Stringata recensione tardiva - 44 anni dall'uscita - di un film che non mi ha coinvolto più di tanto per l’asfitticità di percorso esistenziale subissato da una concezione ideologica che narcotizza il mito e quando, per forza propria, si risveglia, è mostrato sempre e comunque funzionale alla conservazione del potere sociale costituito.
Dialoghi letteralmente fedeli ai testi biblici, ai vangeli sinottici, alla storia della Chiesa e connesse eresie. Parola intenzionalmente svilita dall'inautenticità dei personaggi - madonne in stile Walt Disney e cristi posticci – che la proferiscono banalizzando il mito in parodia; nessuna simpatia da parte di Buñuel all’umanità che tenta di rispondere, come riesce, alle tematiche cruciali dell’esistere, che rappresenta come chiacchiere “spirituali”, visioni di dementi o, nei casi più nobili, come mero intrattenimento concettuale.
Tutto sommato nell’attaccare le dottrine religiose, nel mostrare credenti e miscredenti che si intrattengono nel fantasticare non curanti della vita “reale”, in alto, sopra tutto, domina il punto di vista ideologico del regista che, suo malgrado, diventa esso stesso dottrina (sociale più che religiosa) espressa nell’archetipo di cattivi gendarmi che maltrattano poveracci. Forse un po’ poco, un po’ monotono.
Pur dicendo, dal primo fotogramma all’ultimo, di religione è un film politico-sociale, eppure anche interpretandolo in questa chiave le perplessità permangono: il papa mostrato fucilato da un plotone di esecuzione rimane roba da film surrealista degli anni Sessanta, quello vero e attuale è nelle piazze brasiliane con, meno onirici, milioni di poveracci che lo acclamano. Ci sarà pure un motivo se lo preferiscono a Buñuel.
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1 commento
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Venerdì, 27 Settembre 2013 21:12
inviato da Massimiliano Bardani
Oh beh...se é per quello..negli anni Venti o Trenta milioni di italiani preferivano acclamare Mussolini sotto il balcone che ascoltare gli Antifascisti in esilio...