Antonio Socci, scusate mi è scappata la penna
Su “Libero” Antonio Socci è intervenuto attardandosi in commenti teologici sulla tragedia di Yara che definisce novella santa Maria Goretti. Esempio di eroismo, di purezza, martire, divinizzata dal sacramento della confermazione, santa e preferita dalla Madonna che adesso l’abbraccia, angelo, in cielo.Che ognuno affronti il dolore come può e riesce, magari anestetizzandolo in dozzinale approccio come fa Socci nel solco di Graig Warwich, il sensitivo che vede gli angeli su festa italiana trasmessa da Rai uno, o Rosemarie Althea la signora che parla ai defunti al Costanzo Show. Oppure, come preferiamo, con la volontà che il colpevole sia arrestato e la ferita sociale sia perlomeno lenita.Il problema è che a metà articolo Socci vira, chissà perché, sul crocifisso e gli scappa la penna: “Il segno anche laico che siamo tutti con i crocifissi e non con i crocifissori.Anche la cultura laica afferma che non si può essere neutrali fra le vittime e i carnefici. Infatti in tutte le scuole d’Italia, in questi giorni, parlando di Yara, tutti si sentiranno dalla parte della fanciulla assassinata. Nessuno si sentirà “equidistante”. Tanto meno lo è lo Stato laico. Il crocifisso esprime questo stare dalla parte delle vittime.”Per Socci pertanto chi si oppone all’esposizione del crocifisso è connivente con l’assassino di Yara; il crocifisso esprimerebbe una scelta di campo assoluta e storica: chi lo espone sta con le vittime, chi no con i carnefici. Ma possibile che il volere appeso un crocifisso di plastica in un’aula scolastica generi tanta immotivata violenza? Per carità, lasciatelo attaccato alla parete.
L'inculcatore
Come impiega l’esistenza chi crede d’aver trovato la verità ultima in modo definitivo e assoluto? Fa l’inculcatore.Le madri e anche i padri conoscono che la conoscenza è soggetta ad errori, a parzialità e i maestri sono consapevoli che non esiste una realtà in sé ma interpretazione soggettiva, così padri e maestri analizzano la loro conoscenza-interpretazione in una costante conoscenza della conoscenza, che i filosofi chiamano epistemologia.Maieutici in spontaneità padri e maestri non intendono inculcare; gli accade che nel vivere onestamente il loro percorso di persone diventano inconsapevoli educatori di chi incontrano: li liberano e fanno venire alla luce tesori nascosti.L’inculcatore è altra cosa; non padre e mai maestro, presume di conoscere tutto, sa cos’è la realtà e anche la verità, così il suo scopo ossessivo, il suo progetto sistematico, è la formazione integrale degli altri. Di tutti gli altri.La logica suggerisce che siccome sa tutto in modo integrale e indiscutibile dovrebbe fare l’eremita, invece per dovere morale l’inculcatore, nella sua infinita misericordia, rimane con noi per plasmarci. Non chiediamo i suoi insegnamenti ma lui li elargisce lo stesso: aspetta il buio e incul(c)a, penetra l’educando, gli si imprime nella mente e nell’animo.L’inculcatore lo trovi nelle scuole e anche nelle chiese ed è sempre, in vari gradi, un pericolo sociale. Si rischia poco quando è esigente e severo, molto quando ama perché diventa sadico. Se l’inculcatore è specializzato in qualche campo e dichiara la sua professione è innocuo, talvolta utile come l’educatore cinofilo, se invece si proclama inculcatore senza dirci in cosa rimane soggetto altamente pericoloso e non solo per i bambini.
Decennio rubato
Sono stato indifferente al tempo che passava, il giorno del cinquantesimo compleanno, però, ero rimasto male: “Possibile già cinquant’anni?”, c’era un decennio rubato, che non ricordo d’aver vissuto. Forse una qualche divinità distratta lo aveva assegnato ad un altro, oppure il ragioniere celeste aveva sbagliato i conti. Diffidando di lui ho scritto su un foglio gli anni del calendario da quando ero nato: 1957, 1958, 1959… E sotto la corrispondente età della mia persona: 1, 2 , 3… fino a 50, poi ho analizzato come ho impiegato ciascun anno e il decennio che credevo mancante l'ho trovato, aveva ragione quell’idiota del ragioniere celeste. Il decennio me l’ero rubato da solo, quello dai 30 ai 40 anni, dentro quel tempo avevo fatto tutti i giorni le stesse cose, guadagnare denari per tirare grandi i figli; compiere il proprio dovere accorcia la vita.
Vacanza filosofica estate 2011
Gentili lettori, cari amici, vi invito alla vacanza filosofica della prossima estate Il sito internet “www.ilgiardinodeipensieri.eu” di Bologna Il gruppo editoriale “Il pozzo di Giacobbe”-“Di Girolamo” di Trapani organizzano leXIV - XV SETTIMANE FILOSOFICHE PER… NON FILOSOFI* Per chi:Destinatari della proposta non sono professionisti della filosofia ma tutti coloro che desiderano coniugare i propri interessi intellettuali con una rilassante permanenza in due luoghi tra i più gradevoli del Bel Paese, cogliendo l’occasione di riflettere criticamente su alcuni temi di grande rilevanza teorica ed esistenziale.* Dove e quando:In Puglia a luglioCisternino (Brindisi), Valle Itria a m 400, dal 22 luglio al 28 luglio 2011 tema: Eros o agape? L’amore nel tempo delle ‘passioni tristi’ Le “vacanze filosofiche per…non filosofi”, avviate sperimentalmente sin dal 1983, si sono svolte regolarmente dal 1998. Per saperne di più si possono leggere: A. Cavadi, Quando ha problemi chi è sano di mente. Breve introduzione al philosophical counseling (Rubbettino, Soveria Mannelli 2002) oppure Autori vari, Filosofia praticata. Su consulenza filosofica e dintorni (Di Girolamo, Trapani 2008) oppure, A. Cavadi, Filosofia di strada. La filosofia-in-pratica e le sue pratiche (Di Girolamo, Trapani 2010). È attivo anche il sito www.vacanzefilosofiche.it curato da Salvatore Fricano (Bagheria).Programma orientativo dell’edizione di luglio in PugliaArrivo nel pomeriggio (possibilmente entro le 19) di venerdì 22 luglio.Primo incontro alle ore 21 presso Agriturismo “Il portico” di Contrada Lama Pellegrino 27, Cisternino.Sono previsti due seminari giornalieri, dalle 9.00 alle 10.30 e dalle 18.00 alle 19.30, sui seguenti temi:* L’amore nel mondo greco, biblico e medievale * L’amore secondo Hegel, Feuerbach e Fromm * L’amore secondo noi: esercizi di filosofia praticaI seminari saranno introdotti a turno da Elio Rindone (Roma), Augusto Cavadi (Palermo), Davide Miccione (Catania).È possibile chiedere di anticipare e/o posticipare di qualche giorno il soggiorno in albergo.Partenza dopo il pranzo di giovedì 28 luglio.CostoL’iscrizione al corso (comprensiva dei materiali didattici) è di euro 100 a persona. Chi si iscrive entro il 10 giugno ha diritto a uno sconto di 20 euro. Eccezionalmente si può partecipare a uno dei 12 incontri (euro 10).Ognuno è libero di trovare il genere di sistemazione (albergo, camping o altro) che preferisce.Chi vuole può usufruire di alcune convenzioni: a) In agriturismo (www.agriturismoilportico.it; per contatti Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.) tel. 080 4449653 – 360736014 (dove si svolgeranno gli incontri quotidiani): 1 singola (bagno esterno e in comune): mezza pensione 45 euro che può essere comodamente adibita a doppia; 1 trullo appartamento con quattro posti (2 letti singoli e 1 matrimoniale), un bagno e angolo cucina: mezza pensione (a persona) 60 euro al giornob) In un ‘trullo’ (gestito direttamente dagli ospiti) con 1 bagno (http://www.holiday-rentals.co.uk/p610836): 2 camere da letto con 2 letti ciascuna + cucina: 75 euro a persona per l’intero periodo (ovviamente solo per dormire)c) In un appartamento (gestito direttamente dagli ospiti) con 1 bagno (rivolgersi a Fabio Pacini, tel. 0831 308447): 4 persone: 60 euro a persona per l’intero periodo (ovviamente solo dormire)Avvertenze integrative* Chi risiede nell’agriturismo “Il Portico” può integrare la mezza pensione (vegetariana) con un pranzo vegetariano ‘leggerissimo’ (verdura, formaggio, frutta, pane; bevande escluse) a 5 euro. * Chi risiede negli altri alloggiamenti (a circa 8 km dall’agriturismo dove avranno luogo i seminari) può chiedere di consumare o il pranzo vegetariano ‘leggerissimo’ (sempre a 5 euro) o una cena (vegetariana, ma abbondantissima) a 15 euro (bevande escluse).
Relativismo
La verità c’è, è una, è certa, univoca, precisa e pure eterna. Così al convegno ecclesiastico attaccano il relativismo culturale ed etico, malattia mortale della nostra epoca. L’oratore butta lì rigoroso la citazione del Cardinal Ratzinger, che due giorni prima di diventare Papa aveva affermato: “Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie”. Lì sotto il palco si conoscono tutti e la pensano allo stesso modo, credono da tanto tempo a tutto quello che l’oratore sentenzia. Terminata l’arringa contro i pagani adoratori del proprio io e delle sue voglie, il conduttore invita la platea dei fedeli ad intervenire. Prolungato silenzio, il “dibattito” non si accende, dal gregge silenzio e impaccio; imbarazzo inevitabile per l’intrinseca contraddizione del chiedere chiarimento, integrazione, delucidazione sulla verità stessa per sua natura piena, indiscutibile e non negoziabile. Porre domande libere e oneste suonerebbe come un’implicita contestazione al dogma, una sorta di tradimento. Invitati ad intervenire i fedeli appaiono tesi, rapiti in un cortocircuito metafisico: devono pur dire qualcosa, ma davanti alla verità cosa chiedere? Perché chiarire? Cosa puntualizzare? Di fronte alla verità unica e assoluta le domande personali scompaiono e il pensiero agonizza annichilito. Concentrati, esausti nel tentativo impossibile d’inventarsi un qualcosa di non ingessato che abbia perlomeno una parvenza dialettica, finalmente uno alza timidamente la mano e testimonia, con esempi di vita personali mischiati a citazioni dei testi canonici, che la verità espressa dall’oratore è vera per davvero. Un altro, più temerario, butta lì una domanda, la voce trema sa che sta camminando sulle uova, se le rompe potrebbe suscitare il disappunto del conduttore e dell’assemblea tutta, di Dio stesso, alla fine però si rilassa perché è riuscito a porre un quesito conforme, incollato alla verità convenzionale e alla sensibilità di chi ha deciso le regole; la domanda giusta, quella che fa centro, la domanda all'altezza, la domanda adeguata, la domanda perfetta: quella che contiene già la risposta conforme alla verità eterna e indiscutibile, così riceve approvazione e questo lo conferma, nessuno parla più. Il suo è stato il secondo ed ultimo intervento. Nel tornare a casa si sente soddisfatto per quanto ha detto e del consenso avuto e nel contempo avverte un po’di struggimento per i lontani, per gli infedeli d’Occidente, umanità infelice e schiava perché rifiuta la verità, l’unica verità, che lui invece conosce e accoglie. Poveri uomini tutti quelli che non la pensano come lui, che non credono a quello che crede lui, uomini smarriti, miseri e schiavi del proprio piccolo io e delle sue voglie. Peccato, se l’avessero accettata la sua verità, che è quella vera per davvero, sarebbero invece umanamente realizzati e traboccanti di libertà proprio come lui.
Lisetta Carmi - Un'anima in cammino
Chi è Lisetta Carmi? Fotografa, pianista, donna in cammino, memoria storica? Si è anche questo, ma c’è di più; quel quid misterioso, unico e irripetibile che le parole stentano a comunicare e invece le immagini, quando oneste, riescono a raccontare.Buona la fotografia e il montaggio, ancor meglio la regia. Segre ce l’ha fatta a raccontare l’anima di Lisetta. Film ben scritto e realizzato, biografia vista dall’alto tutt’insieme, che nell’emanciparsi dalla successione cronologica va rapido e congruo alla vocazione del personaggio protagonista, al suo demone. Il filo rosso delle sue “vite” affiora dall’eterogeneo e armonizza contrasti d’immagini e suoni. Il film perde forza nell’ultima parte, quella che rendiconta e testimonia l’esperienza spirituale di Lisetta, il suo incontro con la mistica indiana e la costruzione dell'Ashram di Cisternino in Puglia, dove risiede. Lì si avverte uno scostamento, il percorso del personaggio sembra collassare, inciampare, smarrirsi. Mistica esotica, campanelle che suonano petulanti nel tempio appaiono banali; altra qualità, altro spessore rispetto alla prima parte del film. Difficile valutare se l’incongruenza sia ingrediente del percorso esistenziale della protagonista, o momento di debolezza nella narrazione filmica.il DVD è acquistabile on-line nel sito ufficiale di Daniele Segre:www.danielesegre.itLisetta Carmi - Un'anima in cammino Un film di Daniele Segre. Con Lisetta Carmi Documentario, durata 54 min. - Italia 2010.
Qualcosa di infinitamente più grande? No grazie.
Tesi: la magistratura non salva l’’uomo, lo salva invece quella politica che, nonostante l’immoralità dei suoi esponenti, espande la Chiesa, quindi Cristo unico Salvatore, nella società. Conseguenti indicazioni metodologiche: siccome Berlusconi sostiene la dottrina sociale della Chiesa, per emanciparci dallo sgomento che ci procura la sua immoralità occorre sostenerlo.Non è uno scherzo, ma la posizione di Comunione e Liberazione sull’attuale momento politico italiano. Un paciugo incomprensibile e ambiguo di escatologia e cronaca malamente messi insieme che, nell’equivocare i livelli, sfugge alla realtà. Arrivano loro per proporre un approccio “alto” alla politica. Pontificano ieratici sofismi assurdi, anestetizzano lo sgomento di Bagnasco (peraltro intervento di per sé tiepido) e fanno intendere che la posizione della CEI non si riferisce a Berlusconi, ma alla condizione umana fin dalle origini del mondo, un mero giudizio alla primigenia fragilità di noi uomini in generale, così glissano su nomi e cognomi e circostanze note per parlare di salvezza, libertà, di un qualcosa infinitamente più grande della miseria umana. Come permettere a questa avvenimento divino, risolutivo della condizione umana, di agire? Come far sì che Cristo salvi la politica? Dando sostegno e spazio a questo governo.Segue l’articolo.Tracce 31/01/2011Chi salva la politica?«Sgomento»: si parte da qui, dal «primo effetto che ha su di noi questa valanga di fango e di caos». Anticipiamo da Tracce di febbraio un commento sulle vicende italiane dell'ultimo periodo«Sgomento». Ha usato questo termine, il cardinale Angelo Bagnasco, per accennare ai fatti che occupano le prime pagine da giorni. È una parola vera. Basta guardarci, per accorgersene. Sorprendere il primo effetto che ha su di noi questa valanga di fango e di caos.Prima della repulsione di fronte allo squallore che viene a galla. Prima della ribellione per una battaglia politica fatta via inchieste e provvedimenti giudiziari, che sta mettendo a rischio il bene di tutti. Forse addirittura prima della rabbia e della pena per un Paese che avrebbe bisogno di tutt’altro e si ritrova impantanato tra bungabunga ed annizero. Prima di tutto questo, o comunque dentro tutto questo, se siamo leali il contraccolpo ha davvero quel nome: sgomento. Ovvero, malessere. Disagio. Per un modo di trattare cose e persone triste di suo, e reso ancora più amaro se accompagnato dall’illusione di potere tutto, anche sfuggire al tempo. Per la menzogna di chi si aspetta che «a cambiarci la vita» sia qualche busta piena di euro, intascati magari dando in cambio te stessa o spingendo tua figlia a sgomitare per farlo. E anche per come si usa di tutto ciò per attaccare un avversario che non si è riusciti a buttar giù a forza di voti ed elezioni. Sesso, soldi e politica. «Lussuria, Usura e Potere», come diceva Eliot. In fondo, la vicenda è sempre lì. Le tentazioni eterne, di sempre e per tutti.Certo, sulle inchieste serve chiarezza. Se c’è ipotesi di reato (reato, non peccato: quello, fino a prova contraria, non riguarda i pm), si indaghi, e in fretta. Così come è urgente che ognuno torni a fare il suo mestiere, che politici, giudici e media si rimettano al servizio del bene comune - vocazione che in gran parte stanno smarrendo - anziché «tendersi tranelli», come ricordava il cardinale Bagnasco, aggiungendo che «dalla situazione presente nessuno ricaverà motivo per rallegrarsi né per ritenersi vincitore». Ma non perdiamo l’occasione per prendere sul serio quel contraccolpo iniziale, quel turbamento. Non spostiamoci - o non lasciamoci spostare - sulla sempiterna “questione morale”, sull’incoerenza, sulla debolezza umana. Fatti serissimi, di cui tenere conto, ma che arrivano dopo, perché in fondo lo sappiamo che è difficile mettersi nei panni di chi scaglia per primo la pietra. Un istante prima, invece, c’è quel disagio, quell’inquietudine profonda. Che, se viene presa sul serio, porta a una domanda: ma chi può salvarci da questo? Chi può tirarci fuori da un modo così avvilente di trattare se stessi e gli altri? C’è qualcosa che possa riempire la vita più di sesso, soldi e potere o tutto ciò a cui possiamo ridurre il nostro desiderio di felicità? Qualcuno capace di attirare tutto di noi a sé, perché - finalmente - basta al nostro cuore? Chi può salvare l’umanità di Berlusconi, di chi gli gira intorno, di chi gli dà addosso - e mia, qui e ora? La salvezza, la pienezza dell’umano, non verrà dalla politica, se mai ci fosse stato bisogno di conferme. Né dai giudici. Ma da chi, allora?Qui lancia la sua sfida il cristianesimo. Qui, ancora una volta, ci provoca fino in fondo Cristo. L’Unico che ha la pretesa di rispondere al nostro bisogno di felicità. L’Unico che può generare una morale, cioè salvare l’umano: sfidarlo con un fascino più potente del resto - di tutto - e attrarlo a Sé, fino a cambiarlo. Perché è l’Unico che gli riempie il cuore.Ma qui si capisce anche il realismo dei criteri che la Chiesa ha sempre usato per giudicare la politica e i politici: il bene comune, appunto, e la libertas Ecclesiae, prima e più della coerenza e dell’ineccepibilità morale del singolo. Sembrano non c’entrare nulla. Invece entrano nel merito fino in fondo. Perché se è solo Cristo che salva l’umano, salvaguardare la Sua presenza nella storia - la Chiesa - vuol dire lasciarGli spazio nel mondo, qui e ora. Vuol dire aprirsi alla possibilità che potenti e soubrette, magistrati e giornalisti (e noi, con loro) incontrino qualcosa per cui vale la pena vivere, e cambiare.È questo che chiediamo alla politica. Non la salvezza, ma che lasci spazi di libertà a questo luogo che salva anche la politica, perché rende presente nel mondo qualcosa che non ha paragone con Usura, Lussuria e Potere. Qualcosa di infinitamente più grande. Qualcuno di vero.
Creatore
Non so se ho un Creatore, ma anche senza risposta continuo ad essere. Non so cos'è l'essere tuttavia sono, spontaneamente sono, così, senza averlo chiesto, senza meritarmelo, senza comprenderlo. Questo senso di essere è arrivato da solo, non so da dove, non so come, non so perché. Sempre lì, non è mai mutato. E' l'unico capitale che ho. E' l'unico problema che ho.
Autostop
L’autostop è roba d’altri tempi eppure proprio ieri uno mi ha caricato in auto per duecento chilometri. Mentre guidava conduceva nel contempo una lezione dal titolo: “Tecniche d’emancipazione dai soprusi quotidiani”. La tesi dell’autista-filosofo enuncia che, pur giudicando la mitezza, la pazienza e la mitezza virtù, vi è una soglia del sopruso altrui che superata la quale è necessario reagire per mantenere integra la propria dignità. La lezione è proseguita con congrue indicazioni metodologiche riguardo la reazione di difesa, che deve essere consapevole, quindi cosciente e controllata, utilizzando però il medesimo vocabolario e modalità d’azione dell’aggressore. Quando in coda all’ufficio postale l’aggressore ci passa davanti, rapidi occorre riprendersi il posto, se quello emette latrato trivio, si risponde allo stesso modo ma con un pizzico di determinazione in più, se quello minaccia lo si colpisce rapidi in pieno viso e si vivrà felici.
Kapo
Testimonianze di sopravvissuti ai lager nazisti riferiscono di kapos che colpivano senza motivo i prigionieri disposti in fila indiana. Botte da orbi all’improvviso, a vanvera: uno si quattro no, poi, dopo una pausa di dodici prigionieri, inopinatamente venivano colpiti altri tre in rapida successione. Samuel Beckett una notte fu accoltellato per strada da un clochard, dopo la convalescenza andò a trovarlo in prigione per chiedergli: “Perché l'hai fatto?” “Non lo so” rispose l’aggressore, proprio come quando il salto di corsia di un autoarticolato uccide a caso la giovane madre che passa, in quel preciso istante, proprio lì, quando transita sulla superstrada per andare al lavoro mentre ascolta il radiogiornale; se gli fosse caduto il tappo del dentifricio nel lavabo avrebbe perso quei trenta secondi che gli avrebbero salvato la vita, invece il tappo è rimasto al suo posto. Oppure un cancro che ci porta via il giovane amico; poteva portare via un altro invece ha portato via proprio lui, così, a capocchia. Invece suo nonno, di quasi novant’anni di pessimo carattere, sta benissimo con i suoi tre by-pass e un carcinoma alla vescica che è guarito completamente, così, a capocchia, contro il parere dei sanitari che gli avevano sentenziato sei mesi di vita.Comunque diagnosi mediche preventive, meglio se precoci, prudenza ed osservanza del codice della strada e anche l’informarci sull’ aspettativa media di vita di quelli che abitano dalle nostre parti sembrano anestetizzare la presenza del kapo, anche se di fatto lui indifferente alla statistica, alle diagnosi precoci di malattia e anche all’osservanza del codice stradale è comunque lì, potenzialmente lì, sempre lì.Consapevoli dell’impossibilità di eliminarlo tentiamo almeno di razionalizzarlo, perché non esiste nulla di più scocciante di una dipartita cruenta, prematura, senza motivo, così, a capocchia.Ci vogliono le filosofie classiche, le metafore e anche le religioni per ammansirlo un po’, magari dandogli un nome: Moira, Destino, Fato; sempre pazzo e imprevedibile rimane il kapo ma almeno sappiamo come si chiama. Possiamo chiamarlo Karma: la sua legge di causa effetto rende più umano il dolore trasformando nullificazione e caso in esiti e risultati. Chiamiamolo Sfortuna, se siamo pigri, oppure Mistero se crediamo nel Dio italiano, quello buono e misericordioso, Lui probabilmente ci consentirà di interpretare l’assurdo e l’imperscrutabile come “coincidenze assolutamente singolari” e, a Suo dire, proficue.Forse meglio la noncuranza, può darsi che se ignorato il kapo non si accorgerà di noi. Chissà?