Forse è andata così.
Aveva diciannove anni e non stava bene. Povero di pensiero e di denaro, lì ibrido un po’ algerino e un po’ francese. Poi nella banlieue l’incontro con un paio di coetanei: gli avevano annunciato la grandezza di Dio, Allahu akbar (Dio è il più grande). I due stavano partendo per il Medio Oriente per apprendere dottrina e azione. Non sembravano più ibridi e neppure poveri e neanche malriusciti come lui, ma ricchi, grandi e integri. Perché precludersi quella possibilità di pienezza che gli testimoniavano? Più che ragionevole provare, così è partito con loro ammaliato, incantato, rapito, affascinato dall’illimitato.
Se Iddio era il più grande nel conformarsi al Suo volere sarebbe diventato grande anche lui.
Icaro algerino e un po’ francese pervaso dal
grande,
purissimo,
celestiale,
ineffabile,
aereo,
paradisiaco,
grandioso,
etereo,
idilliaco,
supremo,
stupendo,
sovrumano,
eccelso,
altissimo,
immenso,
indicibile,
grandissimo,
sconfinato,
angelico,
sacrosanto,
intangibile,
impareggiabile,
meraviglioso,
splendido,
strabiliante ed estatico Assoluto.
Poi è tornato per onorare la narrazione appresa, dottrina e prassi. Ha ucciso per obbedire all’Ente, all’Ideale, così da pulire il mondo dai miscredenti e andare dritto in paradiso.
Chi più va su più cade giù, ma lui non s’è accorto.
Lui, mai personalmente imputabile, si è sempre omesso obbedendo alle entità che gli incombevano addosso, prima vittima dell’Occidente poi prescelto e eletto dal Dio tribale che ha incontrato, auto-esautorandosi da qualsiasi possibilità di soddisfazione suscitata e operata dal personale pensiero sovrano.