BLOG DI BRUNO VERGANI

Radiografie appese a un filo, condivisione di un percorso artistico

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Venerdì, 27 Aprile 2018 12:26

Il punteggio

Notorio che tra i tanti dirigenti scolastici, guardie venatorie, insegnanti, alti burocrati, funzionari di pubblica sicurezza, appartenenti alle forze armate, impiegati della pubblica amministrazione e assistenti sociali, sia possibile imbatterci in persone ammirevoli quanto in cretinoidi patentati, questione di fortuna.

Pur riuscendo a sradicare la raccomandazione che innalza immeritatamente il cretinoide ad autorità dello Stato, la questione permarrebbe irrisolta. Il problema è che, giustamente, si diventa comandante di nave o veterinario pubblico per titolo di studio e concorsi che misurano e verificano specifiche (circoscritte, decentrate, cristallizzate) competenze. Strumenti congrui per valutare l'idoneità allo svolgimento di particolari mansioni, quanto inabili per cogliere l’eventuale stupidità strutturale del soggetto candidato e la sua capacità di autentica (autorale) comprensione del mondo, per dirla alla Gadamer: «Originario modo di attuarsi dell’esserci, che è essere nel mondo», quella attitudine di permanere sul pezzo attenti e aperti alla totalità di tutto il resto.

Evento incommensurabile questo buon senso e per certi versi inapprendibile.

Pubblicato in Frammenti Autobiografici
Mercoledì, 25 Aprile 2018 17:05

In nome del bene e del male

Orlando Franceschelli nel suo ultimo saggio «In nome del bene e del male. Filosofia, laicità e ricerca di senso» edito da Donzelli, affronta l’ineludibile tematica del bene e del male. Filosofo naturalista illustra e dialoga con le molteplici concezioni che, nella storia del pensiero, hanno definito e interpretato il bene e il male. Percorso concentrato, complesso e impegnativo (anche per il lettore), che nel radiografare le numerose e differenti ideazioni storiche del bene e del male afferma, «appetto alla natura» (Leopardi), il bene in un laico e pluralistico sì alla vita, nella ragionevole ricerca di una plausibile (parziale ma possibile) felicità per tutti, e individua il male nell’indifferenza verso la sofferenza degli esseri senzienti. Qui si sarà già compresa la rispettosa e motivata critica alla nicciana Volontà di potenza contenuta nel saggio.

Il libro è architettato in due parti, la prima, più teoretica, affronta le etiche prodotte dall’uomo sullo sfondo dell’ergersi extramorale, ma non per questo sterile, della natura; extramorale in quanto siamo noi uomini, non la natura, che implementiamo e proiettiamo intorno a noi, categorie etiche ed estetiche. Nell’analizzare e confrontare i paradigmi “Dio, uomo, mondo” - dove creazionismo e soprannaturale vengono affrontati e esposti con una precisione teologica ammirevole, come dall’interno, cura rara per un autore personalmente estraneo a tale tradizione e metafisica - e “uomo, mondo”, sono annotati ossimori (“male naturale”), sviscerate occulte compenetrazioni tra i due paradigmi, oltre a inconsapevoli equivoci anche comici come, ad esempio, la descrizione di esponenti del materialismo ateo così esaltati nel loro ideologico pregiudizio da risultare talora più “teisti", del proprio dio, di alcuni teologi cristiani.

Nella seconda parte, più pratica, tale solidale virtù della laicità si confronta con le sfide della storia e, dunque, del presente, invitando a una politica samaritana dell’inclusione; al riconoscimento della efficenza della tecnica, per la quale non vanno segnalati solo i rischi ma riconosciuta, evitando paranoie, la dignità. Nel proporre indicazioni morali ed estetiche Franceschelli non sale mai di giri esprimendo, in rispettoso dialogo con le concezioni differenti, una singolare forza che più è umile e più risulta efficace nel convincere. Vien da dire, quanto impegno e serietà occorrono per diventare e per essere ragionevoli e seriamente norma-li.

La prima parte del libro stimola pensieri a raffica evocando nel lettore nuove tematiche e ulteriori problematiche, indizio che l’opera è ben riuscita - a che servirebbe un libro che non fa pensare? - a iniziare dalla extramoralità della natura alla quale apparteniamo ma che a differenza di noi non conosce aggettivi e non utilizza predicati. A Oriente incontriamo tradizioni teoretiche e speculative, accennate nel saggio, che invitano a conformarsi a tale atarassia dell’universo naturale, filone che meriterebbe indagine approfondita.

Agli antipodi, nel prendere atto dell’inconfutabile extramoralità della natura, ci sarebbe ancora da chiedersi: possiamo affermare con certezza che la natura, oltre che extramorale, sia anche extraetica? Se le etiche sono modelli concettuali producenti funzionamenti, la natura esprime, per certi versi, una sorta di etica utilitaristica nell’imperativo che “sceglie” e “vuole” l’autoperpetuazione costante e a oltranza di sé. Improbabile che la natura lo sappia, ma innegabile che lo faccia. In questo suo significativo meglio esserci che non esserci alberga, implicito e spontaneo, un giudizio di valore? Oppure siamo noi che, nostalgici di un qualche demiurgo, glie lo appiccichiamo arbitrariamente addosso?

 

Orlando Franceschelli, In nome del bene e del male - Filosofia, laicità e ricerca di senso. Donzelli Editore, Saggine, n. 304, 2018, pp. VI-194.





Pubblicato in Recensioni
Domenica, 22 Aprile 2018 10:11

Classe degli sfigati?

Conosco  un tale che proviene da una famiglia non benestante e poco erudita, non è laureato e non ha frequentato il classico, da un mese taglia erba e pota ulivi, e per piacere e perché non può permettersi che lo facciano altri. L'altra sera invece di una ventina di pagine del libro di etica che voleva leggere per stanchezza ne aveva aperte solo cinque, però nell’imbattersi in una citazione latina che non comprendeva aveva ancora energia per remare e farsela spiegare da Wikipedia.

Vero che macroscopicamente il classimo c’è, nondimeno in ogni svantaggiato (e in ogni avvantaggiato) alberga una quota di responsabilità e d’imputabilità personale per ciò che, indipendentemente dall’ambiente, è. 

Spinoza tornitore di lenti, Melville ispettore doganale, Kafka assicuratore contro gli infortuni, Pessoa corrispondente commerciale e forse pure Gesù di Nazareth figlio del falegname, confermano.

Pubblicato in Attualità
Giovedì, 19 Aprile 2018 17:54

Mito della classicità

A Occidente dai greci a tutto il medioevo il lavoro artigianale, manuale e meccanico (banausia), veniva giudicato generalmente spregevole. Nell’empireo filosofi, sacerdoti e guerrieri, agli inferi scaricatori di porto, fabbri e contadini. Platone, Aristotele ed esponenti della filosofia scolastica, la vedevano, un po' altezzosi e ingrati[1], più o meno così. Col Rinascimento le cose mutavano e la persona era, finalmente, riconosciuta degna per il solo evento del suo esserci. Déi pagani e il Dio espresso dalle Chiese cristiane per quasi due millenni hanno prodotto classi di superbi e di subordinati, ci è voluto l’umanesimo per venirne un poco fuori. In seguito nell'idealismo antropocentrico si è esaltato, talora oltremisura al pari di una religione, ogni individuo.


Oggi di quella classicità che disdegnava il lavoro manuale solo qualche strascico, nei genitori che dozzinali ostentano i risultati brillanti del figlio che frequenta il liceo classico, o di coloro che si oppongono alla convivenza della figlia ragioniera col garzone del macellaio, o di qualche pensionato compiaciuto di seguire corsi avanzati di una qualche libera università umanistica, per poi appendersi l’attestato nel soggiorno.

Ad eccezione di questi esempi di provincialismo decadente la situazione si è oggi capovolta rispetto al periodo classico nel disprezzo di pensiero-parola, nell'imperativo “fatti non parole” vale a dire “taci e esegui”, indizi che quel dio oscuro è ritornato sulla scena, in forma sì opposta ma così speculare da produrre i medesimi esiti sociali. Permarrà tenace se non escogitiamo un qualche Rinascimento.

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1 Inghiotto la compressa e il mal di testa cessa di colpo come un temporale estivo grazie a chi l’ha formulata, grazie all’ingegno di tutti quelli che hanno dato risorse e intelligenza per generare-realizzare farmaci efficaci, grazie agli operai che la producono. Salgo sul treno, sull’aereo, sul traghetto e arrivo a destinazione. Talvolta i sedili sono sporchi, qualche volta ritardano, ma grazie all’ingegno di qualcuno, grazie al lavoro dell'Altro, arrivo. Non lo conosco, sovente è morto da tempo o abita lontano, ma in ogni caso merita obiettiva riconoscenza per l’aver inventato la pizza napoletana, per l’aver scritto nel Seicento un testo di filosofia, per aver progettato e realizzato un computer che mi fa lavorare meglio e anche per l’antiparassitario che toglie il prurito al gatto, per il calorifero che l'idraulico mi ha montato e la forchetta, la neurochirurgia e le regole di grammatica, per le scarpe e gli occhiali. Qualcuno ha procurato molto danno e poco profitto, qualcun altro ha però compensato, riparando con bilancio positivo. Un po’ di ammirazione e gratitudine sono il minimo sindacale che l’Altro, pensatore o esecutore, oggettivamente merita.

Pubblicato in Filosofia di strada
Giovedì, 12 Aprile 2018 09:11

Giudizio di valore

L’etica determina e fissa differenti valori e disvalori - da qui le etiche - poi, a mo' d'un ragioniere, la morale li quantifica redigendo bilanci.

Se l’etica canna nel determinare valori e disvalori la morale produrrà risultati errati, anzi più sarà precisa nel far di conto e più amplificherà l'errore, più sarà retta e più diventerà turpe.

Pubblicato in Filosofia di strada

Che strano, la santa martella duro, martella a raffica, colpisce di brutto, ma il volto non esprime emozione.

Senza alcun compiacimento paternalistico o vendicativo ottempera una necessità naturale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Pubblicato in Sacro&Profano
Martedì, 10 Aprile 2018 11:51

Violenza del semper idem

Ci sono anche i cazzotti spirituali, sono quelli sferrati da chi (in noi e fuori di noi) proclama fisse verità assolute che castrano ulteriori domande e precludono differenti possibilità.

Una sana identità sta agli antipodi da ogni particolarismo e identicità autistica, L’identità per definirsi e consolidarsi necessita di continua e movimentata interpretazione-riformulazione dell’ambiente nel rapporto con tutti gli uomini; interazione universale, creativa e costante dell’Io con ciò che lo circonda e viceversa, così la forza dell’identità è misurabile dalla capacità di fluttuare per riformulare-riformularsi e la miseria dalla statica identicità, vale per l’identità della persona, di un gruppo, di un popolo.

Pubblicato in Pensieri Improvvisi
Sabato, 07 Aprile 2018 17:09

Potenze ancestrali

Ognuno ha una qualche credenza, la mia è che il Genius loci delle mie parti - entità simbolo di coloro che, qui, vissero per secoli[1] - stia tramando un regolamento di conti con i nuovi arrivati nel suo territorio.[2]

Ignoro quale sanzione, pena o castigo, gli stia per disporre il dio della contrada, ma so che può programmarla indisturbato: gli imputati, ignari di ricadere nella sua giurisdizione, non hanno sufficienti intelletto e sensibilità per captare il moto della sua incombente onnipervadenza. Può darsi che tale cecità sia già la punizione.

 

 

 

 

 

 

1

 

2

Pubblicato in Frammenti Autobiografici
Venerdì, 06 Aprile 2018 18:50

Apologia della norma

Il paternalista esautora la norma condivisa soppiantandola con la personale benevolenza, così nell’elargire misericordia subordina l'altro tutto a sé, tecnicamente tirannia.

Pubblicato in Pensieri Improvvisi
Venerdì, 06 Aprile 2018 18:14

Ora et labora

«Incominciamo a vivere realmente solo alla fine della filosofia, sulla sua rovina, quando abbiamo compreso la sua terribile nullità, e quanto inutile sia stato ricorrere ad essa, poiché non ci è di alcun aiuto» (E. M. Cioran, Précis de décomposition).

Mi è piaciuto questo liberarsi dal massimalismo della filosofia, così ho provato a onorare l’invito mentre la mattina imbiancavo a calce e nel pomeriggio zappavo l’orto, ma in quell’azione-pensiero la filosofia ritornava gloriosa. Irrilevante se zappa o libro, la dinamica assomiglia all’Ora et labora: prega lavorando e lavora pregando; pensa-lavorando-lavora-pensando. 

Alle ortiche si può gettare la professione del filosofo e pure tutta la storia della filosofia - plausibile che Cioran si riferisse a ciò - ma se è vita non può cessare neppure cestinando la vita, perché anche questo sarebbe moto filosofico. Arzigogolato ma filosofico.

Pubblicato in Frammenti Autobiografici
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