BLOG DI BRUNO VERGANI

Radiografie appese a un filo, condivisione di un percorso artistico

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Martedì, 29 Settembre 2015 08:42

La pomposa estetica del niente

Liturgia, simbolo e allegoria, possibili indizi d’inconsistenza dell’oggetto che esprimono e celebrano.

Nel caso d’overdose prova precisa.

Pubblicato in Filosofia di strada
Sabato, 26 Settembre 2015 16:08

Il non discorsivo

La signora avrà avuto 95 forse 100 anni, la vita l’aveva rimpicciolita e rannicchiata sul lettino del pronto soccorso sembrava ancora più minuta.

Di tanto in tanto emetteva lamenti disordinati ma perlopiù permaneva zitta e ferma, eppure senza discorso insegnava precisa gran parte dello scibile, forse tutto.

Pubblicato in Frammenti Autobiografici
Venerdì, 25 Settembre 2015 09:24

Libri

Il detto per sua struttura e ritmo talvolta annaspa per raggiungere la puntualità dello scritto. Scritti precisi e ben ponderati risultano sovente incomprensibili e anche antipatici al lettore tardo o frettoloso; è come se la scrittura invitasse a percorrere territori precisi talora estranei al lettore con velocità e direzione decisa dallo scrittore.

Potrebbero non piacere quei posti, ma per saperlo è necessario che il lettore li frequenti tenendo il passo. Umile remare senza preclusioni di rotta che estraneo ai “non m’interessa” prende iniziativa e non molla con dei “non capisco” quando richiesto passo veloce in territorio impervio o straniero.

Pubblicato in Filosofia di strada
Mercoledì, 23 Settembre 2015 20:56

Massimo Borghesi, Luigi Giussani

Il saggio monografico del filosofo Massimo Borghesi «Luigi Giussani. Conoscenza amorosa ed esperienza del vero. Un itinerario moderno», analizza il pensiero di Luigi Giussani (1922-2005) dipanando con approccio filosofico e teologico le categorie fondamentali del pensiero giussaniano, oltre ad esporre l’inedito approccio “tomistico esistenziale, moderno, libero e aperto” e la correlata dialettica culturale e storica - all’interno della Chiesa cattolica e della società civile, dagli anni Cinquanta del Novecento fino alla sua morte - e connesse accuse di modernismo e di integrismo, tutt’oggi presenti, che Borghesi agilmente risolve in favore del protagonista.

Una articolata illustrazione delle categorie della tradizione cattolica ri-attualizzate da Giussani e insieme del suo “pensiero sorgivo”, aventi come punto di partenza il “senso religioso” - categoria attinta da Montini -  inteso, con taglio ontologico ed esistenziale, come il peculiare e insopprimibile anelito umano al significato dell’esistere, del vivere e del morire. Senso religioso che per implicita universalità favorisce il dialogo con qualsiasi uomo e cultura.

Per temperamento su questo punto simpatizzo con l’approccio di Giussani e Borghesi constatando che, pur non definendolo necessariamente “senso religioso”, l’umano pensiero, da sempre, affronta tale dato di “mancanza” elaborando, come testimoniano estesi tratti della storia della filosofia, percorsi d’emancipazione. Tuttavia nel contempo non possiamo omettere di affrontare possibili ipotesi d’infondatezza riguardo tale supposta mancanza, specialmente in un volume che, estraneo allo stile agiografico devozionale, espone il pensiero di Giussani con rigore filosofico. Nel merito di questa ipotesi di infondatezza riguardo la categoria della mancanza esistenziale, cito il famoso frammento 30 di Eraclito, che per nulla insoddisfatto dimostra che l’uomo, oltre a essere esistenzialmente “capace di Dio” per sanare oceaniche insoddisfazioni, è anche abile in tutt’altro: «Quest’ordine universale, che è lo stesso per tutti, non lo fece alcuno tra gli dèi o tra gli uomini, ma sempre era, è e sarà fuoco sempre vivente, che si accende e si spegne secondo giusta misura».

Teoria della mancanza anche poggiante su forme latenti, consapevoli o meno, di nichilismo e connessi esistenzialismi: da quelle parti se immenso sarà il buco di congrua quantità dovrà risultare la sostanza per chiuderlo. Mancanza che in chiave psicoanalitica viene talora interpretata conseguenza della totale dipendenza del neonato dall’Altro incistata nell’adulto. Languore esistenziale che, al pari e a maggior ragione di quello gastrico, esigerebbe indagine accurata, che l’Autore invece pone, senza dimostrarlo, come dato di fatto acquisito e inconfutabile.

Nel porre a fondamento tale presupposta mancanza sorgerà immediata la domanda corrispondente, posta la domanda corrispondente irromperà la risposta conforme, che Giussani indica nel sorgere dell’Avvenimento cristiano in quanto risposta esauriente e concreta nell’incontro-esperienza di Cristo nella Chiesa cattolica, più precisamente nel pezzo di Chiesa denominato Comunione e liberazione, "conoscenza amorosa" nella relazione dell’io con un “tu” verità risolutiva “cercata dal soggetto ma imposta dall’oggetto”, dove l’io troverebbe, finalmente, corrispondenza compiuta con la realtà. Concezione che armonizzerebbe ontologia (quella dell’Essere con la maiuscola) con realtà fenomenica.

Proposta legittima personalmente verificata anni fa apprendendo in presa diretta le categorie giussaniane dalla viva voce “del più grande educatore del '900”, oltre a trovarmi su sua perentoria e precisa indicazione a praticarle obbedendo, come a Cristo in terra (letteralmente), a tale oggi a processo per presunta associazione a delinquere insieme a altri ciellini. Forse c’è qualcosa che non va.

Non intendo universalizzare la personale e circoscritta fallimentare verifica sul campo per criticare un libro in numerosi passaggi valoroso, meritevole di rilettura e di congrua recensione ben oltre a queste stringate annotazioni a caldo, ma rilevare che le categorie di pensiero di Giussani - e di chicchessia - di per sé mere scatole vuote, più precisamente più sono grandi più risultano vuote, andrebbero dettagliate con precisione riguardo i contenuti: omettendo la fattispecie sembra si dice ma invece si tace. La generale categoria di verità “cercata dal soggetto ma imposta dall’oggetto” va bene per Hitler e per san Francesco perché vuol dire tutto e niente, così quelle di “fatto”, “esperienza” e “incontro”, che se monche di circostanziati contenuti di metodo e prassi vanno bene allo studente per passare l’esame, ma risultano vane al personale vivere.

Massimo Borghesi,
"Luigi Giussani. Conoscenza amorosa ed esperienza del vero. Un itinerario moderno" Edizioni di Pagina, Bari, 2015.

Pubblicato in Recensioni
Domenica, 20 Settembre 2015 10:01

Animale uomo?

Anche i gatti rivelano differenti caratteri e i cani ancor di più, ma la diversità tra persone può rivelarsi tanto assoluta da rendere plausibile l’ipotesi che non siamo animali.

Fiere, scalzacani, soggetti ordinari o dìi, ma non animali.

Pubblicato in Pensieri Improvvisi
Venerdì, 18 Settembre 2015 10:35

Diario clinico di un disabile

Il divorzio era stato devastante e per distrarmi frequentavo amici e specialmente amiche. Uomo single dal carattere conciliante. Tale Brigitte mi aveva contattato da Parigi, aveva sentito parlare del mio lavoro d’erborista da amici comuni e desiderava collaborare con me. Ero stato da lei e poi lei da me e senza accorgermi me n’ero innamorato. Il bacio alla francese non era una leggenda, esisteva davvero: arcani movimenti rotatori e aspiratori che mi facevano perdere i sensi, come i ladri del medioevo che mettevano di nascosto i semi di datura nel vino della vittima e quando si addormentava la derubavano. Avevo creduto per un momento d’essere felice, invece l’innamorarmi aveva coinciso con una malattia, una febbre che mi rendeva severamente disabile.

La fidanzata parigina era più sana e equilibrata nella relazione rispetto a me, anche se piuttosto stronza: nutriva un affetto vago confuso all’interesse per il mio lavoro. Senza di lei l’attesa era insopportabile, un avvento continuo come aspettare Gesù Bambino. Avevo bisogno di lei, il fatto era che se lei non mi amava io morivo, quindi invece che morire era meglio le mi amasse e per farmi amare io diventavo come lei voleva, mi conformavo e ingurgitavo a fatica la zuppa di soia condita col tamari che aveva cucinato, noncurante del voltastomaco le dicevo che era superba, da perfetto deficiente glie lo dicevo in francese: senza farmi notare inspiravo più che potevo e un po’ ancora, poi emettevo dal profondo dell’anima una lenta espirazione per far uscire una erre roulant eterna che esprimesse la mia devozione assoluta per lei. Partiva e io rimanevo lì, fermo ad aspettarla, senza fiato con la brodaglia esotica sullo stomaco, pietrificato dall’angoscia.

Se era a Parigi mi mancava, ma quando tornava iniziava il supplizio perché era malata delle teorie del benessere: tre ore di yoga alla mattina, strane pratiche d’inspirazioni d’acqua nel naso come un elefante e poi le nevrosi sul cibo: il carboidrato, la proteina, e mangia così e mangia cosà e respira così e respira cosà. Quando andavo io a casa sua era ancora peggio, aveva i fornelli elettrici perché quelli a gas, a suo dire, potevano perdere e mentre dormivi ti ammazzavano. Quando lavavo i piatti dovevo utilizzare poco detersivo altrimenti inquinavo tutto il pianeta e solo qualche goccia d’acqua perché altrimenti tutta la terra moriva di sete per colpa mia. Vietato fumare. Avevo fumato lo stesso il Toscano extravecchio al freddo del suo balcone, ma un po' di fumo, a suo dire, era penetrato nell’immacolato appartamento contaminandolo, così avevo smesso di fumare anche per poterla baciare senza che si lamentasse per l’alito che sapeva di tabacco. Era allergica al glutine, addio cucina italiana. Tiroide fuori uso come di moda per le donne moderne, di lavoro però curava gli altri e quando avevo chiesto un caffé aveva sobbalzato come se una goccia di caffeina potesse uccidermi. Poi ritornavo in Italia e invece di realizzare che era una poveretta mi sentivo perduto. Visti i presupposti sei mesi di massacro. Alla fine mi aveva mollato lei e in un paio di mesi ero guarito dalla psicosi e forse anche immunizzato. Trascorsi dieci anni, pur risposandomi, nessuna ricaduta.

Pubblicato in Frammenti Autobiografici
Mercoledì, 16 Settembre 2015 09:01

Sostrato

Per i religiosi disillusi come sono io, puntuale emancipazione dalla voragine lasciata dalla concezione di un Dio che non c’è più viene dall’osservazione e dall’indagine del sostrato, la sostanza primordiale, costitutiva e fondamentale, che regge gli accidentali mutevoli fenomeni. Una tensione che nell’indagare e onorare il sostrato appare prossima al naturalismo. Coinciderebbe precisa se non fosse per due fattori:
constatare l’evento uomo scostarsi per coscienza e autocoscienza, pensiero e mete, dal generale “funzionamento” dei meccanici universali fenomeni, da qui il lasciare la porta aperta così da non precludere la speculare possibilità che il sostrato sia anch’esso costituito in qualche modo da pensiero, da una qualche forma di autocoscienza che lavora precisa.

Pubblicato in Filosofia di strada
Martedì, 15 Settembre 2015 14:09

Mia cognata

Mia cognata infermiera all’ospedale di Taranto teorizza che oltre i settanta anni è meglio morire. Augura a lei, e a tutti quanti, di cessare senza angoscia e senza dolore preferibilmente nel sonno profondo, ma non concede rinvii. C’è da dire che mia cognata non ha manco cinquanta anni e non possiamo escludere che arrivata a settanta riveda la sua teoria alzando la soglia della dipartita. Il fatto è che lei ogni giorno incontra ricoverati ultrasettantenni sempre sofferenti e talvolta angosciati. Mica tutti i settantenni del mondo stanno così, ma i suoi sì e proprio tutti, così vede da lì il mondo; tutto sommato un punto di vista privilegiato: un reparto ospedaliero è una minima parte di mondo, eppure giudizio universale, basta farci entrare qualsiasi pensiero, concezione, verdetto, affermazione e osservare se si paralizza e collassa, oppure “tiene” in esattezza, veridicità, legittimità, anche lì.
E poi mia cognata ha la scienza e anche la statistica dalla sua parte: il primo fattore di rischio per la salute non è l’alimentazione e neppure il fumo di tabacco, ma l’età. Più avanzi negli anni più rischi di ammalarti. La statistica sentenzia, dunque, che l’esposizione alla vita fa male e l’esposizione prolungata malissimo. Mai cercare su Facebook il compagno di scuola che non vedi da decenni, ti potrebbe apparire una faccia orribile… Ma cosa gli avranno mai fatto? Ma cosa gli è successo? Ha vissuto. Strani i reparti geriatrici, più curano e più allungano la vita che è il più serio fattore di rischio per la salute. A parte la perentoria scadenza fissata ad anni settanta la serena rassegnazioni di mia cognata non è infondata.

Forse  bluffo, però talora mi accade di non avvertire sostanziale differenza nel morire a sessanta anni, novanta o subito, talvolta invece l'ipotesi dell'epilogo imminente mi scoccia assai - scrivo scoccia ma si legge angoscia -  e se campassi in buona salute non mi dispiacerebbe rimanere vivo ancora per un po’, anzi per un bel po’,  per compiere il mio percorso di uomo, di pensiero, di ricerca, riguardo il quale - chissà perché? - ogni volta che si raggiunge meta se ne vede in distanza un’altra,  però non è escluso che tale lavoro possa proseguirlo, in qualche modo, anche dopo morto. Al riguardo non ho prove sicure ma neppure smentite certe che mi precludano tale possibilità. Così a parte tale percorso, oltre agli amici e ai prossimi cari dai quali prendo e do con profitto e piacere, per tutto il resto mi congederei volentieri: ho già dato e non mi entusiasma rimanere ancora solo per aggiustare la serratura della porta se rotta, lavare l’automobile se sporca, tagliare il prato se alto, fare la spesa e seguire la prevedibile cronaca politica. Per campare faccio l’erborista e in trentacinque anni di professione ho preparato una ventina di tisane ogni giorno, così duecentomila clienti hanno urinato e defecato un po’ meglio grazie al mio impegno e a qualcuno si sono anche sgonfiate le vene varicose, opera che può agilmente continuare grazie a chicchessia se fornito di un minimo di passione. Tutto sommato pensando ai cari estinti considero che si stanno evitando numerose incombenze fastidiose e anche dolorose. Se mio padre fosse morto dieci anni dopo? Morire, sicuramente morire; così rilevante farlo un po’ dopo o un po’ prima? Così opto per una via di mezzo e continuo - tendiamo a dimenticarlo ma continuare è una scelta in quanto esiste il suicidio, problematica filosofica cruciale - evitando, però, di sottopormi ai dogmi medicali d’Occidente: colonscopie per diagnosticare un cancro in fase iniziale dentro le budella e TAC ai polmoni per i fumatori incalliti come me. Se la diagnosi precoce mi renderebbe immortale, come il dogma medicale sembra suggerire, l’avrei anche considerata. Se mi ammalerò mi curerò, ma intanto continuo spontaneo.

Ma a che serve la vita? Non serve a niente, mica è una seggiola o una automobile che servono a farti sedere e portarti al supermercato. Non so a cosa serve ed è sorta spontanea non so da dove, non conosco il perché e non so come. Francamente non mi ricordo di preciso neppure quando è iniziata, forse indizio che manco finisce.

Pubblicato in Frammenti Autobiografici
Venerdì, 11 Settembre 2015 11:40

Se ci sei batti un colpo

Mettersi a psicoanalizzare le religioni orientali potrebbe rivelarsi operazione da perfetti deficienti.
Così un po’ saggio le onoro e forse deficiente osservo che fra le strategie difensive dei deboli si contempla quella evitante, quella che piuttosto di rischiare di perdere preferisce non giocare. Scorgo una versione assoluta e sacra di tale strategia imperversare da Oriente - e anche un po’ dalle nostre parti: alcuni tratti di Plotino, taluni aspetti del Maestro Eckhart, parte della tradizione mistica nostrana e qualche concezione New Age.

E’ la strategia che attacca frontalmente l’Io valutandolo ente impersonale, nonnulla, agglomerato d’irreali apparenze. Io rarefatto, senza memoria, senza storia e correlata biografia mera scatola nera contenente paciughi di ricordi anch’essi irreali, francamente un po’ mi scoccia dopo tutto il remare che ho fatto buttarla via così.

Non solo, dunque, un Io che patologicamente immobile in un angolo schiva l’azione per non rischiare di perdere, ma un Io che per evitare ogni insuccesso si auto-omette da sé medesimo negando addirittura di esserci. Non mi sembra mica tanto sano, evoca un otorinolaringoiatra che si fa passare il mal di gola con un preciso colpo di pistola alla tempia: successo garantito. Forse meglio l’italico esigere d’avere un Creatore con forte personalità, geloso e anche esigente, così da andare all’inferno sia pure per l’eternità ma con l’Io pimpante e integro.

Pubblicato in Sacro&Profano
Giovedì, 10 Settembre 2015 08:14

60-65

« … Penso che a vent’anni i nostri animi si siano ormai sviluppati quanto devono esserlo, e promettano quanto potranno. Mai un animo che non abbia dato a quell’età testimonianza ben evidente della sua forza, ne dètte la prova in seguito. Le qualità e le virtù naturali mostrano entro quel termine, o mai, quello che hanno di vigoroso e di bello. » Montaigne, Saggi - Libro I, Capitolo LVII « Dell’Età ».

Senza precludere possibili sviluppi dopo una certa età, diciamo 60-65, quello che si è pensato, elaborato e detto sovente non si sviluppa ma - mica è poco - si consolida e precisa. Per quanto osservo intorno, tale rafforzamento e perfezionamento si manifesta in puntualità, in una maggiore semplicità nel dire senza cadere nel semplicismo.

Pubblicato in Filosofia di strada
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