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Caro Pietro mi sembra che la tua ipotesi stia in piedi, il problema è vedere se si tratta di una più fine sensibilità neurologica o culturale, oppure di entrambe. Mircea Eliade osservava l’irriconoscibilità del miracolo in quanto mimetizzato in forme consuete: « Una pietra sacra non si distingue, apparentemente, da nessun'altra pietra ». Affermazione tutta da problematizzare. Sicuramente in periodi ancestrali se non avevamo sensi più sviluppati di oggi, così da percepire a notevole distanza la presenza di una qualche belva, eravamo spacciati. Ma è solo neurologica la faccenda o c’è altro? Ricordo che per non farmi mancare niente mi ero attardato ad ascoltare un massone incontrato per caso, inaspettatamente loquace della sua spiritualità. Senza che l’avessi chiesto e neppure desiderato mi aveva detto delle “egregore”, le chiamava “eggregore” rafforzando la doppia “gi” che mi arrivava tripla. Riferiva che talvolta, se particolarmente intensi, i pensieri e anche le emozioni possono assumere forza propria e autonoma impregnando luoghi o vagando nell’etere. Anche se forse Freud diagnosticherebbe all'autore della seguente domanda malattia certa e grave, la faccio: una pietra di Auschwitz e una di Disneyland oltre alle eventuali specifiche differenze mineralogiche potrebbero differire, nella sostanza, anche per altro? Si sostanza. Il massone con eggregora mica si riferiva al filtro culturale che interpreta le cose, ma a una reale, specifica e autonoma essenza spirituale (forma-pensiero) abile d'imbevere l'oggetto come il latte inzuppa la fetta biscottata. Non sto infognandomi in equivoci epistemologici anche se mi manca poco, ma provando a delineare differenti filoni filosofici. Ricordo l’amico William Congdon quanto mi chiedeva se anch’io, come lui, entrando in una casa abbandonata percepivo chi lì aveva vissuto. Avevo risposto di no, ma a distanza di anni nel ristrutturare un trullo in Puglia avevo ripulito l’immagine del Sacro Cuore dell’alcova riponendola con cura al suo posto per onorare chi in tempi remoti l’aveva affissa. Dinamica culturale e interpretativa, la mia, che poco c’entra con la teoria dell’egregora, come quando, sapendo la storia ed esteticamente strutturati, avvertiamo differenti sensazioni in una stazione centrale rispetto a un duomo gotico. Eppure, oltre all'ordinaria ragione culturale decifrante natura e qualità dell'oggetto, incontriamo inaspettate esegesi scientifiche, nella fattispecie neurologiche, che giustificano possibili percezioni straordinarie: l’uomo primitivo cacciatore e nel contempo preda aveva sensi più affinati degli attuali - faccenda in quell’era di vita o di morte - oggi assopiti, ma che in particolari soggetti, condizioni e situazioni, possono in parte destarsi. Il pensiero muove soggetti che trasformano oggetti, giudica e interpreta, non impregna sassi e neppure vaga nell’etere. Il magismo dell’egregora, come tutti gli occultismi e correlati feticismi, tenta vanamente di unificare natura e cultura. Invano perché anche se la libertà oppure l'odio esistono risulta arduo pesarne 300 grammi, pertanto di per sé una pietra di Auschwitz differisce da quella di Disneyland soltanto mineralogicamente. Forse.