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Martedì, 17 Luglio 2018 11:44

Pietismo, accezioni

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Oggi pietismo è spesso sinonimo di buonismo, accezione coniata nel ventennio fascista per definire i malriusciti con gran cuore ma senza coglioni. Patacca fuori corso che torna corrente, anche se il termine ha differenti origini e altri significati.

Nell’individuare l’etimo di pietismo incontriamo due nuclei originari distinti, la Pietas degli antichi romani che era la Tradizione elevata a divinità e la Pietà che, specialmente in ambito cristiano, è stata ed è sinonimo di compassione designando, altresì, devozione. Il termine pietismo, pur con rizomi radicati nei due antichi nuclei, ha invece significato strettamente ecclesiologico, nasceva nel 1600 in Germania e definiva quel movimento che all’interno della Chiesa protestante contestava l’eccessiva codificazione formale del culto e le troppo canoniche interpretazioni della sacra Scrittura. Gli esponenti del Pietismo rivendicavano per i fedeli la possibilità di vivere personalmente la fede attraverso una più intima e libera devozione, sinonimo di pietismo non è quindi buonismo ma semmai intimismo.

La querelle tra pietisti protestanti e tradizionalisti è poi, in parte, migrata nel cattolicesimo con, da una parte, i conservatori che difendono la realtà rivelata che credono espressa e incorporata nella tradizione del Magistero cattolico e, dall’altra, chi rivendica una vita di fede poggiata sul proprio cuore senza necessità d’intermediari umani istituiti. Ricordo, da giovane, quando frequentavo don Giussani la sua avversione al pietismo, un accanimento viscerale e pirotecnico contro ogni forma di religiosità personale, se vissuta in presa diretta fuori dalla giurisdizione ecclesiastica. Concezione a mio vedere inaccettabile[1], ma perlomeno a differenza di oggi Giussani utilizzava il termine pietismo con precisione tecnica in contesti appropriati.

Le parole non sono un dogma e ne va accettato il cambiamento storico di senso, ma capire cosa significano e perché tale senso muta non è faccenda di lana caprina perché che fa e rifà le parole è l’umano pensiero-azione, nel bene e nel male.

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1 A differenza del Concilio Vaticano Primo, Giussani poneva l’accento sull’alterità dell’autorità ecclesiastica piuttosto che sull’infallibilità, alterità che proteggerebbe dai rischi derivanti dalla personale propensione alla spiritualità per possibili equivoci di attrazione fatale per i territori del sacro attivate da soggettive dinamiche endogene, da formazione reattiva generante pietismi ossessivi, da forze archetipiche, da inconsce fantasie individuali, da puerili innamoramenti prodotti da voragini psichiche o da narcisistiche auto contemplazioni proiettate sulla  - e, dunque, riflesse dalla - figura del Cristo, della Madonna o di qualche santo. Equivoci prodotti da misticheggianti affascinamenti che l’obbedienza all’avvenimento altro (da sé) della Chiesa cattolica - la religione più materialista al mondo - smantellerebbe alla radice, in quanto obbedienza a realtà storica tutta poggiata sulla “verità” della Rivelazione e sulla oggettività della tradizione: certi della presenza di Dio nel Magistero della Chiesa l’obbedienza alle sue indicazioni salverebbe il subalterno sottoposto dalla egoica mortale individualità emancipandolo dal nulla che lo costituisce -dinamica ontologica e metafisica prima che etica-, salvezza indipendente dalla veridicità e ragionevolezza delle indicazioni del Superiore, ciò che qui conta è lo scostamento tra l’indicazione dell’autorità e quella del subordinato: più l’indicazione dell'autorità è differente da quella del sottoposto e più risulterebbe, in tale ottica, redentiva nel raddrizzare il legno storto; "pedagogia nera" (Rutschky, Schatzman, Miller).

Ultima modifica il Lunedì, 23 Luglio 2018 09:04

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