BLOG DI BRUNO VERGANI

Radiografie appese a un filo, condivisione di un percorso artistico

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Mercoledì, 28 Settembre 2016 08:31

Mistagogia nostrana

Infrequente che entri in una chiesa, ho già dato. Talora varco il portale cattolico per estemporanee visite artistico-culturali o per partecipare a un qualche funerale o costretto in matrimoni o battesimi. Nonostante il personale, eccessivo, recalcitrare riconosco alla Chiesa cattolica e alle sue celebrazioni dei sacramenti l’inoppugnabile abilità di non farmi uscire indenne da quel posto, grazie a una sorta di brainstorming che là mi accade. Sotto, sotto, non mi dispiacerebbe recarmi, giusto una volta, senza invito ben mimetizzato coi fedeli, ad una qualche cresima, situazione strategicamente privilegiata per puntuali diagnosi e indagini sociali, psicologiche e antropologiche, italiche e universali. Perché l’osservazione risulti puntuale è necessario un netto straniamento, come se giunti da molto lontano ci trovassimo casualmente in quella chiesa per la prima volta, pertanto curiosi di comprendere l’accadimento: cause, origini, metodi, scopi, intenzioni, mistagogie; ben monitorando l’edificio, il sacerdote, l’abbigliamento e l’arredamento, i soggetti presenti, le formule eseguite e proferite, le materie, gli effluvi, le allegorie e tutti i gesti in ogni minimo dettaglio.

Domenica scorsa, invitato a un battesimo, ci ho provato. Raggiunto il suddetto straniamento la concentrazione è sorta rapida e spontanea, grazie ai peculiari stimoli provenienti dall’ambiente che mi hanno attivato un “flusso di coscienza” travolgente e pure tenace. In quel circoscritto mettere a fuoco la situazione la prima conseguenza è stata lo sgretolarsi della concezione che interpreta il paganesimo in opposizione al cristianesimo, beninteso non tutto il cristianesimo ma la mistagogia di quella celebrazione, richiamante la religiosità della Grecia e della Roma antiche, oltre a quella misterica egizia, evocante precisa anche animismi e sciamanesimi nell’utilizzo di materiali naturali - olio, acqua - o un minimo elaborati - vino, pane - che in un crescendo rappresentavano, veicolavano, talvolta contenevano il soprannaturale, per mezzo di un sacerdote che eseguiva con mirata intenzione formule codificate, gesti e parole. Acqua e olio elementi che nel battesimo non solo rimandano a significati e invitano a percorsi, ma materia efficace in sé. Perché il sacramento sia valido non basta la buona disposizione del soggetto, la corretta intenzione del ministro celebrante e la giusta forma, ci vuole anche la materia esatta: ingrediente sbagliato sacramento inficiato.

Insieme all’intenzionalità verso tale fine il rito si attardava lento senza motivo apparente, probabilmente per il mero piacere del celebrare in sé, dimensione un po’ orientale, piacevole e potente. Una sorta di gioco, d’inno all’ “inutile”, proficuo e pure rivoluzionario, un curare quel diffuso e imperversante, nevrotico, ossessivo, voler continuamente raggiungere che succede fuori da quelle mura, fibrillazione tanto veloce e determinata quanto inconsapevole della meta.

Davvero non male, forse prima esageravo, imprudente accomunare frettolosamente la liturgia cattolica con lo sciamanesimo e addirittura con l’antico Egitto e i suoi balsami magici, eppure, se ben ricordo, al battesimo il prete aveva adoperato oli differenti, uno dei quali balsamico, a suo dire preparati dal vescovo una volta l’anno, sempre di giovedì. Prima aveva unto il bambino con un olio d’oliva, “olio dei catecumeni” aveva spiegato il prete, poi aveva passato il pargolo con l’acqua, ma non soddisfatto l’aveva riunto con un altro olio piuttosto speziato, “crisma” aveva detto. Il ministro disponeva pure di un terzo olio approntato ad hoc dal vescovo per santificare gli infermi, ma il bambino già unto e bisunto, per fortuna, forse per grazia, stava bene. E i fedeli presenti? Indifferenti a qualsiasi monitorare e comprendere gli andava bene così, non è escluso che se il ministro gli avesse indicato di mettersi il mignolo nell’orecchio sinistro alzando la gamba destra avrebbero eseguito.

Ricordo l’amato papa Francesco che in un’omelia affermava che senza aver ricevuto il sacramento della cresima si rimane “cristiani a metà”, anche se Gesù di Nazareth, se ben ricordo, riguardo certe cose diceva tutt’altro. Mica può dire cose diverse il pontefice, la dottrina è quella ed io con tutto il rispetto per cattolicesimo & paganesimo non posso che diffidare di chi mi propone una confermazione e realizzazione personale, universale e definitiva, ungendomi con un olio speziato.

Pubblicato in Sacro&Profano
Lunedì, 26 Settembre 2016 11:31

La nuova alleanza

Al clou del rito battesimale, atto che fonda tutta la vita cristiana liberandoci “dal peccato e dal suo istigatore” donandoci la “grazia inestimabile di diventare figli di Dio”, osservo le cosce della bella mamma col tubino e i tacchi a spillo, evidenza non meno efficace di grazia inestimabile.

Non sarebbe poi male che le due forze in campo la finissero di bisticciare e stringessero, finalmente, alleanza.

Pubblicato in Pensieri Improvvisi
Domenica, 25 Settembre 2016 09:28

Ontobotanica dell’Ailanto

Italia centrale, autunno 2016. “Questo non ci dovrebbe stare!”, non è Salvini che spara la sentenza ma un botanico che scorge un Ailanto tra la folta, svariata, vegetazione. In effetti quell’albero, importato dalla Cina circa tre secoli fa, talvolta infesta i nostrani areali, ma perlopiù è armonicamente integrato.

L’architettura di tale sentenza botanica mi sembra affondi su un terreno instabile, poggiando su due preconcetti ontologici:
il primo, riferendosi a una qualche ignota religione rivelata, sistematizza precettisticamente gli enti botanici nel territorio, separandoli in giusti se autoctoni e sbagliati se esotici;
il secondo divide l’intervento umano da quello naturale, arbitrio che interpreta “naturale” l’Ailanto se giunto qui trasportato dall’inconsapevole vento, ma “innaturale” se portato dagli uomini. Un separare artefatto e natura tutto da chiarire. Vale per le piante, vale per le persone.  

Pubblicato in Filosofia di strada
Giovedì, 22 Settembre 2016 17:35

Quello che non vedo di mio figlio

Come figlio e come padre - sia nell’accezione biologica, che nelle relazioni amicali, affettive o spirituali - non mi sono fatto mancare nulla, talvolta sono stato padre e figlio con profitto mio e dei partner, altre volte dominato o dominante, assente o invadente, impotente o prepotente. Territorio complesso il rapporto padre-figlio, luogo di benessere ma anche di possibili disastri.

«Il mio popolo perisce per mancanza di conoscenza» ammoniva il profeta e Domenico Barrilà, psicoterapeuta e analista adleriano, nel suo ultimo saggio interviene per porre riparo a tale perire. Il volume “Quello che non vedo di mio figlio” con sottotitolo "Un nuovo sguardo per intervenire senza tirare a indovinare", analizza il rapporto maternità-paternità/figliolanza in presa diretta lontano da preconcette teorie e dozzinali sistematizzazioni. L’Autore opera con empatica discrezione sul campo, un “osservare per vedere”, non tanto i “ragazzi” - ente sociologico e della statistica, sovente estraneo alla vita reale, frutto di generalizzazioni e frammentazioni specialistiche - ma, con approccio idiografico osserva e vede quello specifico ragazzo, quel singolare bambino, quel figlio irrepetibile. Osservazione che alla larga da teorici enunciati generali si converte a modalità di accostamento alla persona reale. Barrilà osserva scientificamente e vede empaticamente, evitando buonismi, il punto di vista di quel figlio, di quel ragazzo, nello specifico ambiente familiare e sociale rendicontandolo con chiarezza e semplicità di linguaggio, individuando e smantellando le imperversanti interpretazioni e i diffusi giudizi stereotipati, quanto erronei, di numerosi adulti che pretendono di universalizzare il proprio modo di percepire il mondo. Avvocato difensore del minore che optando per il domandare, invece del giudicare, ne tutela la sovranità personale, un bodyguard della appercezione, del “Sé creativo”(Adler). Operare che osserva e vede nel ragazzo il vocabolario affettivo appreso, i danni del non detto nelle costellazioni familiari, la specifica costituzione ereditaria (DNA), le impressioni soggettive del minore per ciò che lo circonda, altri individui in primis. Quest’ultimo osservare il giovane nelle relazioni allargate è indicato come, semplice ma efficientissimo, “test diagnostico” del benessere del bambino e dell’adolescente; ne consegue che la prima urgenza di ogni educatore dovrebbe essere quella di educare al sentimento comunitario nella “compartecipazione emotiva” (Adler).

Evidentemente un soggetto avente fluttuanti impressioni soggettive non è entità sacra immacolata, pertanto, mai imputabile, ma persona capace di intendere e volere dunque responsabile di sé nel mondo. L’Autore, dunque, oltre a ricordare che non tutto può essere messo in conto ai genitori, nel suo incontrare e conoscere lo specifico ragazzo nella sua totalità, invece degli eventuali “guasti”, illustra e indica tre moti necessari al minore - e a chicchessia - perché la vita sia sana, “compiti vitali” che individua nella capacità del giovane di sperimentare affetto, empatia, amore, per sé e per l’Altro a lui prossimo; nell’abilità di coinvolgimento lavorativo e creativo (giochi, studio); nella fattiva relazione amicale, cooperativa, di partnership e di sentimento comunitario nel mondo. Amare, lavorare, appartenere. Valutazione non giudicante eppure chirurgica, analisi che mantiene la distanza ma tocca l’intimo, che invita alla vicinanza e insieme all’equidistanza, operazione complessa non meno dell’astrofisica e della fisica quantistica, tant’è che Barrilà utilizza con frequenza onde, particelle e campi, per esemplificare passaggi che risulterebbero incomprensibili all’interno di una struttura di pensiero squisitamente binaria.  

L’adolescenza appare come momento conflittuale a causa di un Io in formazione che oscilla tra volontà di completa autonomia mischiata al persistere del desiderio di accudimento, dinamica ulteriormente complicata da modificazioni organiche e ormonali. Condizione che procura oscillazioni talora eccessive, dove può prevalere il sentimento dell’audacia su quello della prudenza, momento evidentemente critico eppure l’intoppo, specie nei casi più difficili, non alberga lì ma nei remoti, eppure cruciali, snodi e nodi dei primissimi anni di esistenza che nel passaggio adolescenziale presentano il conto; adolescenza mera catalizzatrice che evidenzia caratteristiche di un individuo affatto indivisibile in ere geologiche circoscritte e separate, ma determinato dalla “persistenza del passato remoto nel presente”.
Dunque il problema non sarà la ribellione in sé, talvolta legittima difesa nei confronti di associazioni a delinquere genitoriali, non sarà neppure l’eventuale abuso di sostanze psicotrope ma i motivi profondi e remoti che spingono al narcotico, artificiale, evitamento. E la masturbazione? No problem, anzi proficua se non chiusa ma finalizzata a sani incontri affettivi nella realtà concreta. Approcci etero o omosessuali? Irrilevante, garantisce l’Autore, rilevante è l’affetto personale e la vivezza del sentimento sociale. Così, con qualche distinguo non secondario, pure internet e correlate consapevolezza o inconsapevolezza digitale, al quale è dedicato, con taglio divulgativo-tecnico, uno specifico capitolo in appendice.

Cartina tornasole di eventuali latenti intoppi remoti, anche severi, è il momento nel quale il giovane entra autonomo, poggiando tutto sulle sue gambe, nel mondo lavorativo o universitario. Talvolta, in tale non procrastinabile richiesta di responsabilità di sé nel mondo, riemergono prepotenti nodi antichi, che in taluni casi possono innescare angoscia paralizzante. Il saggio rendiconta decine di esperienze, talune drammatiche, dove i tentativi attuati dal giovane per risolvere l’impasse - di per sé circoscritta e risolvibile ma percepita soggettivamente immane - risultano enormemente più dannosi e controproducenti del problema contingente. Il saggio annota tra le cause di tale angoscia giovanile anche la limitata capacità di prevedere per incolpevole scarsità d’esperienza, presente invece nell’adulto. La percezione della personale inadeguatezza verrà amplificata, esasperata, universalizzata, deificata: in tale passaggio il bambino insicuro o mortificato di un tempo emergerà in tutta la sua gloria nel giovane uomo implementando strategie radicali e anche “geniali”: per ben ammalarsi così da sfuggire completamente al mondo - società, lavoro, affetti -, può essere necessario valoroso estro e abile fantasia, oltre che a notevole energia. Tale rendicontare “clinico” - che in alcuni casi l’Autore definisce “ostinati ricordi” per quanto l’hanno umanamente colpito - di tanti giovani che non giocano la partita per non perderla, è accompagnato e alternato da passaggi autobiografici dell’Autore stesso, segno di rispetto e di empatia, dottore e paziente amici di percorso, persone sulla stessa barca e sotto lo stesso cielo.

Riguardo le declinazioni del sentimento comunitario il saggio si attarda preciso in un distinguo importante, differenziando le comunità aperte al prossimo e all’universale dai gruppi autoreferenziali e chiusi, nei quali l’incorporazione del giovane per immersione acritica e annegamento equivale, di fatto, a solipsismo, nella fattispecie tribale invece che individuale, talvolta con conseguenze ancora più gravi a causa dell’autoritaria, sistematica, esautorazione delle personali potenzialità nei confronti dell’appartenente al gruppo.
 
Domenico Barrilà,
Quello che non vedo di mio figlio. Un nuovo sguardo per intervenire senza tirare a indovinare;
Urra Feltrinelli


Pubblicato in Recensioni
Venerdì, 16 Settembre 2016 11:35

Analisi dell’incazzato

Invecchiando la decina d’attacchi d’ira che avevo all’anno sono aumentati d’intensità però diminuiti di numero. Circoscritta momentanea pazzia che di solito mi coglie una mezz’ora dopo il risveglio se un qualche pirla entra nel mio spazio psichico a gamba tesa. Si dice “perdere la testa” come se da una parte ci fosse il regno delle emozioni e passioni abitato da decapitati, dall’altra quello del pensiero invece popolato da vigili urbani col cappello in testa che fischiano allorquando nel regno delle passioni scorgono maretta o fuochi d’artificio fuori orario.  Dinamica incontestabile come insegna la tradizione platonica, stoica, dell’illuminismo, cristiana e pure orientale, tutte d’accordo nel riconoscere al pensiero anche funzione legislativa di controllo e contenimento sulle emozioni. Qualcuno, se non ricordo male Spinoza, osservava tuttavia che anche senza il pensiero-vigile-urbano, le passioni-emozioni, quando opposte, procurano di per sé una sorta di autoregolazione, ad esempio la paura stimola l’audacia e l’audacia circoscrive la paura.

Ritornando ai due regni distinti c’è qualcosa che non torna, ricordo quando facevo l’attore e l’amico Vincenzo mi dirigeva, quando carente nel manifestare una emozione mica mi invitava ad amplificarla, ma mi chiedeva: «Cosa stai pensando?» e su quello si lavorava, in quanto emozioni e passioni sono frutto non di viscere ma di pensiero.
Un amico anestesista mi spiegava che per alcuni interventi chirurgici basta e avanza che il paziente dorma più o meno profondo, invece per altre operazioni, tipo quelle “a cielo aperto” dell’intestino, è necessaria una sedazione completa, altrimenti le budella reagiscono all’invasione traumatica prolassandosi e muovendosi, disturbando l’operare del chirurgo.  Tutto qui, ne più ne meno della rana di Galvani che sgambetta catatonica. Dal cuore e dalle viscere nulla di più.

Dentro ogni attacco d’ira alberga una specifica Weltanschauung e una precisa ontologia, anche logica, metafisica, etica, estetica, epistemologia e gnoseologia, politica, sociologia, filosofia del linguaggio e teologia non di rado capace di produrre bestemmie più efficaci di certe orazioni canoniche. La testa c’è, perlopiù sbagliata, ma c’è. Quasi tutta.

Pubblicato in Filosofia di strada
Giovedì, 15 Settembre 2016 18:20

Crisi d’identità assente: prognosi infausta.

A ben vedere la personale identità sta agli antipodi dall’identicità; l’identità per definirsi e consolidarsi necessita di continua e movimentata interpretazione-riformulazione dell’ambiente; reciproco foggiare nell'interazione creativa e costante dell’Io con ciò che lo circonda e viceversa.

Dopotutto la forza dell’identità è misurabile dalla capacità di fluttuare per riformulare-riformularsi e la miseria dalla statica identicità, vale per l’identità della persona, di un gruppo, di un popolo.

Pubblicato in Filosofia di strada
Mercoledì, 14 Settembre 2016 09:44

Tiepido inferno

Eccolo in coda allo sportello, in fila alla cassa, all’imbarco, al semaforo e al passaggio a livello chiuso, sulla porta della bottega che aspetta il cliente e al telefono ad attendere risposta dall’operatore, nella sala d’attesa gremita mentre pensa agli anni che lo separano dal maturare la pensione, eccolo finalmente sdraiato sul letto dell’ospizio ad aspettare l’epilogo. Fine.

E negli intervalli tra tante attese? S’intratteneva con passatempi.

Pubblicato in Brevi Racconti
Domenica, 11 Settembre 2016 10:57

Sconnessioni edili

Fenomeno notorio e non solo italiano la demarcazione estetica che separa il centro storico di borghi, paesi e città, da ciò che gli hanno, poi, costruito intorno. In Puglia possiamo osservare agilmente lo scostamento grazie a paesi che dentro sono perlopiù così:



 e fuori generalmente cosà:



Ho osservato che si è iniziato a costruire brutto e dozzinale dal secondo dopoguerra, più incrementava il boom economico più aumentava la miseria estetica, problema, dunque, non provocato da mancanza di risorse. Avevo chiesto spiegazione ad architetti e un paio individuavano il punto di frattura estetico nella comparsa del cemento armato. Esula dalle mie competenze ma la risposta mi ha lasciato perplesso, il cemento armato non è, di per sé, sinonimo di brutto e poi malte idrauliche, più o meno armate, esistono da millenni. La frattura più che cementizia appare antropologica, forse trattasi di un’improvvisa epidemia di una qualche malattia spirituale che ha decimato la creatività di costruire abitazioni connesse alla Natura, al luogo, all'universo, alla storia di chi ci ha preceduto.

Pubblicato in Filosofia di strada
Giovedì, 08 Settembre 2016 09:40

Ontologia di strada (famolo strano)

Talvolta l’osservazione spietata[1] della realtà procura l’accadimento di vederla per davvero, lì l’oggetto appare inedito e strano e sorge la domanda: ma che cacchio è-perché c’è-come c’è?
Il soggetto in quel "non so perché eppure c'é" dell'oggetto, invece di scompigliarsi e smarrirsi è come se si riunificasse potente in sé e con l'oggetto.

1 inesorabile nei confronti del consueto vedere che interpreta sistematico poggiando sul ricordo.

Pubblicato in Filosofia di strada
Mercoledì, 07 Settembre 2016 08:35

Etica del pulito

Fissati (M5S) alla Weltanschauung del pulito adesso rischiano di perirci dentro.

C’è l’uomo delle pulizie; il detersivo che più bianco non si può; il catechismo cattolico illustrato degli anni ’60 che disegnava una macchiolina nera su cuore rosso per rappresentare il peccato veniale e c’è pure il “è pulito” dopo perquisizione.   

Forse meglio non glissare sul dato linguistico: onestà, puntualità, lealtà e correttezza mica sono pulizia, equivocare non ha mai portato a nulla di buono.

Pubblicato in Attualità
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