BLOG DI BRUNO VERGANI

Radiografie appese a un filo, condivisione di un percorso artistico

NOTA! Questo sito utilizza i cookie e tecnologie simili.

Se non si modificano le impostazioni del browser, l'utente accetta. Per saperne di piu'

Approvo

Pubblicate le motivazioni della sentenza di condanna - quattro anni e nove mesi di reclusione, rito abbreviato, primo grado di giudizio - nei confronti di don Mauro Inzoli sacerdote di Comunione e Liberazione con ruoli di responsabilità, per abuso sui minori. Già sanzionato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede a ritirarsi a vita privata, oltre che a coatto “adeguato trattamento psicoterapeutico”; se per adeguato intendano psicoanalitico, terapia analitica, cognitivo comportamentale o della Gestalt, la Congregazione non l’ha specificato - tutta da indagare questa alleanza tra Chiesa e psicoterapia - però ha indicato che le sedute siano protratte per non meno di cinque anni. L’Inzoli è noto al grande pubblico per la partecipazione, nonostante la brillante imputazione, a un convegno sulla difesa della famiglia tradizionale.

Oggi organi di stampa estrapolano e pubblicano dalla motivazione della sentenza - stilata dal gup Letizia Platè - circostanze dolorose: «approfittando con spregiudicatezza della propria posizione di forza e di prestigio, tradendo la fiducia in lui riposta dai giovani nei momenti di confidenza delle proprie problematiche personali ed anche nel corso del sacramento della Confessione» ha abusato di «una pluralità indiscriminata di soggetti, all'epoca minorenni» dai 12 ai 16 anni, fatti risalenti «sin dalla metà degli anni Novanta», pertanto in gran numero prescritti. Nella sentenza è riconosciuta l’aggravante dell’abuso di autorità per la «forte sottomissione psicologica» delle vittime.

Nell’affermare l’onestà della stragrande maggioranza degli appartenenti a CL, ma nel contempo ricordando i non pochi rinvii a giudizio per corruzione e pure per associazione a delinquere, reati squisitamente ciellini in quanto favoriti, in presa diretta, dalla deriva assiologica tribale insita nell’impianto ecclesiologico del Movimento stesso[1], riteniamo che per tali atti sessuali contro persone minorenni sia imputabile l’Inzoli e nessun altro, non così per l’aggravante della spregiudicatezza procurata dalla propria posizione di forza e di prestigio con forte sottomissione psicologica delle vittime, come ricorda il gup, dove, viceversa, l’accusa - evidentemente non per reato penale ma per pessimo impianto ecclesiologico - sarebbe da estendersi alla concezione ecclesiale di don Giussani. Vediamola.

Il significato e la prassi dell'obbedienza alla e nella "Compagnia sacramentale" di CL è interpretata totale, assoluta, pragmatica, diretta e precisissima: autorità cielline anfibi terro-celesti con una zampa nella finitudine e l’altra nell’eterno, uomini che per processo “analogico” (analogia entis) rappresentano Iddio stesso per i subalterni. Giussani affermava: «Mai possiamo aderire di più alla misericordia di Dio che nell’ubbedire alle persone, alle pietre dove Dio ci ha collocati». Pietra della misericordia coincidente, nella fattispecie degli sfortunati adolescenti ciellini in oggetto, con l’Inzoli e i massaggi ai testicoli che, secondo organi di stampa, si attardava a fargli dentro e fuori il confessionale. Struttura gerarchica dove l'appartenente alla comunità obbedisce al superiore che gli capita. “Dipendenza” è lemma squisitamente giussaniano, va precisato che all’interno di CL al dipendente è chiesto di fare proprie le ragioni dell’autorità, individuando e accogliendo l'informazione di fondo che esprime il "Superiore" per farla diventare intimamente propria sentendone il valore, in quanto l’autorità è ritenuta Cristo presente, individuo di per sé effimero eppure veicolante l'Assoluto, così se a tredici anni l’autorità ti palpa e bacia anche se non ti piace, urge che indifferente al grado di sensibilità, onestà e verità del Superiore lo interiorizzi per la sacramentalità da lui espressa e significata come insegnava don Giussani. Un processo di sottomissione evidentemente devastante di cui erano vittime nel milieu ciellino anche i genitori dei minori violentati; infantilizzazione di adulti per la quale sono evidentemente imputabili e l’Inzoli e gli adulti a lui subalterni, rei d'ingenuità.

Oltre alle bislacche concezioni di Giussani anche la Chiesa cattolica ci ha messo del suo, a iniziare dal catechismo che insegna ai bambini che quando appartati nell'armadio del confessionale - ma è una religione seria quella dove ci si chiude in due nell'armadio? - possono imbattersi in un prete grasso e vecchio, oppure bello e giovane, con la barba oppure i baffi, buono o cattivo, là i pargoli e chicchessia non devono prestare attenzione alcuna a tutte queste cose, perché sacramento significa che il prete in quel momento è Iddio stesso. Se poi ti prende per le palle e ti rivela - come riferisce la stampa dell’Inzoli - che trattasi di rito biblico che sancisce l’amore del padre per il figlio, il pargolo, ligio al catechismo, magari ci crede, così da concludere in devotissima sottomissione pietrificato da tanto celestiale, sublime e traboccante amore: non capisco, ma se Dio mi massaggia il coglione destro e pure il sinistro una qualche ragione ce l’avrà di sicuro.


________________________________________

1 La comunione tra gli appartenenti a Comunione e Liberazione era definita da Giussani con l’affermazione: «Io sono Tu che mi fai», con quel “Tu” intendeva Dio e nel contempo, riferendosi al mistero dell’incarnazione cristiana, ogni aderente al gruppo. In questa concezione il nome di ogni ciellino è ritenuto sacramentalmente unificato all’origine con quelli degli aderenti al gruppo; annegamento soteriologico dell'Io nel corpo comunitario. Comunità giudicata da Giussani incontro-avvenimento-presenza salvifica segno sacramentale di Dio stesso, “ontologicamente” - qui da intendersi non come criterio di pensiero che inventaria gli enti (che cosa c'è) ma, con accezione metafisica (che cos'è, come è, perché è), che li fa essere ex nihilo (Giussani tende a idendificare l'ontologia con la metafisica) - costitutiva l’“Io” di ogni singolo componente. Il singolo uomo è in sé insignificante, è nulla. Per "essere" deve diventare cellula appartenente e obbediente alla corporazione, come le api e le formiche sono nulla senza il loro gruppo organizzato, consorziato, congregato, endogamo. Anzi di più: attraverso un processo d’ipostatizzazione del gruppo a verità assoluta e universale per l’appartenente la dipendenza diventa incondizionata ed esistenzialmente totalizzante, “ontologica” come i buchi nel formaggio che fuori da lì non esistono più. Nella concezione assiologica giussaniana la morale non poggia, dunque, sul comportamento umano in rapporto all'idea condivisa che si ha del bene e del male relata all'imputabilità del soggetto - concezione bollata da Giussani moralistica -, ma su una singolare teoria etico-assiologica di appartenenza al gruppo sacramentale: più fai parte più sei nel giusto, più fai parte e più vali, più appartieni e più sei redento, prescindendo dal personale agire. Giussani affermando - nel solco di Matthew Fox - che non sono le cose in sé da abbandonare ma gli atteggiamenti di possesso per le cose, implementa un dualismo tra morale e prassi in un mix gnostico e paolino dove, giudicando il gruppo di riferimento il valore assoluto e i beni materiali un nonnulla, invita ad un atteggiamento di possesso “come se” non avessimo, di godimento come se non godessimo, di utilizzo come se non usassimo, pur anche di fatto possedendo, godendo e usando. Blues Brothers che «in missione per conto di Dio» passano col rosso per salvare il mondo, giudizio di valore dove ogni nome è fuso e confuso nell'incorporazione al gruppo; un “Noi” Alfa e Omega super-Ente, consorteria metafisica salvifica, corpo mistico coincidente la presenza di Dio nella storia e strutturante-giustificante alla radice ogni partecipante al gruppo. All'interno di questo entusiasmo collettivo (enthusiasmòs: "indiamento"), di suggestione e acrisia a tale presupposto sacro fondamento unitario che redimerebbe, di questo sciovinistico imperativo collegiale, di questo familismo su base religiosa, di questo provinciale noi totalitario-salvifico, l’operato dei membri evidentemente obbedisce - indifferente alle generali e universali misure e norme dell'umano diritto costituite, istituite, e socialmente condivise - a regole proprie.

Pubblicato in Attualità
Giovedì, 24 Novembre 2016 09:32

Yves Congar. Il Regno di Dio

Sappiamo che la cultura occidentale è caratterizzata, e in gran parte strutturata, da una miscela di sacro e profano, una mescola di paganesimo, illuminismo, tecnica, tradizione giudaico-cristiana, ecc. ecc. . Utile al riguardo, e per certi versi inaspettata, l’analisi del cardinale e teologo francese Yves Marie-Joseph Congar (1904 –1995), espressa nel terzo capitolo del saggio teologico ecclesiologico «Per una teologia del laicato» scritto nel 1956, edito in Italia da Morcelliana. Capitolo che provo a condensare chiedendo venia, al lettore ancora qui, per la grossolanità espositiva.

Congar, fedele al credo cattolico, analizza il piano di Dio dettato nella rivelazione, dal «facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza» all’ultimo capitolo dell’Apocalisse, dove Dio «assumendo lui stesso la carne della nostra umanità» vuole costruire il suo tempio di comunione attraverso Gesù Cristo «capo della Chiesa, ma anche di tutta la creazione»; Regno di Dio universale nel quale Congar dettaglia differenti e complessi aspetti, tra questi quello escatologico dell’ultimo giorno e quello «dinamico o progressivo» del tempo della Chiesa, tempo intermedio del già, dove «Gesù stesso è, in un certo senso, il Regno di Dio» e il non ancora della Parusia, dove Cristo alla fine del piano salvifico ritornerà sulla terra.
 
Dunque due tappe e in mezzo un tempo intermedio. A che scopo tale tempo? Iddio onnipotente senza indugiare avrebbe potuto terminare il suo piano con l’Ascensione concludendo con la Pentecoste. Congar vede in tale indugio uno scopo preciso: Dio o il Cristo o la Chiesa non sono i soli artefici di tale piano, per giungere a meta è necessario il libero agire degli uomini nella storia perché senza tale cooperazione il Regno di Dio rimarrebbe incompiuto. In tale interpretazione «La regalità di Cristo resta, di diritto, universale» mentre la Chiesa sarebbe un regno spirituale della fede distinto dal «mondo naturale degli uomini e della storia», entrambi differenti coprotagonisti della realizzazione del Regno, «Rendete a Cesare quel che è di Cesare…».
Nel piano unitario di Dio la Chiesa e il mondo sono entrambi finalisticamente ordinati al Regno di Dio, «ma per vie e titoli differenti», così «la regalità universale di Cristo non corrisponde a quella di una regalità ugualmente universale della Chiesa». Ne consegue per il cristiano che il profano sviluppo umano storico non è un processo antagonista e nemico, o nella più misericordiosa interpretazione mero accadimento subalterno da tollerare, ma in quanto forza indispensabile all’accadimento del Regno evento da valorizzare e col quale allearsi. Sacro non contrapposto al profano, quindi non «Resistenza del Mondo ma Resistenza nel Mondo». Tralasciando il possibile effluvio di concezioni hegeliane, riguardo un supremo Principio regolatore della storia avvertibile in Congar, quello che mi sembra puntuale è l’intelligente sintesi, dal punto di vista cattolico, della complessa realtà in una concezione aperta che ricapitola e unifica universalmente.  

Come non rivedere alla luce del pensiero di Congar la gagliarda quanto infelice sparata di don Giussani:
 «La gioia più grande della vita dell’uomo è quella di sentire Gesù Cristo vivo e palpitante nelle carni del proprio pensiero e del proprio cuore. Il resto è veloce illusione o sterco».
Come non considerare le superficiali sentenze di pena di morte o del buttare via le chiavi per chi ha sbagliato. Non è questione di bontà ma di convenienza. Insieme a Giussani e ai giustizieri vendicatori anche il M5S avrebbe qualcosa da imparare dal cardinale francese per emanciparsi, almeno un po’, dalla supposta autoreferenziale sacralità che li separa da tutti coloro che non sono loro. Non male la Nouvelle Théologie.

Pubblicato in Sacro&Profano
Martedì, 22 Novembre 2016 09:43

Bullismo e vocazione

Corriere della Sera, cronaca di Roma, novembre 2016; 14enne aggredito dai bulli.

Improvviso mi torna alla mente un fatto estinto per prescrizione e archiviato, avevo forse 10 anni e ai giardinetti, quelli lontano da casa fuori dalla mia giurisdizione, una decina di bulli dopo una serie di colpi di karate vibratimi alla nuca m’avevano ficcato la testa nella fontana fino a quasi annegarmi e spento sigarette addosso. Mi ero tenuto la cosa per me per non prenderne altre da mia madre, niente pronto soccorso per graffi e contusioni e neppure indagini sull’accaduto dei Carabinieri come recita il Corriere nell’articolo di oggi.

Avevo indagato da me e ben appostato individuato ad uno ad uno gli appartenenti alla banda. Scelti i due più minuti - anch’io ero tale - avevo iniziato a seguirli, dopo un paio di pomeriggi ne avevo beccato uno in una via del centro e l’altro mentre passava in bicicletta in una strada di campagna. Il primo preso a calci in culo di quelli forti sulla pubblica via, il secondo immobilizzato e punto in faccia per un buon quarto d’ora con un mazzo di ortiche; Urtica dioica L. la stessa che utilizzo ancora per far urinare i clienti della mia erboristeria. Ricordo mentre scappava con la faccia gonfia la mia meraviglia, mista a pena, nel vederlo tanto fragile. Ero poi ritornato ai quei giardinetti e rincontrato il branco, non siamo diventati amici ma neppure nemici mentre il Corriere s'occupava d’altro.

Pubblicato in Frammenti Autobiografici

Nella riforma costituzionale incontriamo mischiate modifiche migliorative e peggiorative, che potrebbero portare a quasi equivalenti ragioni per confermarla o rifiutarla: sì al superamento del bicameralismo ma con ciò no al pastrocchio di questo nuovo senato; sì a più efficienza di governo però nondimeno no allo sbilanciamento dei contrappesi democratici.

Si potrebbe uscire dal labirinto votando NO inteso come sì per alcuni articoli e no per altri, dunque no a questa riforma nel suo complesso, sì ad altra riforma al momento, però, inesistente. Opzione logicamente dignitosa ma di fatto insensata visto che il testo è quello proposto, non quella teorico che abbiamo in testa.
Nel dubbio potremmo anche votare SI inteso come: no per alcuni articoli tuttavia sì per altri, orbene sì alla riforma nel suo insieme, scelta logica nel caso scorgessimo nella riforma una netta preponderanza delle modifiche migliorative, ma nel caso di valutazione fifty-fifty tale scelta sarebbe di fatto scriteriata e de iure e de facto, peraltro in un referendum senza quorum che funziona con binari aut aut lapidari.
Terza possibilità per risolvere l’impasse ed emanciparsi dall’imposizione referendaria potrebbe essere l’astensione, scelta possibile ma in quanto evidente auto-amputazione di individuale sovranità, in coscienza non praticabile.

Ultima chance quella di valutare il quadro politico generale considerando le conseguenze dell’esito referendario, dove con la vittoria del sì permarrà l’attuale trend di governo - seppur insufficiente non infausto - e con la vittoria del no si aprirebbero verosimilmente scenari di governi di scopo o di voto che non porterebbero, vista l’attuale opposizione, a niente di meglio.

Senza gradimento voterò sì.

Pubblicato in Attualità
Sabato, 19 Novembre 2016 11:03

Disgrazia efficace

Hai voglia! di valutare assurde, dunque inesistenti, le panzane che noi stessi generiamo o che ci girano attorno. Se concepite esistono efficaci nel loro raggio di azione.

Pubblicato in Pensieri Improvvisi
Giovedì, 17 Novembre 2016 10:45

Remare

Interpretiamo l’esistente ordinandolo, da tutto l’essere individuiamo una parte e dandole un nome la riponiamo secondo un certo ordine in uno scaffale personale, pronta all’uso. Con semantiche misere o congrue, precisi o equivocando, inventariamo l’universo separando i soggetti dagli oggetti per sistemarli, per prescrizione o scelta personale, in specifiche e differenti categorie. Quantifichiamo e ordiniamo anche enti che non ci sono da nessuna parte eppure sono ovunque come i numeri, il tempo e le idee. I filosofi per intendersi rapidi tra di loro chiamano tale processo ontologia, disciplina che con altri nomi ognuno, consapevolmente o ingenuamente, esercita tutti i giorni.

Sistemati gli enti consideriamo le relazioni tra essi e col tutto, approccio che gli specialisti chiamano mereologia atto che ognuno consapevolmente o ingenuamente fa.

Inventariato ciò che c’è in parti interconnesse proviamo a definire ciò che ogni ente è, parte della filosofia denominata metafisica, disciplina che ognuno più o meno consapevolmente esercita a raffica.

A differenza dall’ingenuo il consapevole analizzerà il processo che utilizza per interpretare la realtà così da scorgere possibili equivoci, errori e parzialità. Metodo poco frequentato dalla gente comune che i filosofi chiamano gnoseologia, teoria della conoscenza e anche epistemologia.

Eruditismo? Per come la vedo proprio l’opposto perché percorso necessario per vedere e vivere un po’ meglio, accidenti permettendo. Inderogabile stimolo per comprendere da onorare insieme - guardandoci attorno e indietro possiamo incontrare chi ha percorso la strada con impareggiabile arguzia - ognuno a modo suo, visto che «un uomo può fare come vuole, ma non può volere come vuole» (Schopenhauer), per miriadi di fattori e complesse dinamiche che gli sfuggono di mano.

In fin dei conti ognuno è un bel po’ quello che si merita, si permane ingenui per indolenza si diventa consapevoli remando di brutto. Il problema è che permane una separazione tra gli intellettuali e la gente comune, i primi talvolta altezzosi nella loro bolla, i secondi non di rado per pigrizia superficiali, con responsabilità personali precise di quelli e di questi.

Pubblicato in Filosofia di strada
Venerdì, 11 Novembre 2016 11:42

Fede bis

Mi lascia perplesso il discorso sulla fede in Dio attivata da una misteriosa soprannaturale grazia con i correlati “avere la fede”, “perdere la fede” e “ritrovare la fede” come succede con le chiavi della rimessa, concezione che separa credenti e non credenti in inesistenti compartimenti stagni.

Nel considerare la mia biografia - da giovane pressappoco credente in Dio e oggi all’incirca miscredente - e osservandomi attorno, constato che la separazione tra credere/non credere, credenti/non credenti, è più una frettolosa congettura tra apparenze che la realtà invece composta da soggetti che individuati plausibili percorsi di realizzazione personale - per plausibili  qui considero quelli ragionevoli e sani escludendo concezioni perverse o criminali - li intraprendono per verificarne l’efficacia[1].

Percorsi simili nel fine disuguali nel merito, dove la differenza più che nelle rispettive, differenti, ipotesi in campo, risiede nell'accuratezza e lealtà oppure nella superficialità e ipocrisia nel verificarle.

_______________________________________

1 A ben vedere tale verifica di efficacia un po’ ricorda la "simulazione sperimentale". Forse ha proprio ragione Emanuele Severino a metterci in guardia dall’attuale pervadente "dominio della tecnica".

Pubblicato in Sacro&Profano
Giovedì, 10 Novembre 2016 12:48

Fede

Il più delle volte nel visitare filosofi credenti in un Dio personale e trascendente apprezzo la loro compagnia; in questi giorni quella di Kierkegaard.

Il percorso all’inizio è piacevole, stimolante e arricchente, il problema è che dopo aver fatto un po' di strada in bella compagnia non pochi di questi autori si arrestano e come base jumper si gettano in territori misteriosi. Interrompendo il comune tragitto di pensiero, fin lì percorso, rompono il passo e il patto (dialogico) entrando inopinatamente nel tragico in un personale livello intimo inaccessibile, del quale non possono dire se non invitarmi a gettarmi anch'io. 

Punto che procura una frattura di comunicazione, momento palese e insieme oscuro di disperazione-grazia tutto da indagare che dovrebbero dettagliare con precisione. Giusto per non sfracellarsi emulandoli a scatola chiusa.

Pubblicato in Sacro&Profano
Mercoledì, 09 Novembre 2016 12:40

La pagina della sfinge

Cos’è quella cosa che è una sfera infinita tutta intera in qualunque parte di sé sempre immobile nel movimento di cui tante sono le circonferenze quanti i punti e il cui centro è ovunque e la circonferenza in nessun luogo?

Ho estrapolato da un notorio tassello della teologia medievale omettendo il divin Soggetto e ricomponendo a mo’ di quesito.

In fin dei conti certa mistica medievale appare antesignana de La Settimana Enigmistica, più è sublime più l’anticipa esatta. Strano ma vero.

Pubblicato in Pensieri Improvvisi
Domenica, 06 Novembre 2016 12:34

Quid est veritas?

Se sussistesse La Verità assoluta, universale, integrale, immodificabile e unica; s’esistesse un’immacolata, perfetta, infallibile e compiuta attività teoretica, prima o poi nella colossale storia del pensiero tale verità definitiva saremmo giunti ad esplicarla con-fermandola univocamente in massa.

Invece la storia della filosofia, dell’arte, della religione - pur con filoni di percorso non di rado operanti nel medesimo solco, oltre agli antichi classici evergreen - esprimono differenti, complesse e innumerevoli “verità” in costante moto, correlate alle storie dei popoli, ai tempi, alle causalità e casualità (circostanze), alle specifiche personali capacità, sensibilità e biografie. Neppure la scienza è immune da tale sana parzialità: dalla fisica teorica al medico specialista dal quale sovente il paziente si congeda per ascoltare un’altra campana. Il termine squisitamente scientifico "ricerca" palesa saggiamente al mondo uno stato di provvisorietà, stimolante inedite scoperte, nuove interpretazioni, radicali revisioni. Anche la natura muta, si adatta, si muove ordinata e talvolta apparentemente disordinata si diverte nel produrre metastasi.

Forse la verità è ‘sto bailamme o quanto meno gli assomiglia. Se caotica oppure cosmica non lo so, di sicuro non sta ferma.

Pubblicato in Filosofia di strada
Pagina 1 di 2

Copyright ©2012 brunovergani.it • Tutti i diritti riservati