BLOG DI BRUNO VERGANI

Radiografie appese a un filo, condivisione di un percorso artistico

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Lunedì, 26 Dicembre 2016 17:55

Formigoni: il problema è teologico

Ho commentato la recente condanna in primo grado a Formigoni rilasciando una intervista al quotidiano L'Indro.

Pubblicato in Attualità
Domenica, 25 Dicembre 2016 17:20

La messa in latino

Ho partecipato alla consueta concelebrazione natalizia pagana, rituale con cenone, tombola e all’ora canonica stabilita l’acquattato arrivo di Babbo Natale con i doni per i bambini. Ancestrale liturgia che i normali adempiono con cadenza ciclica[1] come fanno le stagioni, mentre sporadici anormali - come il sottoscritto - meno saggi, più introversi e complicati, invece di viverla con semplicità in presa diretta la esaminano dal di fuori con altezzosa distanza.

Appurato che per i normali è sufficiente tale approccio magico, dove per ottenere soddisfazione basta e avanza la rituale esecuzione della tradizionale formula liturgica condivisa, osservo che, in ambito cattolico, tutto sommato, poteva andar più che bene per i fedeli la preconciliare messa in latino, visto che ciò che spiega e risolve l’identità storica, sociale (appartenenza) e spirituale dell’individuo non è il personale e consapevole intendere, analizzare ed eventualmente riformulare, ma la semplice ripetitiva accettazione e la formale osservanza di ciò che offre La Casa.

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1 Il ciclo è una sorta di ripetizione, di volta, in volta, inedita, come plasticamente suggerisce una linea a spirale. Gilles Deleuze differenziava, anzi contrapponeva, la ripetizione all’abitudine, valutando la ripetizione «eternità contro la permanenza» (Differenza e ripetizione, Cortina Editore, Milano 1997, p. 9). Per svolgere tale analisi e giungere a questa conclusione suppongo che un po’ “anormale” non abbia vissuto la ripetizione in semplice, inconsapevole, presa diretta, ma ne abbia preso distanza, giusto per osservarla con ottimale messa a fuoco.

Pubblicato in Sacro&Profano
Sabato, 17 Dicembre 2016 12:56

Psicojukebox

Macchina protesi umana: dalla leva al tornio, dalla ruota alla valvola aortica artificiale. In tale allacciamento uomo-macchina l’acme è verosimilmente espresso dallo strumento musicale (oggetto) attivato da mano e/o respiro d’uomo (soggetto), allacciamento oltre che fisico anche psichico e spirituale. Va inoltre osservato che tale netta distinzione tra soggetto e oggetto è, nel caso di specie, tutta da chiarire, in quando risulta già verosimile che un percussionista preistorico eseguiva su “suggerimento” dell’oggetto che percuoteva: lui agiva e quello (l’oggetto) rispondeva a “modo suo” influenzando l’azione dell’esecutore, e nella scrittura del "pezzo", e nell'esecuzione.

Con il passaggio dalla scrittura della musica concreta a quella elettronica e digitale, con campionamento e multicampionamento (polifonia), moduli di sintesi, memoria, sequencer multitraccia, supervisione del sistema operativo, riproduzioni cicliche (loop) di suoni concreti o di sintesi, la distinzione tra soggetto uomo e oggetto macchina appare ancora più labile e nebulosa. In tale caso di scrittura musicale fino a che punto il nucleo formativo della struttura e costitutivo della frase permane solo e sempre squisitamente umano o adempie, invece, alle funzioni intrinseche della macchina, che pertanto diverrebbe autrice dell’opera, o perlomeno coautrice?

Non ho competenze ma se fossi un epistemologo della complessità[1] indagherei da queste parti.

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1 L'antropologo e lo psicologo andrebbero bene per analizzare il feticismo per una Fender, differente problematica.

Pubblicato in Filosofia di strada
Venerdì, 16 Dicembre 2016 09:02

Il gap

Nel periodo di caccia si aggirano nella campagna cani in branco forse smarriti dai cacciatori o che stanchi d’obbedirgli, o forse nauseati degli schioppi, hanno preferito i loro simili. Scorribandano nottetempo e ammazzano i gatti. Il mese scorso è toccato al vecchio Silvestro, felino mite e saggio. Avevo scavato la fossa e prima di coprirlo osservato l’occhio vitreo e il collo spezzato e chissà da dove improvvisa una domanda:
«Dov’è, ora, quell’essere senziente da te denominato Silvestro?».
Arrancavo nel rispondere con ipotesi tipo «vive nel mio ricordo», «si è disperso come una brezza nello spazio», «si è dissolto nella natura», poi più convinto avevo concluso «non lo so.»

Ieri casualmente passavo da lì, le volpi avevano scavato e Silvestro nel buco non c’era più, lo rinvenivo a una decina di metri smembrato e ripulito dalle gazze, un mucchietto di ossa bianchissime. Al cospetto dell'inorganica gloria ritornava, chissà da dove, la domanda:
«Dov’è, ora, quell’essere senziente denominato Silvestro?».
Noncurante di giudicare la domanda malata nella sua costituzione provavo ancora a rispondere arraccando daccapo, però una certezza l'avevo raggiunta:

il gap tra il Silvestro senziente e quelle ossa era tanto abnorme e incolmabile che conduceva a credere nell’esistenza di un prestigiatore che l'aveva fatto sparire nel nulla, argomentazione davvero priva di qualsiasi logica. Per affermare che l'unica realtà che può veramente essere detta esistere è la materia e tutto deriva dalla sua continua trasformazione è necessario credere all’esistenza di un inverosimile ciarlatano occulto che si diverta nel far scomparire i soggetti, e io una fede tanto grande non ce l’ho.

Pubblicato in Frammenti Autobiografici
Mercoledì, 14 Dicembre 2016 11:04

Combattenti

Mi piace Montaigne seduto al tavolo al terzo piano della sua torre che s’indaga attraverso il pensiero dell’Altro impresso nei libri e dilettante faccio come lui dicendo e elaborando ciò che mi capita a tiro. Mi piace giocare in giardino con le piante rare, affidabili alleate insieme ai gatti. Senza salire di giri lavoro giusto per ciò che è necessario a me e qualche prossimo, artigiano noncurante della concorrenza.

Evito di affilare le armi dell’erudizione e affinare la retorica per persuadere, studiare contromosse per difendermi, implementare tattiche per sconfiggere, come di solito si muove il mondo nel business, partiti, istituzioni, sport, tribunali, arte, università, cultura, mass media e chiese.
Non vedo necessità di combattere una battaglia lunga una vita anche se fosse la più giusta e buona.

Pubblicato in Frammenti Autobiografici
Martedì, 13 Dicembre 2016 10:27

Mariolatria

Nelle innumerevoli confessioni del planetario universo cristiano istituzionalizzate in differenti Chiese da duemila anni fino ad oggi, con ognuna all’interno, nonostante univoci enunziati normativi, copiose pluralità di espressione della fede, non è facile districarsi individuando le associazioni per delinquere, cricche di potere e clan di esaltati dalle comunità di santi o perlomeno di saggi.  

Un metodo grossolano ma affidabile per un agile discernimento è il rilevare la presenza quantitativa della Vergine Maria: se c’è troppa Madonna[1] meglio diffidare.

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1 Parametri percentuali di presenza massima consentita in tutti i campioni analizzati:
Dottrina 7%
Pastorale 12%
Liturgia 14%
Devozione 21%
Devozione popolare 26%

Pubblicato in Sacro&Profano
Domenica, 11 Dicembre 2016 17:56

Particolare/Generale

In terra levantina i clienti chiedono lo sconto e anche se il prezzo è giusto si può concedere, perché meglio mettere sotto i denti un po’ di meno invece che proprio niente; l’amico ha tanti meriti e non pochi difetti ma si accetta in blocco tutto il pacchetto e i parenti rimangono tali anche se associazioni per delinquere; il gatto piscia sul tappeto e lo laviamo omettendo, perlopiù, di buttare il felino dal quinto piano; c’imbattiamo settimanalmente in querelabili ma siccome abbiamo di meglio da fare manco li vediamo, anche gli accoltellamenti indirizzati ai vicini molesti sono rari. Ogni giorno nel nostro raggio di azione ci si difende e talvolta si combatte, nondimeno si dialoga, si attende e comprensivi si tollera, non potrebbe essere che così, l’intransigenza assoluta teorizza immaginarie perfezioni ma produce disastri reali.

Tale pragmatica intelligente adattabilità vissuta nelle circostanze quotidiane, dentro gli appartamenti, nelle periferie, in famiglia, nel lavoro, nelle scuole, dal novantanove per cento degli italiani che nel relazionarsi con ciò che li circonda optano per un estemporaneo circoscritto di meno onde ottenere un complessivo e definitivo di più, arte nella quale siamo maestri, inaspettatamente si contrae quando affrontiamo le generali circostanze dell’intera nazione. Dovrebbe essere l’opposto dato che lì siamo decine di milioni e affrontiamo complesse problematiche planetarie.

Il leader populista li aizza dal palco con immacolato rigore e loro applaudono rigidi e convinti, ma poi tornati a casa tutti ritrovano la consueta sterminata italica flessibilità. Se in quelle mura entrasse parte di quel rigore latrato dal palco, e dentro lì applicato, e ne uscisse un po’ di quella privata traboccante tolleranza così da essere politicamente e collettivamente universalizzata, non sarebbe poi male.

Pubblicato in Attualità
Sabato, 10 Dicembre 2016 12:22

Uno mangia l’altro guarda

Hans Küng nella sua autobiografia ricorda quando ragazzo faceva il bagno nel lago freddo e profondo della sua cittadina svizzera, descrivendo quelle nuotate percepiva: «l’io perdersi in una totalità più grande e onniabbracciante, senza con questo diventare una goccia d’acqua, ma restando me stesso.»

Una sorta di naturalismo che non precludendo l’ipotesi di un possibile logos artefice dell'universo offre, di rimando, la possibilità per l’io - “D(Io)” - di non essere annichilito fagocitato dalla Natura, forza mastodontica quanto incosciente e cieca; una affinità della Natura con la persona non solo biologica ma psichica e di pensiero. Posizione per il naturalismo filosofico evidente eretica - anzi questo non è naturalismo - ma, almeno per me, di cruciale interesse.
Quel «senza diventare una goccia d’acqua, ma restando me stesso» - ecoappartenenza non esautorante il soggetto - mi sembra una buona sintesi tra parte delle filosofie orientali e i monoteismi rivelati, dove le prime vedono l’Io una inutile illusione da affogare il prima possibile nel grande funzionamento cosmico, i secondi invece interpretano l’Io come reale, unico e irripetibile, che così a immagine e somiglianza del Creatore sottometta la natura alla sua gloria: «Crescete e moltiplicate e riempite la terra, e rendetevela soggetta, e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e sopra ogni animale che si muove sulla terra» (Genesi).

Ne ho parlato con il caro amico Fabio Pacini il quale mi ha fatto presente che per le filosofie orientali non è sempre e solo così, ricordandomi i due “Io” che secondo alcuni filoni del pensiero vedico ci costituiscono: quello che percepisce e vive il mondo, va alla posta e al supermercato e quello che osserva questo nostro agire personale contemplando imperturbabile la realtà. Roberto Calasso nel suo saggio «L'ardore» illustra puntuale la dinamica:

«Dal Ṛgveda alla Bhagavad Gītā si elabora un pensiero che non riconosce mai un soggetto singolo, ma presuppone al contrario un soggetto duale. Così è perché duale è la costituzione della mente: fatta di uno sguardo che percepisce (mangia) il mondo e di uno sguardo che contempla lo sguardo rivolto al mondo. La prima enunciazione di questo pensiero si ha con i due uccelli dell'inno 1, 164 del Ṛgveda: «Due uccelli, una coppia di amici, sono aggrappati allo stesso albero. Uno di loro mangia la dolce bacca del pippala; l'altro, senza mangiare, guarda». Non c'è rivelazione che vada oltre questa, nella sua elementarità. E il Ṛgveda la presenta con la limpidezza del suo linguaggio enigmatico. La costituzione duale della mente implica che in ciascuno di noi abitino e vivano perennemente i due uccelli: il Sé, ātman, e l'Io, aham.» (p. 157)

Certo si può anche vivere tutta un’esistenza arrabattandosi in vicende e faccende nelle circostanze, ma se ci osserviamo ci sarà pur accaduto, specialmente in situazioni dolorose spiazzanti, che ci scopriamo a osservare con chiarezza noi e il mondo con uno strano, potente, distacco.

I due uccelli… Singolare che nella sua biografia Küng una pagina dopo il voler «diventare una goccia d’acqua, ma restando me [sé] stesso» ricorda che nel nuotare aveva incontrato nel lago coppie di martin pescatori, uccelli monogami: « tento […] di separarli l’uno dall’altro, ma perdo regolarmente.» Strana coincidenza quanto scrive Küng, davvero sincronica con quanto scritto qui. Sto virando al New Age, meglio chiudere.

Pubblicato in Filosofia di strada
Venerdì, 09 Dicembre 2016 11:28

Secrezioni

Anche se abbiamo in bocca diverse centinaia di batteri e mica tutti buoni un baciamano non fa male a nessuno, manco due. Ma se te ne becchi migliaia a raffica la faccenda potrebbe diventare pericolosa, così il medico personale di Papa Pio XII dopo un bagno di folla gli disinfettava le mani dall’accumulo di devoto secreto[1].
Ecco, il divismo fa male, e non solo agli infatuati idolatranti fan.

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1 L’ho appreso dall’autobiografia di Hans Küng « Una battaglia lunga una vita. Idee, passioni, speranze. Il mio racconto del secolo », dove riporta che nella basilica di San Pietro aveva visto, casualmente, la disinfezione. Küng commenta quel remoto ricordo con parole affettuose, valutando l’intervento umano e ragionevole.

Pubblicato in Sacro&Profano
Mercoledì, 07 Dicembre 2016 20:21

Aiòn. Teoria generale del tempo

Terminata la lettura di «Aiòn. Teoria generale del tempo» monografia filosofica sul Tempo del filosofo Alberto G. Biuso, riassumerei l’opera estrapolando dal Nuovo Testamento (Atti 17,27-28) parafrasando così:
«Affinché cercassero Aiòn, se mai riuscissero a trovarlo come a tastoni, benché egli non sia lontano da ognuno di noi. Poiché in lui viviamo, ci muoviamo e siamo».
Aiòn  - con questo nome la tradizione cosmologica greca personificava-deificava il Tempo - potenza creatrice strutturante tutta la realtà. Concezione, quella di Biuso, che si contrappone al filone della fisica teorica che interpreta il tempo di per sé inesistente, un mero assunto attivato dall’interazione tra oggetti, dei quali almeno uno soggetto abile nel percepirlo, tesi avvalorata anche da numerose concezioni filosofiche orientali e rielaborata, talvolta banalizzata, in ambienti New Age. L’Autore dimostra, invece, il primato metafisico del Tempo - dimostrazione non introduttiva pertanto impegnativa per il lettore non filosofo di professione - prendendo le mosse dalla termodinamica classica, secondo principio - invito il lettore che l’abbia dimenticata a un giro su Wikipedia. Quello che qui ci interessa della termodinamica è il carattere d’irreversibilità come accade nel passaggio di calore da un corpo caldo a uno freddo, fenomeno per cui un sistema fisico muta da uno stato ad un altro evolvendo in progressione (freccia del tempo). Irreversibilità evidente a tutti i sani di testa, digredisco ricordando l’eccezione dei tribunali ecclesiastici abili nell’entrare in un segmento passato di tempo per estrarre chirurgicamente delle cose che ci sono successe dentro, nella fattispecie matrimoni e peccati, per farli sparire.

Una pentola a pressione sopra al fornello acceso sputerà fuori acqua vaporizzata che energica s'espanderà sempre più disordinata (entropia); come se un “regista occulto” ordini con precisione passaggi e direzione plasmando e creando la struttura stessa della materia. Dico regista occulto riferendomi al Tempo per illustrare, a modo mio, ciò che ho compreso della teoria di Biuso, virando dal teoretico alla più elementare osservazione empirica dove l’evento di una mela che ti cade in testa può rivelarsi utile per capire la realtà, beninteso se osservata con straniamento, senza memoria, come se accadimento inedito nell’universo, dunque visto per quello che è, invece che interpretato attraverso il pregiudizio di codifiche acquisite. Perché, dunque, un bicchiere di vetro cadendo dalla mano si spezza sempre in disordinati frantumi e manco una volta per forza autonoma intrinseca - chimica, fisica, atomica - si ricompone ritornando nella mano? Quale forza lo spinge in tale caotica direzione? La domanda non è banale, non solo perché vale per il bicchiere e per l’intero universo, ma perché oltre alla forza di gravità, alle peculiari caratteristiche chimico fisiche dei materiali e ambientali accade una progressione evidentemente procurata da altra, differente, forza, tanto scontata nella sua evidenza da non essere apprezzata. Se tale forza letteralmente creatrice fosse Aiòn ne conseguirebbe che gli enti, tutti gli enti, “sono” ontologicamente, metafisicamente ed esteticamente grazie al Tempo, pertanto come argutamente annota Busio, “e(ve)nti”; per inciso ricordiamo che la materia anche se macroscopicamente ferma microscopicamente - seppur in direzione differente - si muove; a riguardo non possiamo escludere che la Volontà, forza universale onnipervadente come intesa da Schopenhauer, corrisponda al Tempo come illustrato da Biuso.

Superfluo ricordare che il Tempo non è da equivocare con la cosciente percezione che ne abbiamo detta temporalità, di norma misurata attraverso codificati arbitri condivisi, giusto per non perdere il treno o scuocere le tagliatelle. Biuso sviluppa la sua Teoria del Tempo con lealtà epistemologica dialogando con differenti e numerosi punti di vista e discipline, dove coglie perlopiù verità parziali e talvolta ingenue. La scrittura delle 132 pagine è valorosa e condensata, in alcuni passaggi quasi aforistica, quindi da ruminare per poterla assimilare. Libro ricchissimo di stimoli non di rado proficuamente spiazzanti.

Un unico appunto critico con una conseguenza. L’Autore sembra in parte glissare, pur scorgendo l’enigma, sull’evidenza empirica del Soggetto, Homo sapiens sistematizzato da Linneo al pari d’un calamaro seppur con qualche neurone in più nel cranio, invece punto singolarissimo del Reale in quanto capace di dirlo e il libro in oggetto ne è la prova provata. Homo sapiens incidente di percorso tra le galassie o altro? In ogni caso stranissimo precipuo evento tutto da chiarire, non liquidabile con l’ipotesi d’irrisolte smisurate ferite antropocentriche, in alternativa la gloria dell’inorganico, mai sofferente in quanto non senziente, forse Aiòn ha il potere di creare di meglio della catatonica, autistica e incosciente lava nera.


Alberto Giovanni Biuso
Aión. Teoria generale del tempo
Villaggio Maori Edizioni
Catania 2016
Collana Ellissi, 7

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