Punta del tacco d’Italia, borgo di mille anime. Nell’ora più calda del giorno vago nella piazza deserta e mi sembra di udire in lontananza un latrato di coyote, l'allucinazione si dissolve nello scorgere un monumento ai caduti della Prima Guerra Mondiale, uno di quelli sempre presenti, quanto innavertiti, nei nostri paesi.
Stella sorretta da una sfera, colonna spezzata, piramide annerita dai licheni, bassorilievo con foglia d’acanto e una epigrafe enfatica che porta in uno strano territorio di mezzo, oltre la zona del mito ma non ancora in regione sacra. Sotto all'epigrafe ventiquattro nomi e cognomi di uomini che coltivavano fave, parlavano la loro lingua, producevano olio. Non avevano mai visto un fiume, una baionetta, una montagna, ma qualcun altro ha scelto per loro e ha deciso tutto.
Non sarebbe poi male un precetto che obblighi i qualunquisti a un pellegrinaggio annuale dinanzi al monumento ai caduti nella piazza del loro paese, giusto un paio di minuti, quel che basta per leggere la data di morte di un giovane che aveva il loro stesso cognome e ruminarsela.