Durante gli anni cinquanta nel profondo nord i più erano indifferenti alla cosa pubblica; mentre qualche comunista battagliava contro i cattolici, la massa dei qualunquisti contadini, artigiani e piccoli industriali padani dedicavano tempo e energie a se stessi, indifferenti a quanto succedeva intorno. Alla vigilia delle elezioni se chiedevi al brianzolo medio per chi avesse intenzione di votare rispondeva tronfio: “El partit dell’umbrella, magnà, beè e fà andà la canella!” Nel tradurre perdiamo, insieme all’insensata rima, parte del nerbo edonistico (”il mio partito è quello dell’ombrello, mangiare bere e trombare“). Di solito un miglioramento antropologico, una sorta di spontanea evoluzione, accade con il rinnovarsi delle generazioni, invece è impossibile non notare che, passati cinquant’anni, quella insensibilità anarco-individualista non solo sia rimasta immutata, ma si sia tanto consolidata e diffusa che quelli del “partit dell’umbrella” non si ritrovano più al bar a sparar disprezzo verso il diverso ma fanno i ministri e i presidenti di regione. Tuttavia ci siamo abituati e la faccenda non ci sconcerta più se non fosse che i militanti cattolici e comunisti hanno smesso di litigare per rappacificarsi coesi nel “partit dell’umbrella”: la sinistra è sparita dalla vita dei lavoratori del nord e i suoi figli orfani si riparano dalla pioggia sotto “l’umbrella” e i cattolici pure. La responsabilità della sinistra è grave, quella della Chiesa enorme. Per la difesa di questioni “eticamente sensibili” a lei urgenti la Chiesa si allea con l’individualismo, l’egoismo, la discriminazione, il razzismo, la grettezza d’animo, l’insensibilità, l’indifferenza alla sofferenza altrui, il disprezzo per il diverso, la superficialità, l’ottuso cinismo, il campanilismo, l’intolleranza, la chiusura, l’insofferenza alle regole, la rozzezza e la xenofobia del “partit dell’umbrella”. Magnà, beè e fà andà la canella non è più peccato. Misteri della fede di una Chiesa smarrita.Bruno Vergani