BLOG DI BRUNO VERGANI

Radiografie appese a un filo, condivisione di un percorso artistico

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Venerdì, 31 Luglio 2015 08:32

Puntualità

Ogni parola non dice la cosa ma la indica tra tante. Un traslare e inevitabile metaforizzare. Similitudine condensata, arbitrio condiviso, che invita l’interlocutore a un percorso di risalita alla cosa.

Appurata la complessità della dinamica indispensabile che le parole siano, per quanto possibile, puntuali.

Pubblicato in Filosofia di strada
Mercoledì, 29 Luglio 2015 08:40

Diario di notte di mezza estate

Nottetempo. 40 gradi. Manco puoi intrattenerti a far sesso con sentimento e neppure senza sentimento come piace a me. Meglio darmi al diario, meglio sistemare gli appunti sparsi per vedere a che punto sono.
 
Salmo 115, versione 2.0.

Hanno microfoni a interfaccia digitale e altoparlanti al plasma e non parlano,
hanno telescopi gamma a raggi X e non vedono,
hanno antenne radioastronomiche e non odono,
hanno gascromatografi a spettrometria di massa e non odorano.
Hanno microscopi a forza atomica e non palpano,
hanno endoreattori e non camminano;
dalla gola non emettono suoni.


Probabilmente ho voluto diventare così. Può darsi sia nato così, o forse mi ha condizionato quel vecchio prete quand’ero ragazzo, quello che latrava:
“Se non c’è risposta a quel che sei, sei un disgraziato!”
In ogni caso sono qui spinto da una forza che mi ordina:
“Spiega la realtà, dimmi perché ci sei”.
Se glisso l’imperativo mi rode fino a consumarmi. Non posso schiodarmi, devo rispondere; scoprire rapido e rispondere giusto. Il problema è che ho quasi sessanta anni e in cinquanta di questo lavoro forzato il perché esisto non lo so ancora e con Dio permane un flirt complicato. Molto complicato. Eppure in questo operare accade forse una soddisfazione nel momento, o almeno mi sembra.
Le domande a cui devo obbligatoriamente rispondere sono solo due, ma belle precise:
1 Perché ci sono?
2 Mi ha creato un qualche Dio?

Teorie d’immortalità. Top ten.

1 Individuale anima immortale che continua nell’aldilà;
2 Perdurare nella stirpe travalicando il punto morte nella consegna di cromosomi alla progenie;
3 Essere agilmente rimpiazzato dagli altri nel trionfo della specie sull’individuo;
4 Individuale fama che persiste nel tempo;
5 Personale pensiero, o atto artistico, imperituro;
6 Eterno al di qua mediante sostituzione di corpo (metempsicosi);
7 Perenne al di qua nel fondersi con la natura;
8 ‘O scarafone: emulazione dello scarafaggio che simula d’esser già morto per non essere ucciso;
9 ‘O scarafone mistico: diluizione in vita dell’io mortale che si scioglie in un gruppo di appartenenza e/o in un imperituro ideale, e in versione religiosa mistico-quietistica e in versione ideologico marxista;
10 (New entry!) Interpretarsi, nella fisica dei quanti, a molti mondi.

Nel variegato universo delle bizzarrie dottrinali religiose il primo posto spetta, senza dubbio, al “Ratto salvifico” dove Iddio nella sua infinita misericordia… Zac! A freddo e d’un tratto t’eradica, corporalmente e vegeto, dal mondo per tele-trasportarti all’istante in altra, sublime, dimensione. Tutto sommato non mi dispiacerebbe. In alcune sette orientali si rapano a zero ma lasciano crescere un lungo codino sopra la nuca: è la maniglia lì pronta per Dio che li prende per salvarli. Non male… Tutto sommato a me andrebbe bene anche se mi afferrasse per i coglioni.

Nel tentativo di rispondere da ragazzo mi ero fatto monaco cattolico. Brutta storia. Chissà? Forse avevo sbagliato monastero. Nel mio erano esaltati: definivano la comunione tra gli appartenenti al gruppo con l’affermazione: «Io sono Tu che mi fai», con quel “Tu” intendevano Dio e nel contempo, riferendosi al mistero dell’incarnazione cristiana, ogni aderente al gruppo. Il nome di ogni monaco era ritenuto sacramentalmente unificato all’origine con quelli degli aderenti al gruppo. Comunità giudicata incontro-avvenimento-presenza salvifica, segno sacramentale di Dio stesso e costitutiva l’“Io” di ogni singolo componente. Il singolo uomo non valeva un cazzo, per "essere" doveva diventare cellula appartenente e obbediente alla corporazione, come le api e le formiche sono nulla senza il loro gruppo organizzato, consorziato, congregato, endogamo. Anzi di più: per l’appartenente la dipendenza era assoluta come i buchi nel formaggio che fuori da lì non esistono più. Un più fai parte più sei nel giusto, più fai parte e più vali, più appartieni e più sei redento. Un “Noi” Alfa e Omega super-Ente, consorteria metafisica salvifica, corpo mistico coincidente la presenza di Dio nella storia e strutturante-giustificante alla radice ogni partecipante al gruppo. Imperativo collegiale, familismo su base religiosa. Provinciale noi totalitario-salvifico. Non potevo resistere così ho abbandonato e mi sono dato al pensiero orientale, mica potevo non rispondere alle domande cruciali, mica potevo glissare: una forza ignota mi avrebbe distrutto. Forse Theilhard de Chardin diceva proprio a quelli come me la sentenza: «Non è affatto lontano il giorno in cui l'umanità si troverà biologicamente costretta a scegliere tra il suicidio e l'adorazione». Così, dopo aver abbandonato la Chiesa cattolica nel tentare di trovare una via di mezzo tra suicidio e adorazione avevo visitato filosofie lontane, dèi stranieri direbbe il vecchio testamento. Quando non si sa se Dio esiste o non esiste una buona soluzione è farsi buddhisti o induisti. A ben vedere nella via verso Oriente il Dio nostrano era ancora lì, aveva solamente cambiato nome: si chiamava l’Uno invece che Iddio e mi invitava ancora ad uscire me stesso, per rimanere immobile a guardare lassù le ineffabili, inesprimibili, alte sfere: palloni aerostatici gonfi di Teorie. Come le scale mobili dell’aeroporto che vanno su e giù il Dio cattolico discendeva verso di me, mentre in quegli ambienti ero io che dovevo ascendere a lui, un salire e un scendere nella sostanza proprio uguali. Avevo indagato a fondo, ma  la soluzione non l’avevo trovata. Non seguivo pratiche meditative, avevo passato troppi anni in ginocchio davanti a crocifissi di plastica e il mettermi seduto con le gambe incrociate e gli occhi chiusi non mi entusiasmava. Chissà cosa pensavano i miei amici induisti quando rimanevano lì con gli occhi chiusi a meditare? Ascoltavano il respiro? Si sforzavano di non pensare? Forse meglio un crocifisso di plastica. Quando vedevo qualcuno meditare, con gli occhi chiusi e le gambe incrociate, un impulso mi suggeriva di avvicinarmi in silenzio per dargli, a freddo, un calcio nel culo. Non l’ho mai fatto. L’imprinting cattolico me lo ha impedito. Peccato.

Deluso avevo anche ipotizzato che forse come i gatti si "è" senza alcun motivo, lo affermava anche l’Advaita vedanta, ma la risposta era troppo nebulosa per ottenere soddisfazione, così per rispondere davvero mi sono dato alla filosofia occidentale. Anche se capivo poco insistevo nel leggere le opere basilari, facevo la faccia da sapiente per dare prova, a me e al mondo, di non essere troppo deficiente. Però dai e dai, avevo scoperto che se Iddio era la Natura avrei forse potuto trovare puntuale risposta e far cessare l’intimo rodere. La Natura è cruciale… Mica piace ai cattolici integralisti, preferiscono la coppia Nulla & Dio. Un’associazione a delinquere metafisica. Bonnie e Clyde sempre presenti  nei fondamentalismi religiosi istituzionali. L’infausta metafisica fondamentalista prende forma in tre mosse:
1  Inventa un “Ente Nulla” assoluto;
2  per implementarlo è necessario che sopprima o perlomeno inibisca di brutto - per l’evidenza che ci sono - l’Io, L’Altro e la Natura;
3  lì erige un qualche dio totalitario che fagociti tutto l'esistente.
Roba pericolosa, così per trovare risposta ho preferito flirtare con la Natura implementando un giardino, mi è venuto facile perché per campare faccio l’erborista. Ho avvertito una piacevole soddisfazione nell’osservare l’albero di Ginkgo che avevo piantato tanti anni fa davanti alla casa venduta da tempo, lì che cresce sovrano impipandosi del succedersi dei proprietari. Se Dio c’è deve assomigliare a quel Ginkgo. Non mi piacciono le sistematizzazioni e gli ingrigliamenti del giardino all’italiana e intorno a una nuova casa avevo fatto quello inglese anche se abito in Puglia. Avevo piantato ravvicinati numerosi e differenti cespugli e qualche albero mediterraneo che nel crescere sono diventati contigui, poi si sono mischiati. Avevo lasciato fare alla Natura: il più forte vince e lei fa la regia. All’inizio del percorso c’era un artefatto, poi mi sono omesso per lasciare fare alla sacra Signora immacolata. Trascorso qualche anno avevo visto una macchia mediterranea con estetica piuttosto valorosa e di notevole diversità biologica. Credevo che il processo fosse concluso: indipendentemente dal mio intervento il giardino sarebbe migliorato per naturale spontaneità grazie alla regia della bella Signora. Falso. Senza il mio operare il giardino aveva iniziato a virare al dozzinale, degradato e catatonico come i chilometri di macchia mediterranea che vegeta apatica al bordo della strada provinciale. Porca bestia! La Natura mica era brava come regista, ma una ragazzotta autistica che se non gli dico io se è bella o brutta manco lo sa. Tutto da rifare. Dentro la gravina di Riggio la macchia mediterranea è presente quasi tutta. Ambiente naturalistico mozzafiato eppure gli affreschi della chiesa rupestre informano che fin dal X secolo agli abitanti del luogo non bastavano cielo e terra, acqua e fuoco. Nel risalire avevo incontrato in mezzo ai fichi selvatici tracce d’insediamenti neolitici, sicuramente anche in quel periodo qualcuno avrà piantato un qualche palo, una qualche pietra dritta e grande a forma di cazzo a simbolo di un regista occulto artefice dell’universo naturale. Un corvo reale indifferente a classificazioni botaniche, noncurante di me e registi occulti, volteggiava in silenzio poi gracchiava soddisfatto, forse beffardo. La sanno lunga, i corvi… Però che strano l’albero del fico: foglia a surrogato di umane mutande; maledetto e pure seccato da Gesù perché trovato privo di frutti anche se «non era la stagione dei fichi» Si, si… è in Marco 11 versetti 13-14. Però... Esigente Gesù... Bello strano anche lui a volere i fichi sulla pianta fuori stagione. Sessualità complicata quella del Fico: il maschio si chiama caprifico, nome che evoca perversione severa, ma lui non se la prende, sa che è definizione prodotta da artificio e costruzione culturale tutta umana. Dicevo che il maschio del fico - detto caprifico - fa polline abile nel fecondare ma frutti immangiabili, però ingravida il fico vero - la femmina - che così produce frutti. Il fatto complicato è che nel frutto del maschio caprifico ci sono anche ovari femminili pronti a ricevere il polline dalla parte maschile del medesimo frutto. Tale auto erotismo fecondante produrrebbe frutto se non fosse per la piccola vespa Blastophaga psenes, moscerino col nome da pornostar che dimorando negli “ovari del maschio” li modifica in galle sterili precludendo la formazione del frutto. La piccola vespa si fa perdonare sciamando sulla pianta del fico vero (la femmina) impollinandola. Er famolo strano continua: in moltissime piante di fico il frutto che mangiamo si sviluppa e matura anche senza impollinazione, tuttavia se presente la piccola vespa pure con impollinazione, producendo frutti, di volta, in volta, con sapore e aspetto diverso più o meno come le persone…
Però la filosofia mi ha consolato più della botanica, perché ho constatato che mica sono l’unico maledetto che deve rispondere all’esserci mio e di Dio. Mal comune mezzo gaudio. In qualche modo tutti tendono a spiegare la realtà, impegno sovente intermittente, svogliato, nebuloso, tiepido. Ma i filosofi si sono messi lì, spietati con sé stessi, nel voler rispondere per davvero: «Non mi schiodo finché non scopro e dico giusto.» Così hanno trascorso l’esistenza nell’apprendere e confrontarsi col pensiero di altri e in questo remare hanno detto la loro a beneficio di chi li incontra. Tra i protagonisti della storia della filosofia, degli uomini di pensiero, di scienza e dell’arte, qualcuno avrà anche implementato teorie bislacche e opere mediocri, o operato per ambizione personale e per mera rimunerazione. Ricordo che ad un incontro filosofico un docente aveva iniziando dicendo:
 «Io sono…» e annunciando al mondo la sua professione;
«all’interno di tale disciplina…» e ostentando sistematizzazione;
«mi occupo in particolare di…» e sparando la specializzazione.
Poi non lo so più perché ero andato via. Se fosse stato un gastroenterologo al simposio di laparoscopia del colon sarei anche rimasto, il problema è che era un filosofo al convegno filosofico, uno che doveva stimolarmi e anche aiutarmi nel rispondere alle imperative domande… Eppure i più hanno onorato un preciso e dirompente stimolo. Nel leggere gli autori più valorosi, e anche meno valorosi, ogni volta considero con una certa devozione la “molla” che li ha stimolati. Forse Dio è quella molla?

Sulla fontana in piazza è comparsa una scritta: «IO ODIO TUTTI». Invocazione di aiuto, segnale di urgente richiesta di soccorso lanciata nottetempo con la bomboletta spray perchè sia raccolta da qualcuno di passaggio, uno qualsiasi, dunque da tutti. Ma di fronte alla sofferenza molta filosofia annaspa e la teologia arranca come uno storpio… Gesù di Nazareth non arrancava… Chissà cosa gli avrebbe detto a quel disgraziato?

L’altro giorno mi è entrato in erboristeria un giovane inglese qui in vacanza, era schizzato e ho pensato: «Questo qui - a differenza dei suoi compaesani giardinieri - è proprio un deficiente», ma siccome ho l’imprinting cattolico ho censurato il pensiero e neutro mi sono posto in ascolto. Baldanzoso mi ha riferito che operava in una startup a Londra e mi aveva proposto di creare nuove autostrade per vendere on-line i miei prodotti su scala planetaria.
Avevo glissato: nel tempo libero e nel limitato pezzo di esistenza che ho ancora da vivere preferirei approfondire la scolastica medioevale così da rispondere alle due domande, invece d’infognarmi nell’invadere il pianeta di mie compresse lassative collaborando con quello lì. Finalmente il figuro se n’era andato, tra me e me avevo considerato: «Inglesi del cazzo», ma siccome ho l’imprinting cattolico avevo censurato il pensiero e ripreso a lavorare.
Le chiamano startup e dicono che a Londra e Berlino si trovano le migliori. A Londra un grattacielo apposito ospita le più valorose, una sorta di tempio, di Chiesa, del progresso universale. Ma cosa fanno queste avanguardie storiche e sociali di tanto rivoluzionario? Perlopiù inventano e implementano applicazioni tecnologiche per ottimizzare la vita. Se valutate utili, oppure semplicemente piacciono ai potenziali utenti, permettono agli startupiani di guadagnare denari. Bene. Bravi.
Ma cosa implementato di preciso? Intrattengono gente con musica e roba simile, fanno apprendere lingue, si occupano di marketing e pubblicità anche con video interattivi, innovano e ottimizzano social e gaming e mettono anche a punto trasferimenti bancari, fanno condividere viaggi in auto. Tra le applicazioni più celebrate una che implementa sistemi innovativi per controllare gli animali domestici quando non si è a casa e un’altra che serve a “incubare” e accelerare lo sviluppo e l’operatività di nuove startup.
Perché tutto questo? E perché sempre accelerare? E in quale direzione?  
Ripensandoci considero il ragazzotto inglese non deficiente ma acefalo, però avendo l’imprinting cattolico censuro il pensiero: l’anglofobia potrebbe essere peccato, veniale ma peccato. Mentre io brancolo a lui basta e avanza il suo iPad, crede che sia diretta espansione del suo sistema nervoso centrale e considera che funzioni anche meglio di lui perché l’iPad non sbaglia e non si ammala. Come quel ragazzo biondiccio che avevo visto nell’andare a Napoli, quello che sedeva solo al tavolo dell’Autogrill. Con la mano destra portava alla bocca polpettine, preciso le inseriva attraverso un angusto varco tra l’angolo delle labbra e la cannuccia della CocaCola che succhiava. Con la sinistra digitava SMS sull’ iPhone da dove un filo gli portava musica nelle orecchie che canticchiava sottovoce mentre coi piedi teneva il tempo. Eseguiva tutto al meglio, era così abile che frattanto avrebbe anche potuto farsi una sega senza interrompere tutto il resto. Forse le divisioni non derivano dal conflitto tra devoti di teismi e seguaci di ateismi, ma tra misurati e smisurati.

Il tempo passa e io devo rispondere. Ma non è che forse Dio è lo Stato? Lo Stato italiano? Indipendentemente dalla contingenza che il virus dell’epatite C l'hai contratto accidentalmente per trasfusione durante intervento chirurgico, o quasi intenzionalmente nel farti “pere” riutilizzando siringa monouso per risparmiare 20 centesimi, ti assiste a gratis e a oltranza per mero titolo di cittadinanza. Forse lo Stato non è Dio… però nel caso di specie gli assomiglia un po’. No. Questo è un territorio insidioso, questo è territorio ideologico e anche comunista, da quelle parti c’è gente che giudica “filosofo reale” quello della prassi; per loro è valoroso chi partecipa all’assemblea di condominio e acchiappanuvole chi nel piantare la salvia ascolta il vento.

Non lo so e non so più che fare: constato che le cose reali sono tre:
Io pensiero-corpo, l'Altro, la Natura e forse, da una qualche parte, Dio. Se indago da dove provengono e perché rischio d’infognarmi nell’irreale, se non me lo chiedo anche. Forse aveva ragione Isaia, il profeta:
«Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie - oracolo del Signore. Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri.»
Se non fosse per questa forza ignota che mi rode dentro mollerei l’osso… Si proprio come avevo fatto con l’urologo di Bari: a lui affidato nel profondo sonno dell'anestesia  - come quando Gesù sulla barca nella tempesta «se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva» - mi aveva ricostruito l’uretere sinistro a nuovo, un po' come quando digerisco l'insalata di cetrioli con la menta senza conoscere l'ABC della gastroenterologia. Sono passati decenni e l'uretere funziona a meraviglia. Forse Dio è l’urologo di Bari?

Se fossi partorito in questo momento come percepirei la realtà? Ce ne vuole di straniamento dal mondo e dai ricordi accumulati per rispondere. Forse aiutano i primi due minuti appena dopo il risveglio: assomigliano ad un tornare al mio primo ricordo, quando avevo più o meno un anno e nell’osservare il fuoco di una stufa sapevo di esserci. Fuoco d’essere-pensiero ancora qui immutato sorto spontaneo non so da dove, non conosco il perché, non so come. E’ l’unico capitale che ho? Trascorsi i due primi minuti mi lavo la faccia, se sono di fretta solo gli occhi e siccome ho l’imprinting cattolico commento con Gesù: «Quando l’occhio è puro tutto il corpo è puro.» Nell’acqua del lavabo incontro la natura, poi leggo le notizie e assurge la cultura, così il capitale primario dell’Io pensante nell’incontrare nuovi evidenti fattori e, pur senza sapere perché e senza conoscere chi è, fluttua relazionandosi con essi. Mi torna alla mente il colloquio con Nicodemo nel vangelo di Giovanni, quando Gesù gli avrebbe detto:« Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va: così è di chiunque è nato dallo Spirito ». Ma io non sono Nicodemo, io devo rispondere solo a due domande però belle precise:
1 Perché ci sono?
2 Mi ha creato un qualche Dio?

L'affermava Hegel, lo sosteneva Freud: l’uomo è caratterizzato da desiderio. Lo sentenziava, a modo suo, anche Gesù: “dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore.”
Nell’osservare che senza tale motore stramazzo nel catatonico lo dico anch’io.
Ma come si è costituita tale forza motrice? Appurato che un gatto, se sano, desidera più di un’ameba e di norma un uomo più di un gatto, probabilmente l’umano desiderio si è prodotto per lentissimo evolversi di forze e moti della natura che - dall’inorganico all’organico, dall’organico all’individuo, dall’individuo al soggetto - hanno assunto gradualmente tale specifica forma; nondimeno, vista la sorprendente peculiarità di tale accadimento che è l’uomo, non possiamo escludere che il desiderio si sia attivato d’un botto stimolato da precisa e improvvisa eccitazione esterna. Quale? Quando? Come? E Perché?
Avevo conosciuto un gruppo di meditazione che nell’aprire a caso il Vangelo interpretava il passo che capitava come un diretto manifestarsi divino che in tempo reale prescriveva precetti salvifici ad hoc. Una sorta di I Ching, di roulette metafisica dove il numero uscente era in quel preciso momento il consiglio giusto per il meditante. Così in cerca di prescrizioni per lenirmi l’angoscia di non saper rispondere alle due domande li emulo in versione pagana e apro a capocchia i Saggi di Montaigne, cosicché un qualche dio mi elargisca istruzioni. Mi parla alla pagina 1.199, probabilmente quella che mi merito. C’è scritto che i re della dinastia dei Merovingi ottenevano soddisfazione girando per il paese sopra a un carro tirato da quattro buoi; l’imperatore Fermo attaccava al cocchio quattro struzzi enormi e sembrava volare; Marc’Antonio entrava in Roma trainato da leoni insieme a una ragazza suonatrice; Eliogabalo aggiungeva ai leoni qualche tigre, talvolta attaccava al carro cervi o quattro cani, però completa soddisfazione la otteneva nel farsi trainare da quattro ragazze ignude con anche lui nudo sul cocchio. Minchia che prescrizione severa! Buon Gesù salvami tu.

Pubblicato in Frammenti Autobiografici
Mercoledì, 22 Luglio 2015 09:22

La molla

In qualche modo tutti tendono a spiegare la realtà, impegno sovente intermittente, svogliato, nebuloso, tiepido, ma pochi si sono messi lì, spietati con sé stessi, nel voler rispondere per davvero proponendosi: «Non mi schiodo finché non scopro e dico giusto.» Così hanno trascorso decenni nell’apprendere il pensiero di altri e in questo remare hanno detto la loro a beneficio di chi li incontra.
 
Tra i protagonisti della storia della filosofia, degli uomini di pensiero, di scienza e dell’arte, qualcuno avrà anche implementato teorie bislacche e opere mediocri, o operato per ambizione personale e per mera rimunerazione, ma i più hanno onorato un preciso e dirompente stimolo. Nel leggere gli autori più valorosi, e anche meno valorosi, ogni volta considero con una certa devozione la “molla” che li ha stimolati. Se Dio c’è è quella molla. 

Pubblicato in Filosofia di strada
Venerdì, 17 Luglio 2015 17:53

Acefalo neo-positivismo anglotecnocratico

Mi entra in erboristeria un giovane inglese qui in vacanza, lo vedo schizzato e penso rapido: «Questo qui è un deficiente», ma siccome ho l’imprinting cattolico censuro il pensiero e neutro mi pongo in ascolto. Baldanzoso riferisce che opera in una startup a Londra e mi propone di creare nuove autostrade per vendere on-line i miei prodotti su scala planetaria.
Glisso: nel tempo libero e nel limitato pezzo di esistenza che ho ancora da vivere preferirei approfondire la scolastica medioevale che infognarmi nell’invadere il pianeta di mie compresse lassative, per giunta collaborando con quello lì. Finalmente il figuro se ne va e tra me e me penso: «Inglesi del cazzo», ma siccome ho l’imprinting cattolico censuro il pensiero e riprendo a lavorare.

Le chiamano startup e dicono che a Londra e Berlino si trovano le migliori. A Londra un grattacielo apposito ospita le più valorose, una sorta di tempio, di Chiesa, del progresso universale. Ma cosa fanno queste avanguardie storiche e sociali di tanto rivoluzionario? Perlopiù inventano e implementano applicazioni tecnologiche per ottimizzare la vita. Se valutate utili, oppure semplicemente piacciono ai potenziali utenti, permettono agli startupiani di guadagnare denari. Bene. Bravi.
Ma cosa implementato di preciso nel merito? Intrattengono gente con musica e roba simile, fanno apprendere lingue, si occupano di marketing e pubblicità anche con video interattivi, innovano e ottimizzano social e gaming e mettono anche a punto trasferimenti bancari, fanno condividere viaggi in auto. Tra le applicazioni più celebrate una che implementa sistemi innovativi per controllare gli animali domestici quando non si è a casa e un’altra che serve a “incubare” e accelerare lo sviluppo e l’operatività di nuove startup.

Perché tutto questo? E perché sempre accelerare? E in quale direzione?  
Ripensandoci considero il ragazzotto inglese incontrato non deficiente ma semplicemente acefalo, però avendo l’imprinting cattolico censuro il pensiero: l’anglofobia potrebbe essere peccato, veniale ma peccato.

Pubblicato in Frammenti Autobiografici
Mercoledì, 15 Luglio 2015 09:43

Lievi tratti paranoici

Educatore è definizione che non mi piace e diffido di chi si proclama, in ambito umanistico, formatore. Formazione implica conformazione e “formatore” evoca chi, su progetto fisso, fa un calco di gesso per produrre dozzinali statuine in serie.

Ma i più pericolosi, se non medici di famiglia, sono quelli che vogliono curare. “Cura”, se non è per il fegato, è lemma davvero ambiguo: può significare attenzione ma anche mite sopraffazione, ovvero infantilizzazione.  

Riconosco: forse sono un po’ paranoico, eppure in questi territori urge un nuovo preciso fluttuare e inedite definizioni.

Pubblicato in Frammenti Autobiografici
Martedì, 14 Luglio 2015 11:10

Genderbotanica

Da sempre strano il Fico: foglia a surrogato di umane mutande; maledetto e pure seccato da Gesù perché trovato privo di frutti anche se «non è [era] la stagione dei fichi» (Marco 11,13-14). Però... Esigente Gesù... Bello strano anche lui.

Sessualità complessa quella del Fico: il maschio si chiama caprifico, nome che evoca perversione severa, ma lui non se la prende, sa che è definizione prodotta da artificio e costruzione culturale tutta umana. Dicevo che il maschio del fico detto caprifico fa polline abile nel fecondare ma frutti immangiabili, però ingravida il fico vero - la femmina - che così produce frutti. Il fatto complicato è che nel frutto del maschio caprifico ci sono anche ovari femminili pronti a ricevere il polline dalla parte maschile del medesimo frutto. Tale auto erotismo fecondante produrrebbe frutto se non fosse per la piccola vespa Blastophaga psenes, moscerino col nome da pornostar che dimorando negli “ovari del maschio” li modifica in galle sterili precludendo la formazione del frutto. La piccola vespa si fa perdonare sciamando sulla pianta del fico vero (la femmina) impollinandola.

Er famolo strano continua: in moltissime piante di fico il frutto che mangiamo si sviluppa e matura anche senza impollinazione, tuttavia se presente la piccola vespa pure con impollinazione, producendo frutti, di volta, in volta, con sapore e aspetto diverso proprio come le persone.

Pubblicato in Sacro&Profano
Domenica, 12 Luglio 2015 10:29

L’Urologo

Nell’iniziare l’Etica di Spinoza un senso di repellenza s’impossessava rapido di me, facevo finta di niente ma il testo mi respingeva. Anche se capivo poco insistevo con la faccia da sapiente per dare prova a me e al mondo di non essere troppo deficiente, ma esausto avevo riposto il libro nello scaffale come un cadavere nel loculo. Dopo un paio di giorni spinto da una forza ignota l’avevo ripreso come si prende un topo putrefatto. Con ipocrita espressione da saggio avevo iniziato a leggere da pagina 2 ma, estenuato da analisi geometriche, assiomi, proposizioni e scolii, a pagina 7 l’avevo rimesso nello scaffale. Qualche giorno dopo la svolta: aperto e letto solo una riga per ruminarmela nella nottata, la sera dopo altre tre righe. Era buono mangiato a piccolissimi frammenti digeriti nottetempo.

La parte più nutriente nel comprendere che nell’omettere la Natura s’implementa una ideologica antropomorfizzazione di (un ipotizzabile) Dio e del mondo. Tutto sommato dei rischi antropocentrici ci aveva già avvisato, forse in un lapsus freudiano, anche Isaia, il profeta:
«Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie - oracolo del Signore. Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri.»

Eppure, a ripesarci, la magagna antropomorfizzante è tanto ancestrale, incistata e pervadente da riuscire a sfondare e fagocitare l’unico e solido argine di contenimento: la Natura stessa, sovente antropomorfizzata - e in versione religiosa e in versione ideologica - da un Mida che trasforma in lui tutto ciò che guarda. Ho qualche sospetto che angoscia di vita e di morte derivino proprio da questo umano affaccendarsi per espandersi oltremisura. Forse meglio mollare l’osso come avevo fatto con l’urologo di Bari: a lui affidato nel profondo sonno dell'anestesia mi aveva ricostruito l’uretere sinistro a nuovo, un po' come quando digerisco l'insalata di cetrioli con la menta senza conoscere l'ABC della gastroenterologia. Sono passati decenni e l'uretere funziona a meraviglia. Grazie.

Pubblicato in Frammenti Autobiografici
Venerdì, 10 Luglio 2015 10:57

Desiderio

L'affermava Hegel, lo sosteneva Freud: l’uomo è caratterizzato da desiderio. Lo sentenziava, a modo suo, anche Gesù: “dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore.”
Nell’osservare che senza tale motore stramazzo nel catatonico lo dico anch’io perplesso delle indicazioni di un certo pensiero Orientale e dell’ascetismo schopenhaueriano che individuano l'origine del dolore nel desiderio di esistere: otorinolaringoiatri capaci di far passare all’istante il mal di gola con un colpo di pistola alla nuca: successo garantito, incontestabile. Forse meglio Hegel, Freud e Gesù di Nazareth.

Ma come si è costituita tale forza motrice? Appurato che un gatto, se sano, desidera più di un’ameba e di norma un uomo più di un gatto, probabilmente l’umano desiderio si è prodotto per lentissimo evolversi di forze e moti della natura che - dall’inorganico all’organico, dall’organico all’individuo, dall’individuo al soggetto - hanno assunto gradualmente tale specifica forma; nondimeno, vista la sorprendente peculiarità di tale accadimento, non possiamo escludere che il desiderio si sia attivato d’un botto stimolato da precisa e improvvisa eccitazione esterna. Quale? Quando? Come? E Perché?

Pubblicato in Filosofia di strada
Mercoledì, 08 Luglio 2015 17:00

Il Grande Bluff

Ho fatto bene a vedere su Rai3 «Il Grande Bluff», film di Alberto Nerazzini sul mondo “offshore”, quello degli evasori. Lo chiamo film per non confonderlo col documentario televisivo d'inchiesta-denuncia nostrano contemporaneo, quel mix di commedia provinciale e dramma nazionale filmicamente malfatto e nel merito voyeuristico e gossipparo, sovente moralista e anche osceno:

Moralista nell’equivocare la legalità col legalismo che petulante indaga se, quanto e come, il pizzaiolo di Pozzuoli nel preparare la Margherita ottempera il protocollo alimentare sanitario HACCP, quello ideato dalla NASA e adottato dalla Comunità europea.
Osceno nel mostrare sagome di poveracci che appaiono così malridotti che manco esistono: abitano solo dentro il televisore e servono a tante cose. Permettono informazione anti-establishment o pro governo, dipende dall'inquadratura a destra, al centro, o a sinistra. Consolano masse di spettatori: anche per i poco valorosi è facile percepirsi un po’ meglio di loro. Per chi li vede il disagio che l’immagine suscita è circoscritto, epidermico fastidio che nel cambiare canale cessa all’istante come i temporali estivi. Il poveretto televisivo è ente atomizzato, pietrificato, fisso, eterno. Cronicamente astenico, sistematicamente vittima. Non esiste appare, non pensa frigna e la sua lagnosa prevedibilità annoia.

Nerazzini emancipa il documentario d’inchiesta e denuncia da tali scivolate mostrando persone vere che fluttuano in presa diretta. Nell’obbedire, sul campo, a questo imprevedibile accadere la narrazione s’implementa onesta da sé, anche grazie a un montaggio capace di valorizzare, con giusta lentezza, particolari che svelano.
Ecco il grande evasore seduto sopra a un trono barocco che gira su sé stesso, rotazione autoreferenziale perpetua, infernale: onnipotente impotenza che più sale e più sprofonda.

Nel racconto c’è anche lui, Nerazzini. L’investigatore mite. Spinto da una forza ignota non molla eppure non sale di giri, non ne ha bisogno: alla sua presenza il signore di turno (nella fattispecie la signora) esperto nell'occultare e riciclare capitali all'estero fugge nascosto sul sedile posteriore della sua fuoriserie e lì raggomitolato come una serpe grida al mondo, prima della sentenza di qualsiasi tribunale terrestre o celeste, quanto la sua autocondanna a penosa vita di merda sia già esecutiva.

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Venerdì, 03 Luglio 2015 11:25

Il Cocchio

Avevo conosciuto un gruppo di meditazione che nell’aprire a caso il Vangelo interpretava il passo che capitava come un diretto manifestarsi divino che in tempo reale prescriveva precetti salvifici ad hoc. Una sorta di I Ching, di roulette metafisica dove il numero uscente era in quel preciso momento il consiglio giusto per il meditante.

Così in cerca di prescrizioni per lenirmi una vaga scontentezza li emulo in versione pagana e apro a capocchia i Saggi di Montaigne cosicché un qualche dio mi elargisca istruzioni per farmela passare. Mi parla alla pagina 1.199, probabilmente quella che mi merito.

C’è scritto che i re della dinastia dei Merovingi ottenevano soddisfazione girando per il paese sopra a un carro tirato da quattro buoi; l’imperatore Fermo attaccava al cocchio quattro struzzi enormi e sembrava volare; Marc’Antonio entrava in Roma trainato da leoni insieme a una ragazza suonatrice; Eliogabalo aggiungeva ai leoni qualche tigre, talvolta attaccava al carro cervi o quattro cani, però completa soddisfazione la otteneva nel farsi trainare da quattro ragazze ignude con anche lui nudo sul cocchio.

Che prescrizione severa! Non prevedevo che il mio malumore fosse così grave.

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