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Martedì, 14 Ottobre 2025 13:15

Prima d’ogni morale

Scritto da 
La zattera della Medusa, Théodore Géricault La zattera della Medusa, Théodore Géricault

Tempo fa avevo scritto di un’infermiera che, finito il turno in ospedale, percorreva sette chilometri per venirmi a fare le iniezioni. Non la conoscevo quasi, e lei non ne ricavava nulla. Veniva.

Consideravo che sono quelle così che, nonostante i disastri, fanno andare avanti la società, e su questo non c’è dubbio. Poi aggiungevo che “producono mondi”, come se l’ontologia fosse conseguenza dell’etica — per “etiche” intendo i diversi modi in cui l’uomo interpreta il bene e il male, mentre per “morale” l’insieme delle regole e dei valori condivisi da una cultura in un certo periodo.

Oggi mi accorgo che quell’affermazione era forse segnata da un riflesso antropocentrico: l’idea che il bene umano fondi la realtà, che il senso nasca dall’agire morale.
 Affermare la centralità dell’umano come luogo in cui il senso dell’essere viene fondato potrebbe anche essere una forma raffinata di egocentrismo, una sublimazione del desiderio di centralità personale: il bisogno di pensare che il mondo non sussista per suo conto, ma dipenda, in ultima istanza, da noi.

Certo, una quota di antropocentrismo rimane fisiologica: è inevitabile che ogni specie viva il mondo dal proprio punto di vista, va da sé che il grillo veda il mondo da grillo. La differenza è che, per quanto se ne sappia, solo l’uomo tende ad assolutizzare la propria prospettiva, a farne verità universale.

Il gesto dell’infermiera non “creava” un mondo: ne manifestava un aspetto, mostrava una delle innumerevoli modulazioni della realtà naturale.
 Forse il compito etico più profondo non è fondare l’essere sul bene, ma lasciare che l’essere ci insegni cos’è il bene: come fa la quercia, come fa il grillo e forse come faceva quell’infermiera, nel loro armonico esistere secondo la loro natura senza volere più di ciò che sono. 

Certo la natura non è fatta solo di gesti generosi o di meraviglie: è anche, per noi, indifferente, crudele, orribile.
 Anche queste realtà ci parlano e ci insegnano, perché ci costringono a riconoscere che il mondo non è costruito a nostra misura.
 Nell’indifferenza della natura impariamo il limite, nella sua durezza la necessità, nell’orrore la potenza che tutto comprende — anche ciò che ripugna al nostro senso morale.
 Accettare questo è difficile, ma forse è l’inizio di una conoscenza più sobria e più vera.

Del resto, la natura è ontologicamente e temporalmente precedente a ogni morale umana.
 L’universo esiste da circa 13,8 miliardi di anni, la Terra da 4,5 miliardi, la vita da 3,5 miliardi, e l’uomo comparve appena 300.000 anni fa.
 L’etica — intesa come riflessione consapevole sul bene e sul male — ha forse diecimila anni di storia, e l’idea del Bene come principio assoluto, da Platone in poi, appena duemilacinquecento: un battito di ciglia rispetto all’età del cosmo. Prima d’ogni morale, la natura era già.

Questo non significa che l’etica sia irrilevante.
 Per l’uomo, è ciò che rende possibile la convivenza, la cultura, la civiltà.
 Ma da un punto di vista assoluto, l’etica è solo una delle forme che la natura assume in noi: non un principio universale che fonda l’essere. Quando l’etica dimentica la propria origine naturale e la sua essenza circoscritta, si fa moralistica e assoluta; quando la riconosce, ritrova la sua chiarezza e la sua necessità umana.

Ultima modifica il Mercoledì, 15 Ottobre 2025 12:07

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