strega e delle sacre prostitute del tempio. E’ per questo che mi annoio se non volo. (Pausa) Non ti offendere se non ho sofferto troppo quando sei morta. Per consolarti puoi pensare che facevo finta di non soffrire, per non soccombere al troppo dolore. Meglio che tu sia morta presto. Pensa come me, che tu non sei nessuno e hai partorito il non nato. Così per un po’ starai in pace. (Si alza in piedi e toglie i pantaloni) Eccomi a mendicare l’amore non avuto. Meglio non offendere, non ferire, essere accomodanti, servizievoli, buoni, rapidi nel rispondere ai bisogni altrui, evitare i conflitti, far sì che tutti ti vogliano bene, così poi qualcuno ti amerà un po’. (Si siede, piega i pantaloni e li appende alla spalliera della sedia) D’accordo, non è stata colpa tua. Hai fatto quello che hai potuto, però mi hai complicato la vita. Stai tranquilla. Di tutte questa cose non me ne faccio un gran problema. Ma tu, non vergognarti di andare al tempio, se tu diventi amica delle sacre ragazze che lì lavorano, io riderò felice. Ma non cercarmi. (Pausa 5’’) Non cercarmi mai più. (Pausa 5’’) Bastardo, dimmi: quando è cominciato il tutto? Dimmi, quando è cominciato il tutto? (Pausa 5’’) Che sofferenza essere se stessi. (pausa 5’’) Sono stanco. (pausa 5’’) Tutto è compiuto. (Socchiude gli occhi… buio)

Ultima modifica il Mercoledì, 04 Settembre 2013 11:36

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