Mi autorizzo a tratteggiare l’identikit del cattolico militante schierato contro le unioni civili, perché al tempo dei referendum del divorzio e dell’interruzione volontaria della gravidanza ero uno di loro. Peccati di gioventù.
Prevalentemente individuo in buona fede, debole personalità e raziocinio, sovente giovane che ha incontrato supposta soluzione ai personali problemi e risposta al significato del vivere nel gruppo di appartenenza. Poderosa narrazione ancestrale di appartenenza e sacralità che si incista in presa diretta, senza filtri, nel soggetto. Lì nel supposto sperimentare che il gruppo sostiene, consola e salva, ne universalizza acriticamente le direttive: siccome sembra funzionare per me ragionevole anelare all’espansione planetaria del modello. Imperiosa e tragica esaltazione direttamente proporzionale alla personale fragilità. Affascinamento affettivo-fondamentalistico che accetta come certi e inconfutabili i presupposti narrativi del gruppo, rendendo superfluo centellinare il Ddl Cirinnà per intenderlo - ad iniziare dalla articolazione della sovrabbondanza di doveri e sporadici diritti - e coglierne la ragionevolezza nel merito (sapere quello che si dice), basta e avanza onorare la narrazione ottemperando le direttive dei capi - meno giovani e non sempre in buona fede - così da consolidare e espandere la “buona” novella allargando smisuratamente e a oltranza le provinciali indicazioni a asserzione di realtà universale, costipandolo come uno schiacciasassi il mondo intero per conformarlo alla tribale ideazione.
Il punto, a mio avviso deleterio, è che il canovaccio narrativo di tale sacrale appartenenza si arricchisce, o meglio impoverisce, di un drammatico colpo di scena: il fantasioso racconto dell’assedio feroce delle differenti e circostanti culture. Assedio inesistente ma che genera alienata reattività paranoica difensiva purtroppo reale.
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Nell’immagine Wladimiro Rizzi