Don Alberto Barin, cappellano di San Vittore, indagato per violenza sessuale continuata e pluriaggravata su sei giovani detenuti è stato arrestato. Una videocamera piazzata dagli inquirenti nel suo ufficio ha documentato quattro violenze, ma le indagini proseguono nell'ipotesi che i sistematici abusi abbiano coinvolto altri detenuti.
Il religioso è anche indagato per concussione aggravata dall'abuso di autorità in quanto pare promettesse, in scambio di favori sessuali, pareri favorevoli sulle scarcerazioni.
La Curia di Milano manifestando «la massima fiducia nel lavoro degli inquirenti» ha espresso «il dolore per l'arresto di don Alberto Barin e per i fatti che al cappellano della casa circondariale vengono contestati» e anche «tutto il proprio sconcerto».
Il ministro della Giustizia Paola Severino ha commentato: «Credo che l'episodio se provato sarebbe di inaudita gravità».
Se provato? Posto che le videocamere non restituiscano immagini diverse da quelle che registrano è probabile.
Inaudita gravità? Grave sicuramente. Inaudita non proprio: nello scenario cattolico qualcosa di uguale si è già sentito e anche risentito. La vicenda non è per nulla inedita e forse sarebbe utile che la Chiesa si interrogasse – oltre a dichiarare « il proprio sconcerto» e spiazzamento – su questa precisa tipologia di misfatti che gli riaccadono in piazza. Nella propria piazza.
Una triade costante sembra favorirle: Dio, Educazione e Amore, tutte e tre con la maiuscola, tutte e tre apparentemente estranee dal favorire perversione, eppure l'identikit del reo conduce, proprio lì, sempre lì: crede, ama ed educa.
Nel suo credere in Dio presuppone di conoscere la verità e anche il bene di tutti così, per amore, educa il mondo. E in quel personale presupporre onnipotente talvolta ci prende la mano e equivoca lui con Dio, il comandare con l'educare, e il maltrattare con l'amare.
Evidentemente vi sarebbero altri aspetti da enucleare, non ultimo la castità che la Chiesa cattolica esige per i suoi ministri talvolta produttrice di erotomani pudibondi che, in tanta confusione, potrebbero procurare danni, ma prima viene quella presupposta verità - unica e inequivocabile - che la Chiesa cattolica pretende possedere, nella quale alberga, in potenza, un implicito forzare il mondo a un regime. I fatti nel carcere milanese ne sono forse diretta espressione.
Nell'ultima visita del Papa a Palermo qualcuno, sul balcone, aveva esposto uno striscione con una scritta rivolta al Papa: «Anche tu sei relativo». Se avesse preso sul serio l'invito non è escluso che sarebbe stato proficuo, e per lui, e per don Alberto Barin, e per le vittime, e per tutti.